Squadra

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<Sono dispiaciuto che non possiate fermarvi qui con me, ma nello stesso tempo, sono contento che siate riusciti a risolvere il mio indovinello... o per lo meno, a raggirarlo> ci disse Desmond. Ero così felice: come un atleta che dopo un lungo allenamento vince finalmente una gara, io stavo in quel momento "alzando" la coppa della vittoria. Sorrisi e mi voltai verso Dylan che, nonostante cercasse di mantenere il suo solito atteggiamento pacato e contenuto, "sfoderò" un sorriso sgargiante, che quasi risplendeva più del lampadari della sala. <Bene, sono tutto vostro...> ci disse Desmond. Dylan tornò ad essere serio in volto, e con fare minaccioso si avvicinò al suo obiettivo. Mentre stava camminando trattenni il suo braccio, per ricordargli il nostro patto, e per un secondo tra di noi ci fu uno sguardo di intesta, che però mi convinse al 100% della sua leale collaborazione. In quel caso Dylan non utilizzò nessuno strumento donatogli da Morfeo, in quanto persino Desmond aveva mostrato consapevolezza delle sue azioni e del suo modo di vivere avaro ed egosita. Toccò la sua spalla con una velocità impressionante, come aveva fatto in precedenza con Juliet. In questo caso però, invece che trasformarsi in una marionetta, Dyaln diventò completamente d'oro. <Il contrappasso colpisce ancora...> pensai tra me e me. Era arrivato il mio turno ora. Dylan si scansò e io utilizzai l'ocarina. Quest'ultima emise una melodia diversa dalle solite: il suono era forte e duro, quasi fosse una litania a mo' di riprovero. Notai che però qualcosa stava cambiando: benchè infatti Desmond fosse ancora una statua dorata, dopo pochi istanti, iniziò a muoversi. Era vivo. Ci guardò come se fosse un robot appena venuto alla luce grazie al potere della tecnologia. <Grazie> ci disse, per poi lentamente disciogliersi in una pozza giallastra e incandescente. Aveva funzionato? Non ne avevamo la minima idea, ma sapevamo che l'unico modo per scoprirlo sarebbe staro verificare i fatti nella realtà. Dylan aveva fortuntatamente memorizzato la zona dove si trovava la porta di Desmond all'interno della Velvet Room e così facendo, avremmo trovato subito il nostro enigmista, in quanto, a suo dire: <... è come trovare una papera in uno stagno, è facile individuarla, se è l'unico punto giallo in una distesa blu>. Questo esempio non mi sembrò del tutto calzante, ma decisi di annuire senza rispondere, del resto ribattere non sarebbe servito a nulla. Uscimmo dalla Velvet Room e il giorno dopo ci dirigemmo verso la zona est di New York. Sarah non si unì a noi, in quanto era occupata con il lavoro, ormai diventata pasticcera stabile, alla "Molly's cupcakes". Io mi diedi malato, mentre Dylan non ebbe problemi, in quanto, come scoprii in seguito, lavorava presso un'officina di un amico, ma solo in base alle sue esigenze finanziarie, quindi mancare o meno non avrebbe fatto una grande differenza per lui. Ci dividemmo. La zona che aveva delimitato Dylan non era molto ampia, ma sicuramente un controllo separato avrebbe abbreviato i tempi di ricerca. Fu Dylan a trovare l'indirizzo di Desmond. Mi chiamò poco dopo e alla mia domanda: <Come hai fatto a trovarlo in così poco tempo?>, mi rispose: <Questione di esperienza ragazzo>. Come già detto in precedenza, Dylan non era di certo un uomo dalle lunghe conversazioni, o al quale chiedere spiegazioni... ma del resto, questo atteggiamento lo aveva portato avanti nella vita, perciò nulla e nessuno avrebbe potuto cambiarlo. Mi diressi verso la sua posizione. Mi stavo avvicinando a passo sostenuto, quasi correndo, e per sbaglio urtai un signore con un ombrello, facendolo cadere. Mi scusai e diedi una mano a quest'ultimo, che però, senza un minimo accenno, riprese a camminare. Il suo atteggiamento mi risultò abbastanza strano: non si era neanche girato per vedere chi lo aveva urtato... in più, perchè portava l'ombrello? Le giornate a New York erano ormai diventate calde e afose, e nessun telegiornale aveva dato notizia di brutte previsioni in arrivo... In ogni caso, avevo un compito da portare a termine, perciò non mi soffermai troppo sui particolari di quello "strano" individuo, e ripresi anch'io il passo. Rincongiuntomi con il mio "compagno di avventure", scrissi a Sarah, la quale, nonostante fosse a lavoro, era ansiosa di ricevere informazioni. La porta del palazzo era aperta ed entrammo. Ci dirigemmi verso l'appartamento di Desmond e bussammò alla porta. In una frazione di secondo, la porta si aprì, mostrandoci il nostro "persimonioso" uomo. <Vi stavo aspettando> ci disse. Ci fece accomodare in casa: l'appartamento era sciatto, privo di decorazioni o mobili di ogni genere
Un ambiente completamente diverso da quello che avevamo visto all'interno della reggia... Ci fece accomodare su alcune sedie di legno antico, probabilmente appartenenti al suo bis-nonno, ma utilizzate tutt'oggi pur di non spendere un soldo in oggetti "futili". Nonostante tutto però, di una cosa fui contento: Desmond era vivo. Parlammo per un paio di ore, nelle quali Desmond ci raccontò quello che era successo non appena io e Dylan lasciammo il suo sogno: egli infatti si era risvegliato completamente sudato, con i sensi di colpa che fuoriuscivano da ogni poro della sua pelle, accompagnati da un tremendo ed irresistibile istinto suicida... ma qualcosa però lo fermò. Si sentì come se una voce dal suo interno gli stesse dicendo, con tono brusco e severo, che doveva rimediare ai suoi peccati, e che finchè non l'avesse fatto, avrebbe dovuto continuare a vivere. <La strada più semplice sarebbe stata il suicidio, lo ammetto, ma quella voce, quasi melodica, mi ha convinto a desistere. Sono sicuro che sia opera vostra e per questo vi ringrazio. Da oggi cercherò di essere una persona migliore, in virtù di questa "seconda possibilità" che mi è stata offerta> ci disse soddisfatto. Concludemmo la conversazione augurandogli ogni bene, sperando che la sua voglia di cambiamento fosse sincera e reale. <Insomma? Che ne dici? Mi sembra un ottimo risultato, non credi?> dissi tutto orgoglioso a Dylan. Quest'ultimo mi guardò negli occhi, e come fa un padre con un figlio, mi mise una mano sulla spalla, come se avessi appena fatto canestro con la palla. Anche lui era soddisfatto di ciò che eravamo riusciti a fare e sopratutto, di ciò che finalmente eravamo diventati, cioè: una squadra.

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