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Avevo paura. Beh, come sempre. Da molto tempo ormai, l'unico che sentimento che provavo, era la paura. Non potevo lavorare, non potevo fare nulla. Perché? Perché lui, il mio ragazzo, mi controllava. Controllava ogni minima cosa e sopratutto se qualcosa non andava bene a lui, io non dovevo farla. Ero chiuso in casa 24 ore su 24, non potevo uscire senza il suo permesso. Perché stavo insieme a lui? Lo amavo. Almeno all'inizio. Quando conobbi MinSoo, ero all'ultimo anno di università. Accadde un pò come accade sempre, qualcuno ci presentò. Sembrava carino e non solo di aspetto, amche di carattere. Era gentile e affettuoso. Tutti gli volevano bene, quindi il mio pensiero era positivo. Iniziammo ad uscire. Era tutto normale, si comportava benissimo e io ero felice che tutto stesse andando bene. Tempo qualche mese e MinSoo si dichiarò. Mi disse che gli piacevo e che gli interessavo davvero tanto. Io gli dissi che era ricambiato. Poi, dopo qualche settimana, ci siamo fidanzati. Dopo di che, ho finito l'università. Lui trovò subito un lavoro, mentre io fui meno fortunato. Non mi diedi per vinto e continuai alla ricerca di qualcosa che mi facesse felice ma allo stesso tempo mi desse da vivere. Mi ero laureato in arte, amavo disegnare. Tutti mi avevano sempre detto che ero bravo. Dopo qualche mese di ricerca, trovai un lavoro. Ma Minsoo... non ne sembrava felice. Non so perché, ma non fece una faccia contenta quando glielo dissi, ma non indagai. In quei mesi lui aveva lavorato e io cercavo tutto il giorno un lavoro, quindi ci vedevamo per poche ore al giorno. Pensai sicuramente fosse per quello, purché era dispiaciuto che non ci vedevamo molto. Quindi io cercai di essere più presente. Era in tutto passato un anno e mezzo, stavamo insieme da un anno. E forse qualcosa già allora, stava iniziando a incrinarsi, ma io ero innamorato e quindi non vedevo. O forse, non volevo vedere. Mi ambientai velocemente a lavoro, tutti mi facevano i complimenti e si crearono nuove amicizie. Passò un altro anno, avevo fatto amicizia con un ragazzo molto simpatico, Sooha. Era alto, bello, intelligente e sopratutto sapeva fare il suo lavoro alla grande. Avevi sempre qualcosa di cui parlare con lui, perché anche se tu non avevi argomenti, lui ne tirava fuori a manetta. Per questo lì lo amavamo tutti. Per me ovviamente, era solo un amico. Ma Minsoo non la pensava così. Un giorno, andai a casa sua come di consueto. Iniziò a urlarmi contro e non capivo il perché. Questo lo fece innervosire ancora di più, mi afferrò il braccio, strattonandolo. Non era una semplice presa forte, mi stava facendo male. Avevo paura.
"Minsoo, mi fai male."
La mia voce uscì quasi in un sussurro. Mi lasciò andare, ma violentemente.
"Quello lì, quel tuo amico. Quello che ti sta sempre appiccicato. Come si chiama?"
"Quale?"
"Quello che oggi aveva gli occhiali."
"S-sooha."
"Non mi piace. Ti sta sempre addosso e non è la prima volta. È sempre vicino a te! E oggi, come rideva vicino a te... di vosa stavate parlando?"
"Aveva fatto una battuta su un nostro collega. Oggi è successa una cosa e lui mentre uscivamo l'ha riportata fuori. Non stavo ridendo solo io Minsoo."
"Bella scusa. Oggi volevo farti una sorpresa a lavoro e mi ritrovo te che flirti con un altro uomo."
"Non stavamo flirtando! Non eravamo nemmeno soli. E poi è solo un amico."
"Vedi di starci lontano, Jisung. O qua finisce male."
L'ultima frase mi lasciò i brividi. Dopo di quello, lui fece finta di nulla. Vedemmo un film, ma io mi massaggiai ancora il polso. Faceva male ed era rosso. Non mi sentivo tranquillo a stare con lui, ma non volevo farlo arrabbiare andando via. Le cose si sarebbero solo complicate. Avevo paura di restare, ma avevo anche paura di andarmene. Le cose ovviamente si complicarono, io e Minsoo continuavamo a litigare a causa di Sooha e non so per quale motivo, tirò fuori anche altri miei amici di lavoro. I mesi passarono, fino a quando ci fu una grande litigata. La prima di tutte era stata moderata, ma questa invece, la superava di gran lunga. Lui continuava ad urlare, i ricordi di quando lui mi aveva afferrato il polso lasciandomi il segno, erano ancora nella mia mente. Sebbene non c'era più nessuna prova visibile di quel giorno, una prova invisibile era presente. Quella che era incastrata nel mio cervello e nel mio cuore. Solo io potevo vederla e faceva male. Non mi afferrò il viso, ma improvvisamente, mi schiaffeggiò. Lui guardai con disgusto. Lui non approvò il mio sguardo e mi afferrò per il colletto spingendomi verso il muro. Faceva male.
