PROLOGO

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"[...]del male altrui si guarisce, del proprio si muore, parole che non pronunciò nessuna ma che tutti pensarono, in realtà deve ancora nascere il primo essere umano sprovvisto di quella seconda pelle che chiamiamo egoismo, ben più dura dell'altra che per qualsiasi cosa sanguina."- Cecità di Saramago

Città dei Peccatori era, in realtà, un piccolo villaggio denominato bonariamente "città" dagli abitanti colpevoli di presunzione che, affetti da un morbo non clinicamente riconosciuto quale l'orgoglio, volevano dare un'immagine non molto veritiera del buco in cui alloggiavano.

Il paesino era accerchiato da piccole case in rovina, tenute in piedi solo dall'istinto di conservazione dei suoi abitanti che mettevano in atto poche e semplici attività di ristrutturazione, e da un ruscello dal quale coloro che ne avevano la necessità potevano reperire dell'acqua con facilità.

Il centro abitato di Città dei Peccatori era adornato da un'elementare fontana mal funzionante, l'unico segno del passaggio dell'uomo del 3000. Un tempo, forse, era stata decorata con pezzi di vetro colorati ora completamente dissolti. I Vecchi ricordavano lo zampillare placido dell'acqua, prima che il mancato interesse la rovinasse abbandonandola a se stessa.

La catapecchia in cui alloggiava Shahrazād, non definibile casa, si trovava dinnanzi alla fontana, distante solo qualche centinaio di metri. Era stata costruita da suo padre anni addietro, con l'ausilio di alcuni mattoni tirati su dalla fortuna e arredato da mobili in legno che odoravano di muffa.

Le finestre erano oscurate da spessi teli di tessuto, ricavati da stracci cuciti malamente assieme, in un assortimento non piacevole alla vista ma necessario a mantenere l'interno dell'abitazione un segreto per gli esterni. Shahrazād era grata di possedere delle tende, almeno l'avrebbero tenuta al sicuro dal sole.

I suoi occhi, se posti a determinati stimoli quali la luce, manifestavano la sua malattia: il retinoblastoma. Eppure, nonostante si trovasse nel 4000, Shahrazād era completamente all'oscuro dell'esistenza di tale patologia.

Era infatti, per lei e il suo villaggio, una maledizione protratta nella sua famiglia da ogni componente di sesso femminile. Poco ne sapevano loro di genetica, vissuti nell'ignoranza e nella piccola mentalità di paese.

La sua malattia si era palesata dopo i primi due anni di vita con un riflesso bianco attorno alla pupilla dell'occhio sinistro. Il suo retinoblastoma si era poi manifestato anche nella pupilla di destra, adornandola con la seconda aureola biancastra.

Shahrazād aveva presto imparato a non esporsi alla luce, per evitare il fastidioso bruciore e l'insorgenza delle macchie bianche sulle sue pupille, e suo padre era stato accondiscendente nel permetterle di non uscire di giorno.

Era però un desiderio egoista, quello di suo padre, che non era favorevole ai pettegolezzi di paese i quali sarebbero scaturiti nel sapere che anche sua figlia era affetta dalla maledizione della Gatta.

Era così che la chiamavano a causa della sua patologia.
Più essa si espandeva e più i suoi occhi prendevano le sembianze di un gatto malato, portatore di sfortuna oltre che di malattie.

Città dei Peccatori, comunque sia, si crogiolava in notizie così tremende; esse sole erano capaci di scaturire una fiacca conversazione portata avanti per inerzia. Non si aveva di che parlare in quella cittadina abitata da poche anime sporche, che tanto accoglievano un fatto nuovo sicché poco allegro.

Del resto, cosa poteva interessare agli abitanti corrotti di una città talmente devastata? La salute era qualcosa che, a detta loro, veniva donata dagli dèi misericordiosi solo a pochi eletti.

Eppure di misericordioso, in quel luogo, non vi era molto.

A Città dei Peccatori vi erano costruite delle strutture gotiche, sparse per la cittadina a formare un cerchio, e in ognuna di esse vi alloggiavano circa trenta o quaranta persone smistate in quelle strutture dal compimento dei dieci anni.

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