❛La Pietà di San Pietro❜

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Vi ho già parlato della mia laurea in medicina, no?

Beh, è proprio grazie a questo traguardo che ottenni un premio, lo stesso che mi avrebbe portato da Namjoon.

«Un attimo di attenzione, prego!» esclamò mia madre, alla fine della cena in mio onore, che aveva organizzato con tanta cura, invitando praticamente tutta Busan.

«Mio figlio, a soli ventidue anni, è diventato un medico!» urlò subito dopo, facendo partire uno scroscio infinito di applausi e grida di gioia, mettendomi tremendamente in imbarazzo, come solo una madre riesce a fare.

«Per premiarlo,» aggiunse mio padre, alzandosi in piedi accanto alla moglie «abbiamo deciso di regalargli una vacanza!»

Vidi Seokjin e Jimin imitare i miei genitori, per poi correre accanto a me e mostrarmi tre biglietti, come se avessero appena vinto alla lotteria.

«Andremo in crociera, Kookie!»
«Jk, ci divertiremo un mondo!»
«Esatto, esatto! Ben due settimane nell'oceano indiano, tra isole verdi e acque splendenti, sarà bellissimo!»

Continuavano ad urlare felici, impazienti di partire, e non potei fare a meno di unirmi a loro, abbracciando la mia famiglia e ringraziandoli di cuore.

Sarebbero state due settimane divertenti, ne ero convinto.

Non sapevo ancora che sarebbe finito tutto al quarto giorno.
Non sono mai stato un supertizioso, ma ho sentito le voci che girano da sempre sul numero quattro, che nella nostra lingua ha la stessa pronuncia della parola 'morte'. Il quarto piano e i posti numero quattro vengono spesso e volentieri saltati negli edifici e nei luoghi pubblici, ma non ci avevo mai fatto veramente caso.
Quel giorno, però, -il quarto della mia vacanza, per l'appunto- mi chiesi se la sfortuna non esistesse davvero, se quel numero non portasse veramente alla morte, a cui finii terribilmente vicino.

Il 28 luglio 1920, Seokjin, Jimin ed io ci trovavamo al porto, in attesa di venir controllati e lasciati passare, per poter correre nella nostra camera e fiondarci sui nostri letti.

«Ci sono un sacco di giapponesi» disse d'un tratto Jin, cercando di spezzare il silenzio tra noi.

«Ti devo ricordare sotto chi stiamo da dieci anni?» replicò divertito Jimin, dando un buffetto simpatico al braccio del nostro amico.

«Sí, in effetti noi siamo qua solo grazie alla posizione aristocratica dei nostri genitori, sennò staremo-»

«In guerra o tra le file dei rivoluzionari» mi interruppero loro, storpiando la mia voce.

«Lo dico così spesso?»

«Oh sí, cavolo, tutte le volte che ci vedi ci ricordi di come sia importante riconoscere di essere stati fortunati, perché con tutta questa storia dell'Impero Giapponese eccetera stanno accadendo fin troppi spargimenti di sangue inutili e bla bla bla» rispose il più alto, fingendosi annoiato.

«Signorino Kim, siete sempre così irrispettoso» lo riprese Jimin, ridacchiando.

Nonostante il cosidetto "Dai Nippon Teikoku", ovvero "Impero del Grande Giappone", fosse estremamente potente, alla popolazione benestante non importava più di tanto.
Tutti, avendo studiato, sapevano che nel 1904 era iniziata la guerra russo-giapponese, per il controllo del nostro territorio e della Manciuria, o che nell'agosto del 1910 il Giappone aveva acquisito la sovranità sulla Corea, mettendo fine al nostro "Daehan-jeguk", il piccolo impero che avevamo dal 1897, nato dall'ardore del grande re Gojong. Nessuno, però, tra gli aristocratici e i grandi proprietari terrieri, è mai rimasto troppo a pensare su questa situazione, poiché a loro non sembra cambiare più di tanto.
Eppure, sapere di essere passati dal titolo di prottetorato giapponese, a quello di "colonia Chōsen", dovrebbe far paura a chiunque e non solo ai poveri.
Chi vive in alto fa finta che il termine "colonia" si innocuo, quando in realtà significa ben altro: questo ora è un territorio in cui la sovranità non appartiene più alla popolazione autoctona, ma ad uno stato straniero, che lo occupa militarmente, ne utilizza le risorse naturali e lo amministra a proprio comodo e piacere.
Non importa nulla a nessuno, nè alla mia famiglia, nè ai miei amici, perché finché le rivoluzioni e insurrezioni sanguinose -come quelle avvenute giusto un anno prima- non li intaccavano, andava tutto bene.
Da parte mia, speravo con tutto il cuore che le cose cambiassero, come sembrava prevedere l'aumento dei giornali in lingua coreana, ma non sapevo che non avrei mai potuto vedere la vittoria o la sconfitta definitiva del nostro Paese, accaduta molti anni dopo probabilmente.

COR EX LAPIDE┃namkookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora