È buio.
Cammino ma non mi muovo. Ho le gambe pesanti come piombo e nella testa mi battono i colpi di passi immobili, che martellano senza sosta, mentre comincio a sentire freddo. Tremo e non ho modo di scaldarmi. Anche le mie braccia sono paralizzate. Mi fanno male, un male che non ho mai provato prima, quasi stessero per staccarsi.
Provo a gridare, ma non ci riesco. Emetto solo un filo di voce roca e stonata, come il suono di uno strumento a fiato rimasto troppo a lungo sott'acqua.
Dove sono?
Avverto alcuni rumori dapprima lontani farsi più vicini e continuo a tremare, ora anche di paura.
Poi apro gli occhi, e non vedo niente. Solo buio. Ma li ho davvero aperti? Si: vedo una lama di luce in basso, alla mia destra. E sento voci che mi sembrano familiari. Al di là di una porta.
Mi alzo di scatto e scopro che posso muovermi, finalmente.
Sono nel mio letto.
Stavo solo dormendo.
Respiro piano, aspetto di capire. È successo di nuovo. Il confine tra sogno e veglia non esiste più, ormai, e gli incubi sono veri, la realtà è un inferno. Il sogno diventa realtà. E anche il sogno è un inferno.
Mi capita spesso, dal giorno dell'incidente.
Cerco a tastoni la lampada sul comodino. È orribile, rosa con il paralume di piume sintetiche.
La prima cosa che vedo è il quaderno viola, scagliato per terra nell'impeto di alzarmi. L'ho comprato ieri. Era in mostra nella vetrina di una cartolibreria in centro, un negozietto sbiadito che non avevo mai notato prima. Sarà stato per il colore, viola, ma l'ho trovato subito bellissimo. Non so ancora se o cosa ci scriverò. Sono contenta di averlo comprato. Dovevo averlo, e basta.
Ora il quaderno è per terra, scomposto tra i libri di scuola che ripetono noiosi le stesse inutili storie. Sento martellare le loro parole, i loro numeri di pagina. Vedo le loro orribili illustrazioni, i segni della mia matita che sottolinea righe tutte uguali. Penso alla scuola.
Chiudo gli occhi e gli riapro. Inferno.
Lancio un'occhiata alla sveglia, vecchia e rumorosa. È presto. Sono solo le sei.
Inferno.
Ancora rumori. Troppi rumori. Chiudo gli occhi e gli riapro.
È martedì.
I rumori sono di Jenna, mia madre, che inizia prima il turno in ospedale. È martedì. E lei è un'infermiera. Non so come faccia. Io non farei mai il suo lavoro. Giorni interi a occuparti di gente che sta male, a lavarla, accudirla. Per cosa? Magari per finire un giorno sullo stesso letto e sperare di trovare un'infermiera come lei che ti lava e si prende cura di te. Mentre tu stai male. E stai morendo. No, grazie, non fa per me.
Rimango immobile sotto le coperte in attesa che la luce del giorno filtri attraverso le tende. Poi mi alzo e vado alla finestra, un'enorme finestra inutile come l'aria condizionata in Lapponia, perché si affaccia sempre e solo sul grigio. Grigio di palazzi, di strade, persino di cielo. Guardo in lontananza, al di là del fiume limaccioso, gli aerei sfilare sulle piste dell'aeroporto. Quanto vorrei andarmene da qui.
Guardo il cielo, ma non lo vedo davvero.
Oggi, come sempre, piove.
Tac, tac, tac. La pioggia sul vetro ticchetta come se volesse richiamare la mia attenzione. Esco dalla stanza e percorro il corridoio deserto fino al bagno. Il buio dell'incubo mi assale di nuovo, invadendo di colpo i miei pensieri. Sarà stato anche un sogno, solo un sogno, ma mi sento a pezzi.
Mi guardo allo specchio e il buio si scioglie, a poco a poco.
Sono bella nonostante tutto.
Resto lì, a fissarmi.
Ogni tanto mi capita di pensare a come sarebbe la mia vita se fossi brutta, se non avessi gli occhi verdi, che mi piace piantare addosso ai ragazzi per metterli in imbarazzo, o i capelli neri e lisci, lucidi da far invidia a una geisha, o questo corpo che rimane magro, qualunque cosa mangi. Come sarebbe la mia vita?
Sarebbe un unico, colossale, irrimediabile schifo. Pensatela come volete. La verità è che la bellezza è una forma di potere.
L'unica che ho.
L'unica verità, intendo.
"E poi, a me il potere piace..." dico ad alta voce, facendomi l'occhiolino allo specchio.
Fuori piove.
Mi guardo negli occhi.
Mi sono ripresa.
Nel corridoio mi scontro con la sagoma vagante di mio fratello Evan. Difficile credere che siamo parenti. Evan si porta i suoi quattordici anni come si porta un vecchio cappotto. Vergognandosene. Fa passare i giorni, strappandoseli di dosso uno a uno come fossero cerotti. Ha un unico obbiettivo: raggiungere i suoi diciotto anni, ovvero la libertà di fare ciò che vuole, di smettere di studiare e di poter finalmente convivere con Bi, la sua fidanzata, l'unico essere umano con cui realmente parla o interagisce in qualunque modo.
Evan ha i capelli flosci, senza vita, e veste sempre allo stesso modo. Pantaloni elasticizzati e felpe malconce, grandi scarponi, improbabili magliette scucite. Tutto rigorosamente scuro. Ha una passione per i piercing. Credo che ne abbia un po' ovunque. L'unica novità è una spilla da balia infilzata nella guancia.
"Carina" commento sarcastica non appena lo vedo.
Nessuna risposta. Solo uno sguardo obliquo accompagnato da un borbottio da vecchia caffettiera stanca di fare il suo lavoro.
Evan mi scansa e scivola via. A quest'ora del mattino, ha già nelle orecchie le cuffie che gli sparano musica punk-rock a duemila decibel.
Sospiro. Non c'è niente da fare. Non credo dipenda dai tre anni che ci separano, né dal fatto che è un ragazzo. Evan è un essere di un altro pianeta, che nessuno ha ancora scoperto. E con lui non c'è comunicazione, punto.
Balcolla fino alla sua camera e ci si chiude dentro. Ho un'immagine fugace del suo futuro. Non c'è nulla. Solo guai.
Prima o poi i fatti mi daranno ragione.
E allora nessuno potrà farci un bel niente.
Mi vesto rapidamente e mi carico lo zaino in spalla. È viola, come il quaderno che ho comprato ieri e altre mille cose che mi appartengono. È viola perché tutto ciò che mi piace è viola.
Apro la porta di casa e la richiudo alle mie spalle. Sono pronta per andare a scuola.
Oggi è giornata di battesimi.
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BUIO
Mystery / ThrillerDiciassette anni, bellissima, apparentemente sicura di sé quanto fragile e inquieta, Alma ha un solo credo: «Sorrisi e lacrime possono essere molto pericolosi se lasciati fuori controllo». Se lo ripete ogni mattina, quando esce di casa per affrontar...