one shot

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shes like cold coffee in the morning

cause I love the way you wake me up

for goodness sake, will my love be enough?

Mi avevano sempre ripetuto che di caffè, il mattino dopo una sbornia, non bisognava berne, ma io, che di regole ne seguivo poche - e solo quelle dettate dal sottoscritto - ne bevevo sempre anche fin troppo e, come per magia, cominciavo subito a stare meglio. E lei, lei mi faceva lo stesso effetto. Lei era come il caffè freddo, la mattina dopo una sbornia. Mi faceva stare subito bene.

«Sono le tre del pomeriggio - sentii la sua voce sussurrare al mio orecchio - Credo che sia ora di svegliarsi.» Percepii le sue labbra morbide posarsi sulla mia tempia, poi sulla mia guancia ed, infine, posarsi all’angolo della mia bocca. Sorrisi inconsapevolmente, ancora in uno stato di dormiveglia, nel quale mi domandavo se quello che stessi vivendo fosse un sogno, o fosse davvero il mondo reale. Perché lei per me era come un sogno ad occhi aperti. Mugugnai qualcosa di incomprensibile persino a me stesso, udendo la sua risata squillante e serena, che mi fece svegliare totalmente. Aprii gli occhi, lentamente, per poi richiuderli repentinamente, infastidito dalla luce chiara e forte che mi colpiva il viso. Quando riuscii ad abituarmi a quel chiarore che s’intrufolava dalla finestra spalancata, la scorsi seduta accanto a me, sentendo la sua mano accarezzarmi la schiena delicatamente. I suoi lunghi capelli color miele, essendo chinata un poco verso di me, le ricadevano davanti, nascondendole una parte del volto candido e fine. Avevano sempre cercato di spiegarmi che la perfezione non esisteva, che ogni persona a questo mondo aveva almeno un difetto ed ero arrivato anche al punto di crederci, fino a quando non l’avevo vista. Fanculo la bellezza soggettiva e tutte le altre stronzate di cui ti riempivano gli amici per risollevarti il morale dopo un rifiuto; Hope, con i suoi occhioni azzurri, il suo naso alla francese, le sue labbra rosee e sempre imbronciate e il suo corpo da bambina era… l’incarnazione della perfezione.

«Ma ho sonno.» mi lamentai come un bambino, rigirandomi nel letto finendo a pancia in su, con le coperte arrotolate intorno al corpo in un groviglio complicato. Lei sospirò, mentre io le sorridevo sornione.

«Non fare quella faccia - sbottò, facendo una leggera smorfia - Non l’avrai vinta tu.»

Risi, battendo una mano sul piccolo spazio accanto a me. Era talmente minuta, Hope, che riuscivamo tranquillamente a stare in due su un letto da una piazza soltanto. Allargai poi le braccia, cercando di convincerla a raggiungermi, sapendo che stava lottando contro sé stessa per non accettare. Ma alla fine avrebbe ceduto. Cedeva sempre. Sbuffò, buttandosi poi accanto a me, poggiando la testa nell’incavo del mio collo, facendomi un leggero solletico.

«Solo mezz’ora, poi ci alziamo.» disse severa, come un giovane maestrina, mentre l’avvolgevo in un abbraccio che non avrei mai voluto sciogliere. Cominciai ad accarezzarle dolcemente i capelli, inebriandomi del suo indistinguibile profumo, proprio quello che subito mi aveva colpito la prima volta che l’avevo vista e conosciuta. Ancora non capivo come fossimo finiti per stare insieme, io e lei. Non mi ero mai reputato un bravo ragazzo. Qualunque cosa facessi, riepilogando, finiva sempre per essere un buco nell’acqua. Ero un fallimento, senza alcun talento se non quello di combinare guai. E nonostante avessi il tipico aspetto del ragazzo gentile, dai capelli biondi - sorvolando il fatto che i miei non fossero propriamente naturali - e gli occhi azzurri, ero totalmente il contrario dell’angelo che credevano io fossi. E mentre, in uno dei tanti sabato sera passati al pub, bevevo uno dei molteplici whisky e coca della serata, l’avevo vista e, come in una visione, avevo capito quanto fosse misera la mia vita. Perché quando era entrata nel pub, fradicia e con il vestito floreale che metteva in risalto il suo corpo tremante ed infreddolito, con i suoi occhioni azzurri fissi nei miei, mi ero chiesto come una ragazza come lei potesse aver indirizzato la sua attenzione su uno come me. Forse per pietà, forse per sano ed innocente interesse, si era seduta accanto a me e, con la sua tipica espressione imbronciata, aveva cominciato a parlarmi come se fossimo amici di lunga data che non si rivedevano dopo tanto tempo. E un poco mi ero sentivo così, come se l’avessi conosciuta da sempre.

