8 Peccato di lussuria

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Nonostante gli ultimi due giorni dagli Squartatori, Thomas non si era ancora ripreso dalle rivelazioni di Winston. Ora tutti i pezzi del mosaico si stavano ricomponendo: ecco perché Newt gli aveva dato una stanza singola, ecco perché gli aveva fatto il piedino a pranzo, ed ecco perché gli aveva palpato il culo. Non sapeva nulla di cosa doveva aspettarsi. Lo avrebbe stordito e portato in camera? Lo avrebbe fatto chiamare direttamente? Non lo poteva sapere, ma era così agitato che nell'ultima sera da Squartatore non riuscì neanche a mangiare.
"Tutto bene?" gli chiese Minho preoccupato "non hai toccato cibo".
"Non ho fame".
"Che succede? Ora che sai cosa succede agli animali non mangi più?".
Ridacchiò, e per un solo istante Thomas si sentì meglio.
"Non hai tutti i torti. A te come va il lavoro?"
"Bene. Questo mese come puoi ben vedere sto qui al castello".
"Chi sono partiti?".
"Ragazzi che conoscerai quando farai l'apprendistato da me".
"Okay. Mangia tu io vado a dormire".
Gli porse il piatto e senza aggiungere altro scomparve in camera sua. Per un attimo credette di trovarvi Newt, sdraiato sul letto pronto a dominarlo, ma per fortuna era stata soltanto un'allucinazione.
"Come sei andato?".
Thomas urlò come una checca isterica, saltando come un coniglio allontanandosi  dall'entrata con un salto, guardando la porta: c'era Newt, e sorrideva.
"Per favore, niente infarti del genere!".
"Lo sai che quando termini un apprendistato mi informo sul tuo operato e ti mando a chiamare".
Speriamo che Winston non gli abbia raccontato riguardo alle mie domande, sperò Thomas, sudando freddo.
"E che ti ha detto Winston?".
"Che hai lavorato molto bene, e che ti sei sempre informato su dubbi o perplessità".
"Ah, okay. Domani inizio con i Medicali?".
"Esatto. Conoscendo Clint e Jeff, verrai affidato a Teresa, la migliore tra i Medicali, ma la conoscerai domani".
"Capito. Buonanotte".
"Notte, Tommy".
Thomas sbatté la porta prima di urlare terrorizzato, cosa che non fece per non farsi sentire. Tommy? Lo aveva chiamato Tommy?! No no no no no non poteva essere, deve aver per forza sentito male, ma anche se cercava di mentire a sé stesso, era chiaro quale fosse la verità.
Sono ufficialmente l'Eletto...