"Minsoo mi fai male, c-calmati."
Mi lasciò attaccato al muro e io mi alzai. Preso d'impulso scappai verso la porta di casa. Fortunamente feci in tempo ad uscire. Venni inondato di chiamate, ma non risposi a nessuna di quelle e mi chiusi in casa. Il giorno dopo, spacco il vetro della mia finestra con un sasso.
"Mi hai costretto, Jisung."
Avevo paura, ma non fece altro. Feci pace con lui, ma più per paura che per altro. Volevo solo si calmasse e l'unica soluzione era fare pace. Dopo qualche altro mese, il giorno del nostro anniversario di fidanzamento, del nostro terzo anno, mi chiese una cosa. Di andare a vivere insieme, io gli dissi che dovevo pensarci. Lui si arrabbiò lanciando tutto a terra e uscendo dal ristorante. Mentre tornavo a casa, sentii qualcuno afferrarmi il polso, Minsoo. Mi trascinò in macchina e poi a casa sua. Continuammo a litigare per tutto il viaggio e poi anche a casa. La testa mi esplodeva. Iniziò a tirare oggetti in aria. Gli dissi sì, d'improvviso.  Non volevo andare a vivere con lui, ma dovevo. Quello lo fece calmare. Andammo a vivere insieme, pensai che le cose si sarebbero risolte. Sbagliato, così ero solo più sotto il suo controllo, la mia libertà si era ancora di più limitata ed era soprattutto colpa mia. Continuammo a litigare fino a quando, un giorno, mi diede un altro schiaffo. Poi, iniziò a spingermi verso il muro. Quando iniziarono i primi pugni, in quel momento capii che cosa davvero avevo fatto quel giorno di anni prima restando con lui a vedere il film. Chi realmente era Minsoo. E soprattutto, capii che era troppo tardi per fare qualcosa. Ero in trappola. Mi sveglai dolorante e quello che vidi nello specchio, dopo essere andato in bagno, mi fece spezzare il cuore. Il corpo mi faceva male. Non mi fece andare a lavoro per settimane, fino a quando i lividi non furono meno visibili. Quando tornai mi fecero domande, ma non risposi. Mi stavo chiudendo in me stesso. E quando arrivò il nostro 4 anno insieme, mi costrinse a lasciare lavoro. Non volevo, mi picchiò. Allora lo lasciai.  Mi costrinse a chiudere i contatti con tutti i miei amici di lavoro, sopratutto con Minsoo. Avevo solo gli amici in comune con lui, quelli che ci fecero conoscere. Non potevo uscire di casa senza chiedere a lui, non potevo nemmeno andare a fare la spesa senza dirglielo. Sbagliavo qualcosa? Mi picchiava. Uscivo senza dirglielo? Mi picchiava. Osavo rispondergli male o oppormi a qualche sua decisione? Mi picchiava. Non ero più io. Ero una bambola di pezza. Un burattino controllato dalle sue mani. Ero vuoto. Quasi senza vita. Passai due anni recluso, vedevo a malapena la mia famiglia. Mi aveva ache impedito di vedere quegli amici in comune. Chiesi aiuto a mio padre. Ma lui amava Minsoo. Mi disse di smetterla di dargli l colpa di quell'allontamento e di crescere. Quando li vedevo, Minsoo mi faceva coprire da capo a piedi. In due anni comunque li avevo visti 2 volte. Loro amavano lui e odiavano me. Erano convinti non volessi vederli e che mi vedevano solo grazie a Minsoo. Sì, solo la seconda parte era vera. Non potevo vedere nessuno che lui non volesse. Ormai il mio corpo erano costantemente pieno di lividi e non conosceva pace. Cercai di convincere Minsoo a farmi lavorare, anche in un bar, in qualsiasi posto, pur di avere un minimo di libertà. Alla fine me lo concesse, ma dovevo lavorare solo per 3 ore. Fu diffiile, ma riuscii a trovare un lavoro che richiedesse solo 3 ore di lavoro. Non mi importava nemmeno di guadagnare, volevo solo scappare. Minsoo fece installare delle telecamere fuori casa, per controllare quando uscissi e quando entrassi, così da esserne sicuro e tenermi sotto controllo. Stavamo insieme da 6 anni ed erano stati la maggior parte un inferno.

Il bar si chiamava GlassTime. Era un bar carino, abbastanza popolato. Minsoo aveva iniziato a controllarsi, giusto per non lasciarmi troppi segni. Io cercavo di coprirmi il piumone possibile. Per fortuna avevo una divisa data da loro che copriva le braccia. Un cliente si posizionò davanti alla cassa.
