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Ermal se ne stava chiuso nella sua stanza, sdraiato su quel letto matrimoniale troppo grande per una sola persona e troppo piccolo per la tristezza con la quale era costretto a condividerlo. Non riusciva a piangere, le lacrime parevano rimaste incastrate tra le ciglia e non volevano saperne di cascare e liberarlo di quel fardello schiacciante. Sentiva un peso insopportabile all'altezza dello stomaco che lo opprimeva, gli limitava la respirazione e l'aria che lo circondava entrava a fatica nei polmoni compromessi dal fumo. Ne aveva fumate almeno sei di sigarette nel giro di mezz'ora, la testa gli girava neanche avesse assunto una droga stordente e allucinogena. Stava sdraiato, una mano sotto il capo riccioluto, una gamba sollevata e inclinata e lo sguardo rivolto al soffitto che di interessante, in quel momento, aveva tante cose. C'era qualcuno che bussava insistentemente alla porta della camera da una decina di minuti, eppure non gli fregava di alzarsi e andare ad aprirla. Il soffitto aveva rapito tutta la sua attenzione e tutti quei dettagli che facevano da sfondo, ormai, non avevano più alcuna importanza.

Socchiuse gli occhi in un tentativo di ritrovare la pace smarrita, di riappropriarsi di se stesso e della propria ragione. La testa doleva paurosamente, pulsava così forte che per un istante non riuscì a capire se si trattasse del dolore o dell'incessante bussare su quel pezzo di legno duro. Non poteva rilassarsi, Ermal, era una pretesa troppo grande per la situazione in cui versava e credere di potersi riposare era surreale. Il cuore gli faceva un male cane e temeva fosse spezzato in due, un po' come in quei disegni adolescenziali nei quali le due metà sono divise da un tratto spezzato e fatto di spuntoni appuntiti. Nonostante il pianto fosse sempre più vicino ad uscire, non era in grado di abbandonarsi ad esso e dare sfogo alla montagna di sofferenza che lo aveva colto qualche ora prima. Uno sciocco, ecco come si definiva. Sciocco, un bambino ingenuo che si era illuso di poter cambiare le cose con le proprie mani e renderle migliori, diverse, senza avere il benché minimo timore di rovinarle. E grazie al cielo non era arrivato a combinare nulla, eppure quello stato d'animo era il preludio di un cambiamento che mai più avrebbe potuto riaggiustare.

Ermal sbuffò e affondò la faccia nel cuscino, soffocò un urlo animalesco nella federa blu e continuò imperterrito ad ignorare il continuo bussare alla porta. Sapeva chi fosse, o perlomeno lo intuiva. Da una parte avrebbe voluto vedere quel volto per calmarsi un minimo; dall'altra avrebbe invece preferito sfondarlo con un pugno ben assestato, vederlo sanguinante e sofferente, almeno un centesimo di quanto lo fosse lui. Era combattuto tra le due opzioni, indeciso se seguire la via suggeritagli dal raziocinio o quella spianatagli dal cuore ormai spezzato. Fuori alla porta continuavano a bussare senza sosta, nel suo cervello rimbombava potente ogni singolo colpo. Si alzò dal materasso con uno scatto talmente veloce che la testa gli girò pericolosamente; si poggiò allora sul bordo portandosi le mani alle tempie, i giramenti sempre più violenti che gli provocarono un senso di nausea difficile da sopprimere. Ermal aspettò diversi secondi prima di incominciare a camminare e mettere un piede davanti all'altro per dirigersi alla porta. Aveva le gambe scoperte ed erano pallide, certo non come il colorito cadaverico del suo volto. Quando posò la mano sulla maniglia ghiacciata e metallica si chiese se stesse facendo la cosa giusta. Si chiese come avrebbe reagito di fronte a quel volto tanto buono quanto spietato e meschino, come avrebbe controllato le proprie mani prima di chiudersi in pugni stretti e depositarsi sulla sua mascella morbida. Tirò un lungo sospiro, uno di quelli udibili persino dall'esterno della stanza, e aprì.

Ermal mise a fuoco immediatamente la figura alta e imponente del moro. Se ne stava con un braccio appoggiato allo stipite, un pugno a mezz'aria per bussare ancora una volta. Aveva una strana espressione dipinta sul volto, Fabrizio, sembrava abbattuto o, per meglio dire, confuso. Ermal non gli aveva dato modo di capire per quale motivo avesse reagito in quella maniera più di un'ora e mezza prima. Era scappato in stanza lasciando Vigentini e Maccaroni a chiacchierare al piano di sotto, davanti ad una bottiglia di ottimo vino portoghese. Si era rintanato nella stanza con la speranza di calmarsi, di rimanere lucido e ragionare il più possibile. Invece, tutto ciò che era riuscito a fare era stato sferrare schiaffi e botte sul cuscino fingendo fosse la faccia immacolata di Fabrizio. Non era riuscito a piangere ma aveva ascoltato in silenzio il battito furioso del proprio cuore, segno che non gli sarebbe passata, no, neanche se avesse finto che ogni cosa stesse andando bene.

Mercy on me//MetaMoroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora