"La vecchia Kostia è morta. Era una strega e noi andremo a visitare la sua casa."
Con queste parole il mio amico George mi accoglie nel suo studio in un pomeriggio di agosto.
"Ma non sarà rischioso? Se qualcuno ci scopre?" obietto io.
"I proprietari abitano lontano, gli eredi non ci sono. Non c'è pericolo. Nessuno può venirci a disturbare."
Sono seduto con un bicchiere in mano ad ascoltare il mio amico, scapolo, studioso di occultismo.
"Da alcuni anni sto studiando la psicocinesi, cioè la capacità della mente umana di influenzare la materia. Scriverò una relazione per la Società delle Ricerche Psichiche."
Sullo scaffale ci sono strani apparecchi: un gancio con un filo e una pallina di sughero in fondo. Una lamina orizzontale infilata al centro di uno spillo, per poter ruotare...
"Servono per studiare la psicocinesi. É una energia debole all'inizio" spiega il mio amico.
"E cosa c'entra questo con la nostra esplorazione in quella casa?"
"Là ha abitato la vecchia Kostia che ha praticato la stregoneria fino all'età di 96 anni. Ora la stregoneria fa uso della psicocinesi per i suoi scopi benevoli... o malefici..."
Mi mostra alcune foto infilzate di spilli, tagliuzzate con le lamette.
"Alcune ragazze fanno così quando sono state abbandonate dal fidanzato..."
Poi mette sul tavolo una bambolina formata da un pezzo di stoffa arrotolata come un sigaro. C'è disegnata una faccia stilizzata: due punti per gli occhi, una linea verticale per il naso e una V rovesciata per la bocca. C'è disegnato un cuore e un sesso maschile. La bambola è strangolata da un nastro nero e trafitta da uno spillone. Sulla schiena c'è un nome e cognome.
Vedo l'odio cristallizzato in questo pezzo di stoffa; l'odio reso visibile, reso materiale!
"Che cosa speri di scoprire dentro quella casa?"
"Tutto. E niente. La stregoneria ha radici profonde nelle nostre campagne. É una tradizione oscura tramandata dalle vecchie alle figlie, nel corso dei millenni. Una tradizione segreta sussurrata accanto al camino nelle nebbiose notti invernali..."
Fa una pausa prima di alzarsi:
"É ora di andare adesso."
Mi infilo il giubbino e usciamo fuori. Camminiamo per una stradina di campagna costeggiando campi di mais secco. Dopo un po' arriviamo in vista della nostra mèta.
Una casa tetra e isolata, di mattoni, con le finestre buie spalancate come occhiaie. Il sole al tramonto le dà un colore rossastro. Da un arco gotico escono pipistrelli.
"É quello il posto?"
"Sì, è un ex convento del 1500 adibito a case contadine. L'ultima famiglia è deceduta almeno sessant'anni fa. Da allora oltre la vecchia Kostia nessuno l'ha più abitata."
Mentre ci avviciniamo la casa sembra ingigantirsi e si notano crepe, porte murate, imposte cadenti.
Attraversiamo un cortilaccio rovesciando cespugli di morella alti come noi. In fondo c'è una porticina di legno corroso dalle intemperie, con la parte inferiore marcita. George inserisce una levetta e con un colpo secco la porta si apre sbilenca da un lato.
Luce grigia, umidità e polvere al piano terreno. Rottami di mobili, una credenza decrepita, pile di sedie sfasciate, una tavola con le gambe tornite, casse di bottiglioni. Arriviamo a una scaletta ripida di legno.