«Sai - sussurrai con la bocca poggiata alla sua fronte - Alle volte mi fai rabbrividire senza preavviso.»

«Ed è una cosa piacevole?» domandò innocentemente, stringendosi a me come se fossi la sua unica ancora di salvezza. In realtà, lo era lei per me.

«La maggior parte delle volte… sì - bisbigliai, come se avessi paura che qualcuno oltre a noi due potesse sentirci, nonostante fossimo soli - Puoi stare con me per sempre?»

«Non esiste il per sempre, Niall, non essere sciocco!» disse divertita, come se quello che avessi detto fosse un’idiozia. E forse lo era davvero. Come avrebbe potuto, una ragazza come lei, stare con me per sempre? Non mi ero sempre comportato bene con lei, non ero mai stato il principe azzurro che le ragazze come Hope sognavano sin da bambine. Avevo fatto molti sbagli, l’avevo fatta soffrire, eppure lei era sempre tornata indietro, mi aveva sempre perdonato come se quello che le avessi fatto non fosse stato niente, solo degli stupidi equivoci. Si era sempre presentata la mattina dopo, con il mio caffè e il suo tè con due zollette di zucchero, fingendo come se nulla fosse accaduto.

«Allora puoi rimanere con me per adesso?»

Lei annuì flebilmente, baciandomi con dolcezza il collo. «Mi pare un patto ragionevole.»

«Farò di tutto, Hope, per essere ciò di cui hai bisogno.» le promisi. E per una volta non stavo mentendo. Quante volte le avevo promesso di diventare un uomo migliore, solo per lei? Quante volte avevo giurato a me stesso di non commettere gli errori precedenti, per poi ricadere nello stesso, identico circolo vizioso? Quante volte mi ero comportato male con lei, quando invece Hope mi era stata accanto sempre, mostrandomi quel suo sorriso solare che soltanto poche persone erano riuscite a strapparle? Forse era stata la paura di farla entrare nella mia vita, a farmi comportare in quel modo, alle volte così crudele. Come potevo essere così egoista da decidere di averla al mio fianco, quando in realtà non potevo darle nulla in cambio, se non il mio inutile ed invisibile amore?

«Sei già quello di cui ho bisogno, Niall James Horan - disse, poggiandosi ai gomiti e fissandomi dritto negli occhi - Devi solo riuscire ad accettarlo.»

«Mi sembra sempre di sbagliare, mi sembra sempre di trattarti nel modo in cui non devi essere trattata. Mi sembra di non darti mai abbastanza importanza, quando invece tu per me significhi più di tutto il resto. Mi dirai se sbaglierò, d’ora in poi? Me lo dirai, Hope?» la implorai, prendendole una mano e giocando con le sue dita fini e ceree. Lei annuì, chinandosi per posarmi un bacio sulle labbra. Sapevano di tè, segno che aveva da poco fatto colazione.

«Te lo dirò, promesso.» mi garantì, tornando ad appoggiarsi al mio petto, ascoltando il battito del mio cuore farsi sempre più veloce.

«Amo il modo in cui mi svegli alla mattina, sai? - continuai, mentre lei afferrava una mia mano con la sua, intrecciando le nostre dita in modo perfetto - Amo quando mi sorridi, amo quando ti trovo a casa che prepari da mangiare, amo quando stai sul divano e fingi di dormire così che non ti dia fastidio, amo persino quando dai da mangiare a quel fastidioso gatto dei vicini quando s’intrufola nel nostro appartamento. Ti amo, Hope.» finii, sentendo che quella volta lo intendevo davvero.

«Ti amo anch’io, Niall - sussurrò al mio orecchio, divertita - Ora abbracciami, questo mi aiuta sempre a dormire.»

Annuii, baciandole la fronte e stringendola a me come fosse stata una persona da proteggere. Chiusi gli occhi, aspettando che il suo respiro si facesse sempre più pesante e regolare, prima di coprirla con la coperta e rimanere a guardarla, tenendola tra le mie braccia.

Mi avevano sempre ripetuto che di caffè, il mattino dopo una sbornia, non bisognava berne, ma io, che di regole ne seguivo poche - e solo quelle dettate dal sottoscritto - ne bevevo sempre anche fin troppo e, come per magia, cominciavo subito a stare meglio. E lei, lei mi faceva lo stesso effetto. Lei era come il caffè freddo, la mattina dopo una sbornia. Mi faceva stare subito bene.

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