Capitolo X

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-Dove stiamo andando? La gilda si trova nella direzione opposta- continuava a chiedermi Romeo, mentre io continuavo a non rispondergli.

Raggiunta una collinetta deserta, mi fermai, quindi mi girai verso di lui.

-Stai calmo e non urlare, ok?- lo avvertii davanti al suo viso confuso, quindi mi misi a controllare le correnti, facendoci sollevare in aria.

-Oh mio dio! Wendy?! Wendy, fammi scendere!- cominciò a gridare non badando alle mie parole, quindi gli afferrai le spalle e lo scossi energeticamente.

-Romeo, fermati. Se continui a dimenarti non farai che farmi consumare ancora più potere magico di quanto già io non stia facendo-

E non stavo mentendo: dato che da appena un'ora mi ero risvegliata da un coma di due mesi, era logico che non fossi pienamente in forze; e lui fortunatamente sembrò capirlo, perché si immobilizzò di colpo.

Sospirai, quindi ci feci trasportare verso un luogo che volevo visitare prima di chiudere definitivamente il capitolo della mia vita quale era il mio passato. Volevo guardare avanti e non lasciarmi più intimorire da ciò che era successo prima di quel momento; avevo intenzione di dare una svolta positiva alla mia esistenza.

Non volevo dimenticare, quello mai, e anche se avessi voluto farlo, non ci sarei mai riuscita. Il passato aveva costruito la persona che ero diventata, e non mi pentivo di nessuna delle mie esperienze o avventure.

Quando arrivai sulla cima della montagna che cercavo, lasciai che i miei piedi e quelli di Romeo toccassero terra. Barcollai, sentendomi esausta, ma il ragazzo si affretto a sostenermi fino a quando non fui nuovamente in grado di camminare.

Poteva sembrare una cosa stupida quella che stavo per fare, ma per me era significativa, e non avrei lasciato che nulla mi impedisse di farla.

La montagna su cui ci trovavamo era a dir poco immersa di neve, e i nostri piedi sprofondavano di qualche centimetro ad ogni passo. Ci misi un po a trovare quello che cercavo, e le mani mi divennero rosse e leggermente sanguinanti a furia di scavare sotto ogni rialzo che gli occhi mi captavano; ma alla fine riuscii a trovare la tomba di Grandine.

Era una piccola tomba che avevo costruito quando il drago era scomparso, decidendo di onorare la sua memoria. Ero molto piccola, e ovviamente non avevo fatto un bel lavoro, ma ero lì per rimediare.

Appena riuscii a trovare la lastra informe di marmo bianco deposta sotto la neve, scavai più velocemente, fino a rivelare tutta la "tomba".

L'avevo costruita con dei grossi e deformi pezzi di marmo candido, intagliando su di essi il nome di Grandine.

Presi un respiro profondo prima di evocare delle correnti abbastanza taglienti da riuscire a levigare la pietra, facendola diventare uniforme. Quando finii il lavoro sul rettangolo di marmo in cima, passai ai lati, usando la stessa tecnica per definirli. Alla fine, asciugandomi con il dorso della mano la fronte, dato che qualche goccia di sudore creata dalla stanchezza vi giaceva sopra, usai lo stesso metodo per intagliare il nome di Grandine in modo più elegante e vistoso.

Come ultima cosa, pronunciai un incantesimo che impedisse alla neve di depositarsi su di essa, rendendola immune da qualunque cosa.

Indietreggiando, cercai quello che era il fiore preferito del candido drago che mi aveva accudita e cresciuta, staccandolo con tanto di radici dal terreno.

Grandine per scherzare mi regalava sempre una camelia che, da quello che mi aveva spiegato, veniva usata per comunicare ad una persona speciale che era adorabile. Ogni volta che me ne porgeva una, io gonfiavo le guance e mettevo su un broncio, dichiarando che ero grande e non ero adorabile, anche se nel profondo ero felice di quei momenti.

Essendo un fiore esotico, era praticamente inspiegabile come fosse finito sulla cima di una montagna innevata, ma non me lo ero mai seriamente chiesto.

Piantai la camelia al lato della tomba, sicura che a Grandine sarebbe piaciuta immensamente.

-Grazie, mamma, per tutto quella che hai fatto per me... ti voglio bene...- mormorai con gli occhi lucidi, sentendo una dolce e calda ventata scompigliarmi i capelli.

Dopo di che indietreggiai, andando verso Romeo, che fino a quel momento era stato in rigoroso silenzio.

-Possiamo andare- gli comunicai tirando su col naso, facendoci alzare in aria.

La strada verso la gilda era lunga, e più volte rischiai di farci cadere da oltre centocinquanta metri di altezza. Quando atterrammo davanti alla gilda, non potei impedirmi di cadere in ginocchio, prendendo a respirare affannosamente, come se avessi appena finito di correre una maratona.

-Dammi un minuto- boccheggiai quando Romeo fece per avvicinarsi e dire qualcosa.

Quando fui stabile, mi alzai e aprii il portone della gilda, venendo accolta da un sorprendente silenzio.

Passai l'ora successiva a spiegare la situazione ai miei nakama, che finirono per blaterare preoccupati che avrei dovuto condividere il mio problema con loro e che non mi consideravano affatto inutile. Li rassicurai con dei sorrisi, e tirai un sospiro di sollievo quando finirono di farmi domande.

Tuttavia, quando sentii Romeo schiarirsi la gola per attirare la mia attenzione e rivolgermi uno sguardo serio, il fiato mi si mozzò in gola, capendo all'istante cosa volesse.

-I-io ora v-vado nel mio d-dormitorio, c-così riposo u-u-un po- balbettai in preda al panico, indietreggiando e cercando di filarmela finche potevo.

-Oh, no, te lo scordi- ribatte Romeo, afferrandomi in una morsa ferma ma delicata il polso -tu ora vieni con me- dichiarò, cominciando a trascinarmi fuori dalla sede della gilda.

Lanciai degli sguardi disperati ai miei nakama, ma, ovviamente, loro non capirono, e si limitarono a sorridermi beatamente e a salutarmi. Quando incontrai gli occhi di Mira, non ottenni altro che un ghigno malizioso da parte sua, cosa che mi fece avvampare da capo a piedi.

"Non sono pronta... non sono per niente pronta!"

L'altra faccia della medagliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora