5 - LEANAÌ

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Un pallido filamento si immise tra le foglie: l'epifania di un primo sole ancora acerbo.

Feci appello a ogni briciolo di forza che mi avanzava in corpo per cercare i suoi occhi, le gemme d'ambra in cui si agitavano lampi sanguinari. Quando aprii la bocca, la voce scaturì in un sibilo: «Sei una vera delusione».

Il ghigno del Viesczy sfiorì appena. «E perché mai, di grazia?»

La suola della scarpa schiacciò ancora lo sterno. Gemetti, ansimando con la disperazione di un affogato che brama ossigeno. «Ho ascoltato i racconti sull'Ombra Bianca, ci ho creduto fino a sognarli. Dicevano che... che giocasse con le sue prede per l'eternità. Oh, ma forse... una morte veloce e indolore è nettamente migliore.»

Gorazd assottigliò lo sguardo e allentò la pressione. «Sei tu che stai giocando con me.»

«Conosci la mia traccia, puoi trovarmi quando lo desideri. Perché affrettarti, con il tempo a tua disposizione?»

Le ombre di un impulso primordiale, scuro e freddo quanto l'inverno eterno della Calotta artica, colarono fra i suoi lineamenti cesellati. Avvicinò il volto al mio, allungando le dita fino a sfiorare il profilo della mandibola in una carezza flemmatica, con il dorso lievemente convesso degli artigli. «Speravo avessi una maggiore considerazione della mia intelligenza, devochka. Credi davvero che sia così stupido?»

Pepite iridescenti piovvero dal ritaglio di cielo incastonato fra le fronde, attraverso la coltre di nuvole. Non appena gli sfiorarono la schiena, Gorazd emise un grido simile al lamento di una bestia ferita, scattò all'indietro e si rintanò nella sagoma d'ombra disegnata dalle chiome degli alberi. Si passò la mano sul punto colpito dal sole, da cui risalirono volute di fumo opaco.

Mi trapassò da parte a parte e scoprì le zanne acuminate con un sibilo, le iridi d'ambra crepitanti d'odio.

«A quanto pare» dissi, alzandomi, «lo sei».

Il sibilo traslò in un ringhio cavernoso, che ribollì dal fondo della gola. Il petto di Gorazd si alzò e si abbassò, scosso dalla frenesia della frustrazione. Incurvò le spalle, assumendo una posa che aveva ben poco di umano, ed ebbi l'impressione che la sua muscolatura si stesse gonfiando.

«Non potrai fuggire per sempre.»

Sputò a terra e scomparve, lasciandosi dietro l'eco della sua promessa.


*

Scalai l'ultimo gradino naturale che conduceva al Palast con le gambe che fremevano per il dolore e la fatica. Entrai nella sala dei draghi con lo sguardo basso: le ginocchia pulsavano, il sangue secco misto a terriccio mi ricopriva i polpacci e il viso, avevo i capelli annodati e pieni di rovi.

Arok e Flynn si affacciarono dal rialzo in roccia e il ruggito del mio drago si propagò per la caverna: «Beatrice!».

Arok mi analizzò attentamente, mentre scendeva strisciando lungo le scalinate naturali. La sufficienza vibrò nella sua voce, celando a stento la sorpresa: «L'umana è tornata davvero».

«Beatrice, cosa ti è successo?»

Mi fermai lì dov'ero senza riuscire ad alzare gli occhi. La notte gelida, gli occhi cavi del Nuckelavee, le ferite, il sorriso lugubre di Gorazd, la fame, la sete: tutto riemerse dal polveroso angolo della mente in cui avevo stipato le sensazioni delle ultime ore. Con un ultimo tremito crollai sul pavimento e ruppi gli argini del pianto.

Gorazd mi avrebbe trovata, mi avrebbe uccisa. Quella notte avevo guardato in faccia la morte, e non volevo che accadesse ancora.

Flynn mi raggiunse, il muso alla mia altezza, ma non accennai a restituirgli lo sguardo. «Chi ti ha ridotta così?»

BAZAL'TGOROD | Città di basalto (Vol. I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora