Capitolo 14

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Finite le lezioni del giorno mi ricordai di dover passare a prendere il mio zainetto nell'appartamento di Jack. Stanca di tutte le informazioni che avevo assimilato durante il giorno mi trascinai verso l'edificio adibito alle abitazioni dei professori.
Arrivata di fronte alla porta iniziai a bussare e in un attimo Jack fu di fronte a me in tutto il suo splendore. Indossava i vestiti di casa, un paio di pantaloncini, una t shirt grigia e portava i suoi occhiali da vista perfettamente adatti al suo viso. 
-Buonasera..- iniziai io prima di entrare nell'abitacolo -..dovrei prendere il mio zaino.- 
Jack non disse nulla ma con un sorriso si spostò e mi fece segno di entrare. 
Senza pensarci troppo mi diressi in direzione del divano e iniziai a cercare la borsa, non avevo fretta ma stranamente provavo una certa inquietudine nello stare nella stessa stanza con Jack.
-Sophia, hai fretta? Hai qualche impegno? - mi chiese con una voce divertita l'uomo dietro di me che stava a braccia conserte poggiato su una parete.
Arrossii, mi vergognai per la situazione in cui ero, ero entrata come una furia per prendere le mie cose e volevo già andarmene.
-No scusa.. non volevo essere maleducata...- provai a giustificare in qualche modo il mio comportamento. Ma come sempre Jack fu comprensivo e per nulla offeso.
Feci un respiro profondo e provai ad essere più gentile di come ero stata, anche perché non era ciò che lui si meritava.
-Oggi c'è stato il seminario del professor Bovet sai..- tirai fuori un argomento a caso così da poter parlare liberamente senza che piombasse su di noi un clima pesante. 
-Bernard Povet, una grande mente..- commentò lui mentre prendeva dal frigo una bottiglia di vino bianco e due calici dalla dispensa -...anche io seguii il suo seminario all'università e quando iniziai a esercitare andai a molti suoi convegni.-
Presi il bicchiere che mi passò e ascoltai le opinioni di Jack sul lavoro del famoso dottore e professore. Una sfilza di informazioni uscirono dalla sua bocca ma dopo il primo bicchiere la sua voce si stava affievolendo nella mia mente e riuscivo solo a guardarlo, mentre muoveva il calice nella mano e mi spiegava tante cose. 
La nebbia bianca iniziava a circondarmi e mi impediva di vedere chiaramente l'uomo di fronte a me, lentamente la nebbia bianca divenne buio totale e crollai in un sonno profondo. 

Una mano fredda sul mio viso mi fece tremare, mi fece ricordare che mi ero addormentata e sobbalzai all'istante. 
-Hei, calma tigre. - disse a bassa voce Jack quando mi alzai di colpo e strattonai la sua mano che mi stava solo accarezzando la guancia. 
-Scusa, mi sono addormentata..- iniziai a stropicciarmi gli occhi ancora rintontita -Ora è meglio che io vada..- mi affrettai a dire prendendo lo zaino. 
-Ma..- Jack mi guardò deluso.
-Buona notte Jack..- lo interruppi e con un bacio sulla guancia mi fiondai fuori dal suo appartamento.
Mi affacciai alle finestre di fronte a me e presi una boccata di aria fresca sperando che la leggera brezza mi rinvigorisse o che almeno mi rendesse abbastanza sveglia da arrivare con le mie gambe al mio letto. Appena mi sentii meglio iniziai a scendere le scale per avviarmi verso l'uscita dell'edificio. 
Le luci sul corridoio erano quasi tutte spente, ma grazie ai lampioni al di fuori e agli altri edifici veniva proiettata abbastanza luce anche attraverso quel corridoio buio. Mentre scesi al piano inferiore vidi una figura in lontananza ferma davanti ad un portone, mi fermai sperando non mi notasse se non mi muovevo, ma la mia speranza fu vana. 
