CAPITOLO 5

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Il mal di testa sembrava esser diventato una parte di lei a tal punto che a malapena ci faceva caso, a quel dolore martellante che la assillava da quando aveva ripreso coscienza. Aveva preferito starsene in silenzio, con gli occhi chiusi, piuttosto che svegliarsi ed affrontare la spiegazione di ciò che aveva visto quella notte. Perché si, voleva e pretendeva delle risposte. Un sospiro tremulo le uscì dalle labbra. Si chiese cosa centrasse Deborah in tutto ciò, e come avesse fatto Kael a trasformarsi in un cane gigante.

«Hai intenzione, prima o poi, di aprire gli occhi o preferisci fingere di star dormendo ancora per molto?» Riconobbe il tono tranquillo con estrema facilità. Rimase in silenzio, indecisa su cosa fare, se rispondere o meno. Affianco a lei, Kael teneva i gomiti poggiati sul materasso e la osservava con divertimento.

Eloise aprì gli occhi poco a poco ed inclinando il collo incontrò lo sguardo del giovane, già puntato su di lei. Si era fatto la barba e doveva aver spuntato i capelli, perché aveva gli occhi scoperti ed i ricci non gli nascondevano più completamente la fronte. Inspirò il suo odore a pieni polmoni, riempiendosene le narici. Sapeva di dopobarba e di fumo, un mix strano che però le fece agitare lo stomaco. Si guardarono per alcuni istanti, lei con la serietà e la gravità di ciò che stava accadendo a gravarle sulle spalle e lui con la lucidità di chi doveva avere un minimo di controllo.

Neal e Deborah erano tornati nelle loro rispettive abitazioni, dopo la lite che si era scatenata il pomeriggio precedente, con la promessa di tornare in serata per accertarsi che le condizioni di quell'umana fossero stabili. Il primo avrebbe dovuto organizzare una riunione con il resto del branco, interrogare Jèremias e preparare un piano sul da farsi. La seconda avrebbe dovuto superare la sconfitta che le gravava sul petto per aver fallito nel suo incantesimo.

«Acqua.» Eloise si portò le mani alla gola. Se la sentiva ardere. Sfiorò le labbra con un dito e le trovò secche, screpolate e spaccate: un po' per il freddo ed un po' per la prolungata assenza d'acqua. Le mani di Kael afferrarono velocemente la prima bottiglia d'acqua che trovarono. Ne svitò il tappo e poi gliela passò. La ragazza poggiò i palmi delle mani contro il materasso e con un piccolo sforzo si mise seduta, poggiando la schiena contro la tastiera del letto. Afferrò la bottiglia e ne svuotò metà in appena qualche secondo. «Cosa...?»

Non seppe come continuare la frase. "Cosa sei?", oppure "cosa è successo?". La sua mente sembrava un parco giochi di domande e di dubbi, di punti interrogativi e di risposte in sospeso.

«Ti ho preparato la colazione.» Innervosito, Kael si alzò dalla sedia di legno che si era portato dietro dalla cucina. «In bagno c'è un cambio d'abiti. Fatti pure una doccia.» Eloise contrasse le labbra in una smorfia di disappunto. Avrebbe preferito parlare in quel momento, ma annuendo gli diede ragione. «Ti aspetto di sotto, eachtrach.»

***

Eloise alzò il viso e mise le mani sulle proprie spalle, aspettando che il getto caldo della doccia le colpisse la pelle nuda, lavandola. Si sentiva sporca, strana. Aveva dovuto impiegare almeno dieci minuti in più per lavarsi per fare attenzione che il taglio lungo il fianco non si aprisse, ed ora bruciava come l'inferno. Si sfregò gli occhi con i polpastrelli ed uscì dal box doccia, afferrando il primo asciugamano che le capitava a tiro. La calma parziale che aveva riempito la casa da una parte la rilassava, ma dall'altra faceva crescere quel groppo in gola che avvertiva da quando si era svegliata.

Si chiese come facesse a non impazzire. Aveva visto un uomo trasformarsi in un lupo e combattere con un altro esemplare della sua stessa specie. Quando poi si era svegliata, si era ritrovata in una casa che non conosceva con degli estranei. Poggiò la fronte contro le piastrelle bianche del muro, e lanciò un'occhiata di sbieco al proprio riflesso nello specchio: un disastro. Con i capelli bagnati, una cera da far invidia ad un albino e le profonde occhiaie che le abitavano il contorno degli occhi, sembrava più una malata che una ragazza di ventitré anni. Afferrò i vestiti poggiati sul lavandino e se li rigirò fra le mani. Era tutta roba troppo larga, ma probabilmente l'avrebbero tenuta al caldo meglio di quanto avrebbero fatto i suoi pantaloncini.

WOLF'S HOWL | In RevisioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora