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I miei occhi cominciarono a lacrimare mentre cercavo di mandare giù il groppo che avevo in gola. Stanca di sentirmi così fragile, mi asciugai le lacrime scese sulle guance con il dorso della mano. Da un momento all'altro avrei rischiato di esplodere, letteralmente.

Mi guardai attorno: la stanza in cui mi trovato, sebbene fosse mia, non aveva niente di familiare. Non c'erano foto alle pareti. Niente, niente che ricordasse chi ero prima di arrivare qui. Continuavo a chiedermi il vero motivo per il quale mi trovassi ancora lì, circondata da cose che in quel momento mi parevano estranee avvolta da uno straziante silenzio amalgamato ai miei deboli singhiozzi.

In realtà, conoscevo benissimo la risposta. Non era stata una mia scelta, bensì una necessità. Non avevo altro posto dove andare e loro non avrebbero potuto voltarmi le spalle. Erano l'unica famiglia che avevo, sebbene la cosa non mi entusiasmasse.

Mi sedette nuovamente sul letto e cercai di concentrarmi sui compiti. Quando provai a prendere il libro di biologia dallo zaino ebbi una fitta. Non riuscivo a credere che la spalla facesse male di nuovo. A quanto pare avrei dovuto indossare le maniche lunghe anche quella settimana.

Il dolore, che sembrava non voler cessare, mi fece venire in mente scene a dir poco agghiaccianti. Feci un respiro profondo e mi lasciai circondare dal vuoto. Dovevo togliermi quelle immagini dalla testa, non avevo scelta, così mi sforzai di rimanere concentrata su quello che il libro di biologia aveva da offrirmi, prima di cadere nel sonno.

Venni svegliata da qualcuno che mi chiamava oltre la porta. Dovevo aver dormito per almeno due ore anche se in realtà non mi ricordavo nemmeno di essermi addormentata.

"Sì?" chiesi con voce rauca.

"Karla?" disse una vocina timida mentre la porta si apriva lentamente.

"Entra, Noah" provai a sembrare il più accogliente possibile nonostante avessi ancora il magone e una voglia di vivere che ormai aveva toccato il centro della Terra.

I grandi occhi blu di Noah passarono in rassegna la stanza finché non incontrarono i miei, vedevo che era agitato al pensiero di ciò che avrebbe potuto trovare, e mi sorrise sollevato.

"La cena è pronta" disse inchiodando gli occhi al pavimento.

"Arrivo subito". Provai a sorridergli cercando di dimostrargli che andava tutto bene. Lui accennando un sorriso fece marcia indietro e tornò in soggiorno. Il rumore dei piatti che venivano messi in tavola risuonavano in tutto il corridoio mescolati alla vocina tenera di Rue. Se qualcuno avesse osservato la scena dall'esterno, avrebbe pensato all'immagine perfetta di una famiglia che si prepara per la cena.

La scena cambiò quando decisi di andare in cucina. L'aria si fece greve. Feci un altro respiro profondo e provai a convincermi di potercela fare. Camminai lentamente lungo il corridoio verso la sala da pranzo. Tenevo lo sguardo fisso sulle mani, che mi tormentavo per l'ansia. Fortunatamente nessuno mi accorse immediatamente della mia presenza.

"Karla!" esclamò Rue dopo un po', correndo verso di me. Mi chinai per prenderla in braccio e non riuscii a trattenere una smorfia quando il dolore alla spalla tornò a farsi sentire.

"Hai visto il mio disegno?" chiese orgogliosa. Percepii uno sguardo minaccioso alle mie spalle e sapevo che se fosse stato un coltello, sarei stata trafitta all'istante.

"Mamma, hai visto il mio disegno?" sentii Noah chiedere a sua madre, nel tentativo di farle togliere lo sguardo ostile rivolto contro di me.

"E' stupendo, piccolo" lo celebrò lei, spostando repentinamente l'attenzione sul figlioletto.

"E' bellissimo" sussurrai a Rue, guardandola nei suoi grandi occhi marroni "Perché non ci sediamo a tavola ora?" la invitai poi.

Annuì semplicemente. Non avevo idea della tensione che quel piccolo gesto di affetto aveva creato intorno al tavolo. Quella bambina aveva tre anni, mi adorava perché ero la sua cugina più grande, e lei era la mia luce in quella casa buia.

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⏰ Last updated: Jun 29, 2020 ⏰

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- The Hurting -Where stories live. Discover now