"Cosa posso servirle?"
Cercai di sorridere, ma non avevo vitalità. Avevo iniziato quel lavoro da quattro giorni, ma ero come uno zombie.
"Un cappuccino e un cornetto alla crema, grazie."
Seguì il suo ordine, andando a preparare il cappuccino. Quando portai la tazzina, mi gelai. Il cliente era carino. Scossi la testa, non dovevo nemmeno pensarci a guardare qualcuno, infatti camminavo sempre a testa bassa e cercavo di non incrociare lo sguardo di qualcuno. Minsoo si sarebbe arrabbiato altrimenti. Poggiai la tazzina sul bancone e andai verso i cornetti. Presi quello alla crema e lo portai al cliente. Notai il suo sguardo sul mio polso, mi sbrigai ad aggiustare la manica. C'era il segno di una stretta.
"Mi chiamo Minho. Tu come ti chiami?"
"Sono 3 euro, grazie."
Ignorai la sua domanda e sospirando poggiò i soldi sul bancone. Un altro cliente attirò la mia attenzione, stava sbraitando.
"Posso esserle utile?"
Il cliente si lamentò perché il caffè non era buono.
"Mi scuso ho iniziato da poco, glielo rifaccio da capo e non la faccio pagare, va bene?"
Quello prese la tazzina che aveva tra le mani e la lanciò a terra. Mi immobilizai. Stava urlando ma in quel momento ero come sordo. Improvvisamente sentivo solo i suoi ovattati, tremavo e avevo paura. Poi sentii il contatto di due mani calde sulle mie orecchie. Poi un sospiro.
"Va tutto bene."
Mi ttascinò fuori dal bar. Finalmente fuori, capii chi era. Quel Minho.
"Allora, mi ripresento. Sono Lee Minho. E tu?"
Tremavo ancora, ma riuscivo a sentire i suoini distintamente. Non potevo parlare con lui. Mi apprestai a tornare dentro ma lui mi afferrò per il polso. Non era come la presa di Minsoo. Era dolce e delicata. Il cuore prese a battermi forte.
"N-non posso parlarti."
"Perché?"
Iniziai a tremare più forte. Mi portò dolcemente a sedere su una panchina là vicino.
"Stai bene? Siediti qui e stai calmo, mh? Va tutto bene, non sei in pericolo. Ci sono io."
Era strano, ma la sua voce mi calmava. Perché un ragazzo appena conosciuto riusciva a calmarmi in quel modo.
"Han Jisung."
"Piacere Han Jisung. Lo sai che sei bellissimo?"
Arrossii abbassando la testa. Lui si mise vicino a me, osservandomi. Mi arruffò i capelli.
"Posso darti il mio numero?"
"N-non penso sia il caso."
Mi sorrise.
"Okay, come vuoi. Tranquillo."
Come vuoi. Quelle due paroline furono così belle e dolci che mi venne da piangere. Come volevo? Non ero più libero di agire in quel modo, ma quel ragazzo mi stava dando la possibilità di fare come volevo io. Alla fine, piansi.
"Ho detto qualcosa di sbagliato?"
Si alzò abbassandosi e cercando di asciugarmi le lacrime. Spesso non sappiamo quanto impatto possano avere delle semplici parole, belle o brutte, sulle persone.
"N-no."
Mi accarezzò la testa mentre io continuai a piangere. Tirai fuori il mio telefono e glielo passai.
"T-tieni."
"Sei sicuro? Non voglio obligarti a fare nulla."
"Sì."
Più parlava e più piangevo. Restammo lì fuori per un'ora.
"Devo tornare dentro."
"Sicuro?"
"Sto bene, grazie. Mi dispiace per lo spettacolo orrendo."
Cercai di fare un sorriso, inutilmente. Era un sorriso forzato. Entrai dentro dopo averlo salutato. Il cliente era andato via senza che me ne accorgessi.
"Ehy Jisung, stai tranquillo quel cliente ha sempre problemi. Stai bene?"
"Sì, mi dispiace."
"Tranquillo. Buon proseguimento di lavoro."
"Grazie."
Una cosa che notai era che Minho, per  la restante ora che mi mancava, rimase fuori dal bar a guardarmi. Non perché voleva spiarmi, lo so. Ma perché voleva accertarsi stessi bene. Quando vide che me ne stavo andando, scappò via cercando di non farsi vedere. Ormai però l'avevo già visto da tempo. Quello fu il giorno in cui conobbi la luce. Una luce chiamata Lee Minho. Una luce che da quel momento in poi avrebbe illuminato la mia vita. Una luce che mi avrebbe salvato e guidato fuori dal tunnel. La mia vita stava cambiando.

S.O.S - The silence inside me -Minsung-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora