Prologo

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«Ridammela! Ridammela è mia, ti prego!», gridò la bambina a squarciagola, la vocina dal tono squillante spezzata dal pianto, avvicinandosi e colpendogli il braccio sottile con i piccoli pugni chiusi, una forza disperata la scuoteva appena. Stille di lacrime dolorose le schiarirono gli occhi verde acqua, scendendo, lente, lungo le guance paffutelle e rosicce, per poi gettarsi inevitabilmente in un lungo salto nel vuoto. Il ragazzino, di qualche anno più grande, la guardò stizzito, incrociando, noncurante, le braccia al petto... non sapeva, in realtà, neanche quale fosse il suo nome: suo padre le aveva detto soltanto che la famiglia Rossi si era trasferita nella casa accanto da meno di qualche giorno, e che, se avesse voluto giocare con i figli dei vicini, avrebbe dovuto condividere con gentilezza i suoi giochi e mostrarsi cortese nei confronti dei nuovi arrivati.

Ma se la famiglia Rossi era tutta uguale a quel bambino... beh, allora, preferiva proprio non averci nulla accheffare.

«Ridammela, perfavore!», lo implorò ancora, indicando, con il minuscolo indice, la motocicletta di plastica, rossa e scintillante, che il più grande custodiva gelosamente sul palmo aperto, sollevata verso l'alto, come la torcia lucente di un esploratore all'interno di una caverna medievale, per impedirle di raggiungerla. La differenza di altezza notevole la tradiva.

Egli gonfió il torace stretto ed impreparato, riempì d'aria i polmoni e poi, con un lungo sospiro, lo espulse, imponendo un ritmo regolare al respiro convulso, come un'atleta che si prepara alla gara. Quella ragazzina lo stava proprio sfiancando!

«No, non te la ridò...» la lapidò, acido e sprezzante, mentre l'aria avvelenata fuoriusciva dalla bocca, bruciandogli la trachea. «Le moto non sono per le femmine!» ribattè, una smorfia di disgusto e di disprezzo gli adombrava il viso pallido, dai lineamenti squadrati.

La piccola sussultò, sgranando gli occhi di colpo, il vestitino bianco di tulle svolazzava a ritmo di vento, ed ogni respiro le feriva la gola come un rogo di spine. Rivolse a lui il visino umido e gli occhi lucidi, imploranti.

«Sei cattivo!», lo accusò, artigliandogli i lembi della maglietta nera tra le dita, stringendola appena; ma un gesto brusco ed inopportuno, da parte di lui, le fece perdere l'equilibrio nelle gambe ancora instabili e, di conseguenza, farla crollare, a peso morto, sull'erba umida di brina, senza produrre alcun suono. Il ragazzo, consapevole di quanto aveva appena fatto, si girò di scatto a guardarla dall'alto: seduta sul terreno, le manine sporche di fango, gli occhi lucidi, lo sguardo affranto rivolto nel vuoto. Uno strano freddo gli salì su per le gambe, ed il rossore delle guance si dissolse. Le fronde erano ferme, nessun alito di vento percuoteva le foglie, se non quelle sui rami più alti: nessun altro suono, come se tutto, intorno, fosse in attesa delle loro parole.

«Ahia...» piagniucolò la bambina, flebilmente, raccogliendosi d'istinto le lacrime che le offuscavano la vista, con il palmo sporco di terra, macchiando le gote di fango e ferendo le pupille chiare e brillanti, come contenuti da una minuscola stella.

«Ti... ti ho fatto male?» le domandò il più grande, incespicando tra le parole. Si accovacciò accanto a lei, per poter analizzare la sua espressione sconvolta: i riccioli biondissimi, raccolti in un codino disordinato sopra la nuca, le incorniciavano il viso dalla pelle ambrata, rendendola ancora più graziosa di quanto fosse.

La piccola annuì, tremando, scrutandolo impaurita.

«Scusa, scusa... io non volevo...» si giustificò lui, grattandosi la nuca, in chiara difficoltà. «Se smetti di piangere te la ridò... tieni.», provò a rimediare, optando per la scelta più matura, addolcendo il tono, e ponendo il giocattolo, ancora intatto, tra i fili d'erba intrecciati.

Ella lo ammirò, visibilmente sorpresa da quel gesto; le labbra piccole ma piene si piegarono in un accenno di sorriso, mentre, con i pollici caldi, il ragazzo le asciugava le guance umide.

Forse, il piccolo Rossi non era poi così cattivo, come sembrava...

«Possiamo giocarci insieme.», suggerì di contro lei, osservando il giochino riverso sull'erba, per il quale aveva tanto pregato il suo papà, affinché lo acquistasse. Il bambino sorrise a sua volta, sincero, come può esserlo soltanto un bambino che ancora non comprende il complesso mondo adulto: i capelli ribelli, esattamente come lui, gli coprivano la fronte, quasi fin sopra gli occhi d'oceano.

«Io sono Valentino.» si presentò alla fine, sporgendo la mano aperta, in segno di amicizia. Lei non esitò a stringerla tra la sua, piccolissima: «Io sono Emma.» gli disse, mentre le lacrime incrostste sulle guance divenivano soltanto un flebile ricordo di quella funesta giornata di sole.

«Amici?», le domandò, abbozzando un ghigno affettuoso, insicuro ma improvvisamente speranzoso di un possibile legame.

Emma gli sorrise a sua volta, priva di menzogna, lo sguardo puro ed innocente: «Amici!»

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Bevenute, carissime. <3
Un'altra opera sulla MogoGp??? Eh già, temo sia inevitabile. È quello il mio posto, dove mi sento a casa, e sono sicura che molti di voi potranno capirmi. :) Onestamente, ancora non riesco a ceredere di essere quì, a pubblicare questa fanfiction. Non perché me ne vergogni, ma perché ai tempi in cui è stata scritta (sul retro del mio quaderno di scienze 🙌 very good), ne ero incredibilmente gelosa, al punto da privare persino alla mia prof di correggermi i compiti. 😌😌😌 Apparte ciò: Vale è stato il propulsore della mia vita funesta, ed io gli sarò sempre grato per questo. E pensare che ancora non sono riuscita ad abbracciarlo. :') Ce la farò (almeno credo lol).
Buona lettura a tutte voi, spero tanto sia di vostro gradimento.
In caso, fatemelo sapere tra i commenti. ❤️ Al prossimo capitolo.
§ Luisana §

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 17, 2019 ⏰

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