Come la morta morì

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Come la morta morì

La piccola città era calata nel silenzio più totale. Non c'era più nessuno per le strade di mattonelle rosse, e anche i negozi erano vuoti. Raramente incontrava qualcuno che, allontanandosi a passo svelto, guardava in alto con aria preoccupata. Le nuvole si erano avvicinate e sovrapposte, creando strati e strati di soffice terrore. Grigie e scure, a volte tuonavano e il loro ruggito correva veloce. Muoveva le foglie degli alberi che fiancheggiavano la via, e che riparavano i negozi quando d'estate i raggi più roventi si scontravano sui tetti. I rami fruscianti e il fischio acuto, come un lamento, del vento erano la colonna sonora di quello scenario estivo, un pomeriggio fino a pochi minuti prima soleggiato. Le imposte di una qualche finestra sbattevano violentemente contro il muro di una casa che era fuori dal suo campo visivo, ma il suo udito era pieno di quel rumore secco. I lampioni alti erano accesi e lanciavano fasci di luce nel grigio-azzurro del cielo.
Camminava con un'andatura lenta, ma le pareva anche troppo veloce. Si guardava i piedi, intanto: erano ormai abbastanza sporchi, avevano raccolto il nero della sporcizia della strada, e percepiva l'umidità attaccarsi alla pelle come miele fuso. Li metteva uno davanti all'altro, ben attenta a seguire quel tracciato immaginario. La pianta doveva posarsi esattamente al centro della linea invisibile, non troppo a destra, non troppo a sinistra, e avanzava con le braccia sui fianchi, bilanciando il peso come fosse un'equilibrista. Riusciva a sentire sotto alle dita tozze e ai talloni la ruvidità dei mattoni; sentiva, toccava, prendeva parte a qualsiasi cosa ci fosse intorno a lei per la prima volta in mesi, forse anni. Il vento sferzava le sue gote, il naso, il vestito aderiva ai suoi fianchi e alla sua pancia, ed era come ricevere schiaffi, la pelle formicolava in un macabro crescendo.
L'umidità era opprimente e la comprimeva.
Una goccia le cadde sulla fronte, calda, pesante, piena. Scivolò lungo il suo viso, fino al mento, per poi cadere. La scia d'acqua era lì, su di lei, sulla sua pelle, sentiva pure quella. Un'altra goccia. E un'altra, sui capelli. Poi sulle spalle. Una colpì il piede destro, un'altra la sua mano, poi di nuovo la faccia. La velocità e la frequenza a cui cadevano continuò ad aumentare, rendendo impossibile per lei tenere il conto di quali e quanti punti del suo corpo venissero colpiti. Rinunciò a quella sfida -tanto ormai era abituata a, semplicemente, "passare oltre", perdendo ogni momento ma senza rimorsi-, accontentandosi di assaporare quella raffica di proiettili che le pioveva addosso.
Aveva alzato gli occhi al cielo, e le gocce che le finivano tra le ciglia si insinuarono nei suoi occhi. Non distolse lo sguardo; non per sfida, quanto per abbracciare ulteriormente quel contatto bollente e gelido che sembrava volerle forare la pelle che, ne era sicura a quel punto della sua esistenza, era decomposta, secca e raggrinzita già da tempo. Abbracciava quel tocco feroce che la faceva sentire viva,

Eppure era così abituata a essere morta.