Il sole fu la peggior cosa per i suoi occhi. Aveva avuto la notte in bianco, e fatalità si era addormentato solo un'ora prima che il sole lo svegliasse. Prima di andare in mensa si fece un bagno nella vasca d'acqua fredda, affiancata a quella termale. Un fresco benessere lo avvolse, il profumo di fiori e oli che gli entravano dentro come per purificargli l'anima. Le altre volte si faceva bagni caldi, ma stavolta aveva bisogno di freddo, data l'estate appena giunta. Quando terminò si rivestì e poté andare in mensa, più carico e rilassato. Si sedette a un tavolo e fece colazione; come se lo aspettava, venne raggiunto da Minho, subito dopo aver finito.
"Buongiorno Pivello. Allora, sei fresco e riposato?".
"Dopo una doccia fredda sì. Tu?".
"Assolutamente sì. Mi sto rilassando al meglio, per avere le energie necessarie per lavorare il mese prossimo".
"Quando parti?".
"Il primo di luglio, e per la tua gioia torno ad agosto".
"Già. Non so cosa farei senza il tuo umorismo".
Anche se l'aveva buttata sullo scherzare, era la verità. Quasi tutte le mattine si scambiavano quattro parole, e anche se erano poche, gli bastava per migliorare la giornata.
"Io vado", disse alzandosi.
"Aspetta. Domani sera in dormitorio daremo una piccola festa tra noi. Perché non vieni? Almeno ci potrai conoscere meglio".
"Certo! Perché no".
Minho sorrise e gli diede una pacca sulla spalla.
" Ci si vede amico".
Se ne andò com'era venuto. Thomas non seppe il perché, ma quella pacca appena ricevuta non gli piacque, o meglio, gli diede disagio. L'unica persona ad averlo toccato nella Radura era stato Newt, e non aveva mai capito le emozioni che aveva provato. Ora che si poteva confrontare con la pacca di Minho, si rese conto che i migliori contatti li aveva avuti con Newt. Li piaceva, e solo ora lo aveva compreso. Non perse più tempo e si diresse all'infermeria. L'interno non era per niente come l'esterno. Era pulito e profumato, il pavimento di pietra bianca e i muri grigiastri; era suddiviso in due piani, collegati da una scala interna di mattoni. C'erano una quarantina di letti in ogni salone, venti da una parte e il resto dall'altra, in totale ottanta letti. Ognuno di essi era affiancato da un mobiletto di legno con sopra una candela, al momento tutte spente. Non c'era nessuno al piano terra, ma si poteva udire dei lamenti e delle voci al piano superiore, mescolati a rumori di passi e oggetti metallici che tintinnavano.
"Thomas!".
Una vocina urlò il suo nome. Era una bambina, la sua bambina, quella che aveva trovato al villaggio. A quanto vide, non si era dimenticata di lui. Le mani erano guantate, i capelli come oro liquefatto che le ricadevano sulle spalle, gli occhi come cortecce d'albero.
"Lizzie!", sorrise mettendosi in ginocchio.
La piccola lo abbracciò forte, avvolgendogli le braccia attorno al collo. Thomas ricambiò.
"Come stai?", le chiese stringendole il volto.
"Bene! Teresa è la mia migliore amica. Mi ha curata, e ora sto bene".
"Conosci Clint e Jeff?".
"Sì, ma non sto mai con loro. Lavorano sempre".
Thomas sorrise di nuovo, ma poi dalle scale scese una ragazza. Doveva avere diciassette anni, il pallido volto incorniciato da lunghi capelli, setosi e corvini. Gli occhi erano come due zaffiri, un sorriso che la rendeva più radiante. Indossava un abito a gonna lungo fino alle caviglie, bianco e privo di decorazioni.
"Tu devi essere Teresa", disse Thomas alzandosi in piedi.
"Sì, e tu devi essere il famoso Thomas, vero Lizzie?".
La bambina la guardò e annuì.
"È venuto! Come mi avevi promesso!".
"Sì piccola, ma non urlare. Ben e Aris si devono riposare".
"Okay...".
Teresa sorrise e la raggiunse, mettendosi alla sua altezza.
"Clint e Jeff hanno bisogno di una mano. Li aiuteresti?".
"E tu?".
"Io faccio fare il giro turistico a Thomas".
"Va bene".
Sorrise e salì le scale, scomparendo.
"Ti devo parlare", disse lui all'improvviso.
"Le domande meglio se le fai alla fine, per ora ti spiego-".
"Non c'entra col lavoro. Riguarda l'Eletto".
La ragazza parve perdere un anno di vita.
"Come lo sai?".
"Tu cosa sai a riguardo?".
Si sedettero su un lettino e Thomas spiegò tutto quello che gli aveva raccontato Winston. Teresa si fece più cupa ogni parola che sentiva, e i suoi occhi si spensero poco a poco.
"Te lo ha detto...".
"Sì. Tu cosa sai a riguardo?".
Si guardarono negli occhi.
"Newt aveva dieci Eletti, e se li faceva ogni sera, due per volta. All'inizio erano marchiati con un 250, ma adesso c'è il 69. Ne era ossessionato, non poteva più farne a meno...".
"E come sono morti?".
Gli occhi di Teresa si inumidirono.
"Li uccise lui, due anni fa. Eravamo nella sala del trono, noi due soli. Mi chiese di portargli una spada, poi più nulla...non vidi niente, ma sentì tutto...".
"E cos'hai sentito?".
"Urla strozzate, mugolii di dolore...c'era una puzza di sangue da far venire il vomito. Thomas" gli strinse la mano fortissima "erano morti, anche se non vidi mai i cadaveri".
"Quindi...tutti gli Eletti muoiono dopo un po'?".
"Ce li aveva da sempre, e non so perché li abbia fatti fuori. Forse si era stancato...".
Thomas si staccò dalla presa e senza dire niente uscì dell'infermeria, terrorizzato al solo pensiero di dover morire.
Voglio tornare a casa
Ma quando rientrò nel palazzo, a un niente dalla porta in cui c'era la propria stanza, qualcuno da dietro gli bloccò i polsi, tappandogli la bocca con un panno. Si dimenò, ma la presa era ferrea, e l'odore del tessuto sul naso lo stava indebolendo sempre di più, fino a fargli perdere i sensi.

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