Due occhi verde scuro si spostarono su di me e subito li riconobbi, la paralisi iniziale fu nulla in confronto a ciò che provai dopo: il fiato mi si mozzò e le ginocchia tremavano. 
-Sophia White..- pronunciò il mio nome in modo lascivo calcando su ogni singola lettera mentre nel frattempo apriva la porta del suo appartamento. 
Ormai era impossibile scappare, inoltre sarebbe stato anche stupido. Mi avvicinai come se fossi stata spinta o costretta con una pistola alla tempia. 
Più mi avvicinavo e più mi era visibile il viso del professor Miller, così cupo e stanco, mi sembrò di vedere anche delle occhiaie sotto i suoi occhi mozzafiato. 
-Si professore..- cercai di rispondere in maniera distaccata e provando a mostrare indifferenza verso la situazione in cui ci trovavamo, come se fosse normale che io mi trovassi lì dove abitavano i docenti e i collaboratori dell'università. 
-Mi stavi cercando? - chiese lui e mi sembrò di vedere un bagliore di luce nei suoi occhi spenti come se sperasse di sentire che ero lì per lui. 
Mi mandò in confusione vederlo così e per un secondo mi balenò in mente l'idea di dirgli che ero lì per lui, ma subito mi ripresi da quell'idea folle e dissi la verità anche se quest'ultima non l'avrebbe di certo fatto stare meglio. 
-No. Ero dal dottor Jack.- risposi secca per poi mordermi il labbro pentita delle mie maniere brusche.
-Ah..- notai la sorpresa nei suoi occhi e il bagliore di luce si spense nei suoi occhi, senza dirmi nulla entrò lentamente nella sua stanza e si spinse la porta alle spalle. 
Stava per lasciarmi fuori, stava per sbattermi la porta in viso e la cosa mi irritò più del dovuto, infatti senza accorgermene il mio braccio si stese bloccando la porta prima che si chiudesse.
La mia coscienza stava già imprecando in aramaico antico per il mio gesto impulsivo e senza alcun senso. 
Tolsi la mano dal portone come se bruciasse al contatto e quest'ultimo rimase aperto, ma probabilmente Christian non se ne accorse perché attraverso la fessura lo vidi gettare le chiavi e il telefono sul tavolino basso nel piccolo salottino per poi avviarsi in cucina. 
Lentamente entrai nell'appartamento e chiusi il portone, ma neanche questo riuscì a sentire. 
"Ma cosa diavolo fai? Che cerchi?" dissi tra me e me, non era razionale e neanche sano, stavo andando nella tana del lupo canticchiando come Cappuccetto Rosso. 
In punta di piedi mi avvicinai alla porta scorrevole che dava sulla cucina, lui era di spalle e si stava versando un bicchiere di acqua, appena posò la bottiglia e si girò il bicchiere gli cadde di mano producendo un frastuono fastidioso. Vidi quel bel bicchiere di vetro toccare il suolo e diventare frammenti lucidi e polvere, le schegge erano ovunque e l'acqua arrivò fino ai miei piedi. Trasalii dal rumore e anche a causa del suo sguardo; era sorpreso ma anche infuriato. 
Mi sentii subito in colpa e mi piegai a raccogliere i cocci rotti, ma lui mi fece segno di stare ferma e non sembrava una richiesta la sua. 
Iniziai a pensare a quanto serena sarei stata in quel momento se fossi uscita da questo edificio e fossi andata nella mia stanza, avrei evitato una situazione così spiacevole e scomoda; ma infondo me l'ero voluto. 
Mi sedetti su una sedia che lui mi indicò mentre con l'aspiratore prelevava tutti i vetrini per terra, il rumore dell'aspirapolvere squarciava quel silenzio tanto pesante.
-Perché sei qui? - mi chiese non appena l'aspirapolvere si silenziò. La domanda mi sorprese, mi ero imbambolata a vederlo ripulire e sperai che lui continuasse a fare questo per ore così da evitarmi una conversazione con lui.