Il terreno sotto ai suoi piedi cambiò di nuovo. Era granuloso ma fine, duro ma così accogliente; soffice, e al tempo stesso doloroso. In pochi secondi diventò zuppo, più compatto. La sabbia si appiccicava ai suoi piedi, provocando mille minuscole fitte ogni qualvolta un sassolino lievemente più grande piantava la sua testa sotto alla sua pelle così delicata e sottile. E quelle minuscole fitte le sentiva per davvero, stranamente, erano così tremendamente vere e dolorose, quasi piacevoli, un sollievo per il suo cuore putrefatto. Voleva girare la testa, osservare le sue orme, ma aveva paura che le ricordassero che lei era morta, con la loro illusione.
Ciò che rimaneva di una persona erano solo le orme?
Un buco vuoto nella spiaggia così piena, incolmabile, ipocrita, ingannevole, non le apparteneva davvero, non era lei quell'impronta bizzarra. Giusto? Le avrebbero ricordato inoltre che aveva dovuto alzare il piede per fare un altro lentissimo passo, che quindi per troppo tempo l'unica cosa ad avvolgerla era stata l'aria; ma ne aveva abbastanza di non sentire nessuno dei suoi arti. Invece, ancora con la testa reclinata all'indietro, portò le braccia all'altezza delle ginocchia, le incrociò, afferrando l'orlo bianco, e infine le buttò sopra di sé. Il rumore del vestito che si riempiva della tempesta le colmò i timpani, unendosi allo scroscio del cielo che si riversava su di lei. La pioggia le baciava violentemente i seni e aveva quasi l'impressione che il vento volesse penetrare nel suo ombelico, per raggiungere gli organi e soffiare un po' di vita, risvegliarla dal torpore della morte.
Abbassò lo sguardo, finalmente, per osservare l'immensità della spiaggia e la linea tra quella e l'oceano, senza distinguere l'inizio del cielo dalla massa d'acqua plumbea. Batté le palpebre insieme, facendo cadere sotto di sé, insieme alle gocce di pioggia che le avevano violentato gli occhi, la foschia che le sfocava la vista. Ed era bellissimo sentire l'acqua cadere dalle rime e dalle ciglia.
Abbassò gli occhi sul corpo nudo, bagnato, e sui piedi, che ora l'avevano portata dentro all'acqua. Era rimasta quasi calma, fatta eccezione per qualche piccola cresta che la increspava non appena toccava la riva. Avanzò ancora. Il freddo che prendeva possesso prima dei piedi, poi delle gambe e del ventre, del petto, del collo, era vero, decisamente più tangibile delle mattonelle, del vento, della pioggia, della sabbia, del vestito sulla sua pelle e poi nell'aria. Era presente sopra e dentro di lei, squarciava il suo corpo e finalmente era in grado di afferrarne ogni angolo, ogni centimetro, tutte le curve e tutti i particolari. Immerse anche la testa. Un cerchio gelido le cinse violentemente la fronte, l'acqua algida prese a schiaffi le sue guance, sentì ogni singolo capello separarsi e turbinare intorno a lei come un'aureola scombinata. Gli occhi aperti bruciavano tanto da farle male, e ciò le provocava immenso piacere, perché voleva dire che in effetti li aveva ancora, gli occhi. Schiuse di scatto le labbra screpolate, e l'acqua le riempì la bocca, ma in un millisecondo era arrivata nella sua gola; la sentì scorrere fino all'altezza dello stomaco, una volta che chiuse nuovamente le labbra e ingoiò quel groppo salato. Anche le narici erano riempite dall'acqua.
Così gelida, la faceva bruciare!
Era la fiamma nell'incendio, qualcosa dentro di lei stava scoppiando, ed era così bello, così doloroso, così strano ed estraneo: quindi era vero ciò che dicevano quelle persone, lei li aveva ancora gli organi interni, era ancora un ammasso di carne e chissà cos'altro. Tutto dentro di lei improvvisamente funzionava di nuovo, il suo sistema cercava di combattere l'acqua e il freddo, ma lei non se lo permise. Si tenne a una roccia del fondale con le mani, anche se non si sentiva più le dita. Strinse di più. Non aveva ancora raggiunto il suo massimo. L'unico modo per provare che non era morta come credeva, perché il suo subconscio sotto sotto rifiutava quella orripilante idea di cui era talmente convinta, per sentirsi viva, era morire, e così avrebbe saputo che prima di quel momento fatale, di quel punto di non ritorno, era stata.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 04, 2019 ⏰

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𝐒𝐢𝐱 𝐅𝐞𝐞𝐭 𝐔𝐧𝐝𝐞𝐫Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora