Non ci si aspetta mai un destino peggiore di quello di che si ha realmente.
‘’Vivi!’’ esultai al vederla.
‘’Annalise!’’ ricambiò l’emozione.
Vivian, la mia sorellina, era una bambina spettacolare: dolce, gentile, saggia ma anche birichina.
‘’Vivi, quanti anni compi oggi?’’ le strizzai un occhio perché entrambe sapevamo che era una domanda retorica.
‘’Venticinque!’’ annunciò con aria solenne.
‘’Bugiarda!’’ dissi ridendo, afferrandola per le mani e cominciando a farle il solletico.
I suoi gridolini di risa erano teneri e per niente fastidiosi; avrei potuto ascoltarli all’infinito.
‘’Te lo chiedo per l’ultima volta, signorina.’’ con aria seria ‘’Quanti-anni-compi?’’ pronunciai scandendo seccamente ogni parola.
‘’Otto,’’ disse lei appena ripreso fiato ‘’solo otto!’’
Giocammo ancora e ancora, tutto il pomeriggio e tutta la sera, in quel bel giardino fiorato e candido, divertendoci come matte, come sempre.
Aprii la tovaglia per il picnic e ci appoggiai sopra alcuni dei tramezzini che avevamo accuratamente preparato quella mattina, due bicchieri, una bottiglia di aranciata e dello champagne.
‘’E questo dove lo hai preso?’’ mi guardò con aria mista tra preoccupata e estasiata.
‘’È un segreto, signorina, è un segreto.’’ sfoderai un enorme sorriso.
Si limitò ad annuire e gustarsi il suo tramezzino al formaggio con ottimo appetito, dopodiché versai in entrambi i bicchieri un po’ di champagne, le porsi il suo e brindammo alla nostra salute.
La abbracciai, accarezzandole i lunghi capelli color mogano e facendo nasino, una specie di abitudine.
‘’Buon compleanno, Vivi. Ti voglio bene.’’ Aggiunsi lasciandomi scappare una lacrima in ricordo di quando nostra madre lo diceva gli anni precedenti.
Esitò prima di rispondere; probabilmente aveva realizzato il mio stesso pensiero.
‘’Anche io te ne voglio, Annalise. Sei la migliore’’ mi strinse con le sue braccia magroline, troppo magroline.
Nostra madre aveva perso la vita a causa di un’esplosione capitata nel palazzo in cui lavorava come segretaria, mentre nostro padre, non l’avevamo mai conosciuto. Neanche una foto, neanche una lettera, una firma che potesse ricollegarci a lui, niente.
Io avevo 16 anni e andare a scuola, lavorare e badare a Vivian, erano il succo della mia giornata tipo.
Ricevevo un salario a dir poco misero, ma che rendeva possibile l’abitare sotto a un tetto, affittando una stanza, nella quale le uniche due cose presenti erano un letto cigolante e un vecchio armadio.
Quella sera mi sentivo, stranamente, rilassata e tranquilla, senza paura di pormi le solite domande tipo '‘cosa mangeremo, domani?'’ o persino ''mangeremo, domani?''.
Le minuscole dita di Vivi si aggrovigliavano alle mie, affusolate e per nulla curate, mentre i nostri occhi riflettevano il nero del cielo e i vari puntini luminosi quali le stelle.
La guardai: il viso rotondo, le guance soffici, la carnagione bianca come la neve, il naso all’insù cosparso di qualche lentiggine qua e là, le labbra abbastanza sottili e rosee, gli occhi blu, persi nell’immensità dell’universo, e quei meravigliosi capelli di un colore intenso e vigoroso, che le avevo sempre invidiato.
Era così perfetta, lei, ed era l’unica cosa a cui tenevo veramente.
Ancora la osservavo mentre crollava in un sonno profondo e le ciocche rosse le ricadevano lentamente sul volto.
Mi raccolsi i capelli mori in uno chignon e mi godetti ancora per un attimo quel sensazionale momento, così magico.
La sollevai dolcemente, tentando di non svegliarla; era così splendida anche mentre dormiva.