-Non lo so..- fui sincera nella mia risposta, nulla era meglio della verità. 
-Non lo sai? - chiese guardandomi in piedi lontano da me -E perché eri da Jack?-
Senza volerlo arrossii come se mi sentissi in colpa del fatto che ero stata da Jack e che lui lo sapesse, ma in fondo non avevo alcun motivo di sentirmi così, ero totalmente confusa. 
-Avevo dimenticato la borsa da lui. - continuai con la verità. 
-Ah..quindi vai spesso da lui.- il suo viso provò a mascherare un'espressione di disgusto ma la notai subito e quasi mi pentii, sembrava come se stessi peggiorando la situazione e facendolo adirare sempre di più. 
-Solo una volta...- mi giustificai stupidamente a voce bassa.
Lo vidi abbassare lo sguardo, come se la conversazione lo stesse prosciugando delle sue energie, si spostò in avanti verso di me e si sedette accanto a me poggiando i gomiti sul piano in marmo della cucina. 
-Quando mi perdonerai...?- lo sentii bisbigliare, non capii se stesse parlando tra sé e sé o se stesse chiedendo a me; nonostante ciò quella frase mi fece provare un senso di vuoto indescrivibile. 
-Non sono più arrabbiata con te Christian..- iniziai io guardando i mobili per non guardare lui.
-Ma non vuoi più avere nulla a che fare con me, vero? - mi interruppe prima che potessi continuare. 
-Cosa vuoi da me? - chiesi in maniera schietta piantando i miei occhi nei suoi. 
Lui mi fissò per un istante come se cercasse dentro di me la risposta alla mia domanda e quando iniziò a rispondermi sembrava stesse leggendo tutto quel che diceva nei miei occhi.
-Io non voglio nulla da te. Sarebbe per me inaccettabile permetterti di fare qualcosa per me Sophia; da te ho già avuto molto più di quel che meritavo. La domanda giusta è quello che potresti avere tu da me. E non è molto. Te lo dico fin da ora, e non lo dico per mettere le mani avanti o per giustificarmi, sono stato un vigliacco con te già una volta. Ho molto poco da darti rispetto a come mi hai fatto sentire tu nei pochi giorni che siamo stati insieme e forse ti sembrerà finta modestia o poca autostima, ma non è nessuna delle due cose. Sono sinceramente convinto di quel che dico. E ti chiederai ora perché mai dovresti stare con una persona che non ti può dare nulla? E' vero, non posso darti molto ma puoi avere me, tutto me stesso a tua disposizione. Mi impegnerò seriamente e sinceramente verso di te come non sono riuscito a fare la prima volta, quando ero offuscato dai ricordi passati e dalla stupidità. Io non sono il meglio che tu possa avere al tuo fianco ma posso impegnarmi a diventare migliore di ciò che sono ogni giorno futuro rispetto ad ogni giorno passato così da potermi anche solo avvicinare al meglio che tu meriti Sophia...- 
La sua dichiarazione sembrava tratta da un romanzo di Jane Austen o di una delle sorelle Bronte, tanto romantica quanto pregna di spessore, non erano parole di una romanzo rosa qualunque di cui ci si annoia dopo la seconda volta che lo si legge; erano invece le parole di una scrittrice di cui non ci si stancherebbe mai e della quale ci si innamora a prima vista. 
Il vuoto che provavo prima si tramutò in un forte calore che si propagava dal ventre verso tutto il corpo, come se seguisse il corso del sangue dal cuore  nelle vene. Quando quella sensazione mi giunse al cervello andai in tilt, quelle parole erano sconvolgenti e proprio per questo difficili da credere. Questo balenò nella mia testa: perché dovrebbero essere sincere le parole di una persona che è riuscito a nascondere il suo passato e la verità? 

The professor 2 - Rising from the ashesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora