Reflection

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Hey, tu che stai guardando il fiume Han...

I wish I could love myself

Sarebbe bello poter amare se stessi a pieno. Amare ogni propria azione, ogni propria decisione, ogni proprio difetto, ogni proprio aspetto.
Sarebbe ancor più bello odiare se stessi e dimenticarlo di stare facendo, almeno per qualche secondo.

Hai la certezza di non essere perfetto, di non essere come gli altri, di non essere fortunato come loro e avere sempre il sorriso sulle labbra, di vivere in una favola, ma te ne dimentichi. Come se neanche gli altri esistessero più.

Come se quel ragazzino che teneva la mano alla madre, mentre nell'altra reggeva un bel gelato al cioccolato di cui colava qualche goccia a terra, non esistessero. Come se quel gruppo di ragazze non stesse ridendo così animatamente. Come se quell'uomo dalla barba bianca e ispida non stesse impartendo lezioni di yoga sotto gli alti alberi del parco in lontananza. Come se non esistesse più nulla e come se fossero rimasti solo il fiume e Namjoon davanti ad esso. 
Neanche alzava più gli occhi per controllare il ponte che conduceva da una parte all'altra dell'ampio fiume Han: sapeva che c'era e basta, così come l'acqua del fiume stesso.

A volte non si avvicinava neanche: gli capitò in diverse occasioni di provare una forte fitta al petto ogni qualvolta intravedeva il suo riflesso nell'acqua.
Diverso. Era diverso dagli altri. Da tutti coloro che incontrava e che salutava. Quelle vite perfette, zero preoccupazioni, zero pressioni. Strinse le braccia al petto, sedendosi sulla panchina e guardando il vuoto, in direzione della pista ciclabile, percorsa ormai più da turisti che abitanti di Seoul.

I wish could console myself

Aveva fatto tanto per trattenersi, per cercare di mettere a tacere le voci nella sua testa, quelle odiose voci che facevano sempre stare Kim Seokjin in allerta, sempre con gli occhi vigili a guardarsi intorno e con le orecchie spalancate. Ma non era riuscito a trattenersi, era andato lì per svagarsi e liberare la mente, ma adesso stava peggio di prima, tutto a causa di quelle sue stupidissime fobie insensate.

A volte sarebbe voluto tornare a quando era solo un bambino, a quando era intrepido e non aveva paura di nulla come quel bambino, lì vicino al fiume, che stringeva la mano della mamma mentre reggeva un gelato al cioccolato. Avrebbe voluto essere spensierato come quel gruppo di ragazze che in quel momento stavano ridendo per delle frivolezze. Ma lui non ci riusciva, non poteva più essere libero e senza pensieri, perchè ormai essi erano il suo punto fisso e gli divoravano giorno dopo giorno l'anima. Continuò a camminare in balia dei suoi pensieri finché non si sedette su di una panchina asciugandosi le ultime lacrime dal suo volto, non accorgendosi del ragazzo seduto proprio accanto a lui, troppo preso dal fissare il fiume perso nei suoi pensieri.

Quel ragazzo sarebbe potuto rimanere a fissare il vuoto senza prestare la benché minima attenzione all'altro, dagli occhi rossi e che tirava su col naso ogni tanto - sempre con discrezione, tuttavia, spostando un tantino il capo verso la destra in direzione del ponte, notò questa sagoma dalle spalle larghe e impossibile da passare inosservata, proprio accanto a lui. All'apparenza sembrava un ragazzo anche lui alto, solo che teneva le spalle larghe leggermente chiuse e il volto rivolto verso il basso. Tutto sembrava tranne che un turista di Seoul: i turisti sono sempre allegri, girano con una sacca sulle spalle, un cappellino con visiera e una bottiglietta d'acqua. Il ragazzo esprimeva malinconia palpabile solo dall'aria, per cui non era lì per visitare DDuksum. Poteva anche essere un giovane ragazzo disperato per la perdita del lavoro: lì sarebbe stato lecito essere sul punto di piangere. Oppure era stato appena mollato dalla fidanzata. A Namjoon dispiacque in qualunque caso, anche se, per entrambe le due opzioni, non era in grado di compatirlo, però dalle informazioni ricevute dalla gente poteva ben intuire non fossero belle situazioni da sopportare.

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