Capitolo 7

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Gli spiego la situazione, quello che voglio: i miei genitori. Non importa se vengo a scoprire che sono morti, li rivoglio e basta.

Parliamo all'incirca per due ore e, nonostante sia un argomento estremamente toccante per me, non mi scende nemmeno una lacrima e non provo nemmeno il solito vuoto che sento dentro di me. Con lui, in qualche modo e non so nemmeno come, mi sento libera di esprimermi.

Non mi guarda con compassione come fanno tutti, ma fa di tutto per aiutarmi.
Mi pone diverse domande a cui rispondo senza compiangermi e alla fine gli mostro anche una foto, ormai vecchia di 12 anni, dei miei cari genitori.

Il detective Jin la prende tra le sue mani bianchissime e la osserva attentamente

"Perfetto, farò del mio meglio".

Appoggia la foto sul tavolino e mi guarda intensamente e quasi mi perdo nel suo sguardo, nella sua perfezione, ma ovviamente so cosa sta aspettando. Mi smuovo e prendo dalla borsa la busta bianca con i soldi all'interno e gliela porgo.

"Sono tutti" dico mentre lui la prende e li controlla velocemente, per poi infilarsi la busta nella tasca interna della sua giacca.

"Ottimo" tira fuori un biglietto e me lo porge "Con questo numero ci terremo aggiornati, lo salvi."

"D'accordo" afferro il pezzetto di carta e gli do una rapida occhiata: un normale biglietto da visita con impresso il suo numero.
Nel frattempo, senza che me accorgo, lui se n'è già andato lasciandomi sola seduta al tavolino.
Esco dal bar cercandolo tra il formicaio di gente che caratterizza Seoul, ma del detective Kim Seok Jin non c'è nemmeno l'ombra. Non ho nemmeno potuto ringraziarlo o chiedere se potessi aiutarlo ancora in qualche modo...

Persa nella mia mente tra mille pensieri che l'oscurano, mi ritrovo a passeggiare in un parco.
È una giornata d'autunno. La natura morta è diventata soggetto di foto e dipinti per i vari colori che la compongono e che rendono magico il paesaggio.

Le foglie di mille sfumature vermiglie continuano a cadere senza sosta, ricoprendo il mondo di un soffice tappeto . Il cielo grigio sopra di tutti invece è smorto, stanco e pigro. La fresca pioggerella inumidisce il mio viso e tutto ciò che trova.

Sono passati due giorni e la mia vita va avanti tra lavori part-time, duri allenamenti e l'isolamento. Tengo sempre con me il telefono, nell'attesa di ricevere una notifica o una chiamata, ma niente. Il silenzio riempie le mie orecchie ed è tremendamente fastidioso. Il cibo diventa sempre meno appetitoso e il tempo si fa sempre più lento, mentre gli incubi si presentano ogni tal volta che cerco di chiudere gli occhi.

Sette  giorni, una settimana e niente ha fatto suonare il mio telefono. Ogni giorno sono sempre passata in quel caffè, ma lui non è mai venuto.
Non so dire quanti messaggi ho mandato al numero del biglietto da visita e nemmeno quante volte l'ho ricontrollato per
vedere se avevo sbagliato a salvarlo, eppure nulla. Ho provato anche a contattarlo sul sito, ma non mi fa nemmeno inviare un messaggio ed ho pure scoperto che la nostra conversazione è stata cancellata. Man mano una consapevolezza dentro di me si fa avanti: sono stata truffata e non posso nemmeno denunciare il tutto.

Oggi, dopo ben tre settimane dopo l'incontro con il truffatore, al quale ho cercato in tutti i modi di ottenere vendetta, ho una gara di taekwondo.
Non sono affatto preoccupata, so di poter vincere.

Ho iniziato a praticarlo per potermi difendere ed evitare di fare ricapitare una cosa del genere in un futuro. Sono la migliore del gruppo e quindi non mi preoccupo molto anzi, mi rende felice. Avevo iniziato tutto per proteggermi, ma ora è diventato un divertimento, perciò avere una competizione mi rende felice, l'unico momento in cui mi sento me stessa ed in cui la depressione non mi assale, diciamo che è un vero e proprio sfogo.

Mi preparo per uscire ed arrivo alla palestra, mi alleno duramente e sfogo tutta la frustrazione con calci, pugni e volteggi,così come faccio durante la gara.
Sono la prima ad essere chiamata e la mia voglia aumenta sempre di più sentendo i miei compagni, il pubblico ed il mio allenatore incitarmi per darmi forza.

Salgo sul tappetone e, dopo il fischio, iniziamo. Mi ritrovo a pensare che il mio avversario sia il detective Kim e mi sale ancora di più la determinazione per sconfiggerlo. Quello stronzo truffatore...

Dopo aver vinto tre round su cinque, andiamo a festeggiare tutti insieme ad un bar lì vicino e ci divertiamo insieme.
Sto per andare a casa per cercare un modo per contattare il truffatore, almeno per assaporare il gusto di una dolce vendetta.

Improvvisamente, nel mentre che mi avvio tra i colorati palazzi della città, me lo ritrovo davanti, seduto ad un tavolino con un'altra ragazza, probabilmente una prossima vittima.

"Ragazzi, mi fermo ancora un po' qui, voi andate pure, ci vediamo domani!" Dico al resto del gruppo che mi saluta festosamente.
Mi avvicino al tavolo e vedo che nessuno dei due mi nota. La ragazza sta per consegnare una mazzetta al truffatore Kim, ma la fermo prendendo il ragazzo per il colletto della camicia che sta indossando.

"Amore, che cosa stai facendo ancora in giro, ti ho cercato dappertutto! Dobbiamo andare oppure saremo in ritardo!" Gli urlo in faccia e lo faccio alzare approfittando della sua sorpresa per portarlo via con la forza.

Una volta in strada sembra essere tornato in sé e mi scrolla via. "E tu saresti?" Mi chiede guardandomi dall'alto. "Oh, non ti ricordi?" Tiro fuori dalla tasca il suo biglietto e glielo butto sul petto senza spostarlo di un millimetro. "Sono una delle tue vittime, ladro!"

Con mia grande sorpresa il ragazzo scoppia in una grassa e sonora risata
"Non so di cosa tu stia parlando".

La rabbia scorre in ogni mio singolo capillare facendomi diventare rossa per l'ira.
Mi allontano leggermente e gli tiro un calcio.

"Ti porterò alla polizia sporco truffatore!" Probabilmente rimane ancora una volta colpito dal mio comportamento, tanto da cadere a terra al mio secondo colpo, ma poco dopo ritorna in piedi ed inizia a difendersi.

Scopro che è forte, ma so di esserlo anche io e non mi abbandono a lui, anzi combatto con tutte le mie forze, mandandolo una seconda volta a terra. Così fa anche lui poco dopo, cadere sull'asfalto è decisamente peggio del tappeto, mi sbuccio gomiti e ginocchia, ma mi rialzo in piedi senza dar troppo peso al bruciore e al dolore che si diffondono sul mio corpo.

Rispondo con un altro calcio, che però lui blocca e poi mi spinge al muro ed un secondo dopo sento un pizzichio al collo e poi nulla.

Rispondo con un altro calcio, che però lui blocca e poi mi spinge al muro ed un secondo dopo sento un pizzichio al collo e poi nulla

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