"Evaso".
Per tutta la mattinata si chiese perché proprio quella parola gli si fosse incisa nel cervello.
Nella sua semplicità, nascondeva un lato inquietante e pericoloso. Camminando avanti ed indietro per la sua stretta camera bianca, si domandava come mai quello di cui aveva parlato con suo padre gli era tornato alla memoria in quel modo.
Forse era una sensazione, il suo intuito gli stava cercando di dire qualcosa. Ma cosa?
Per liberare la mente si fece una doccia, e quando ebbe finito si fermò davanti allo specchio, fissandosi.
Era da un pò di tempo che non si guardava per bene allo specchio.
Gli erano cresciuti i capelli, che ora erano all'altezza del mento.
Gli sembrava che fosse impallidito, e che i suoi occhi verdi su fossero scuriti. Erano ora dello stesso colore degli occhi di suo padre.
Non aveva mai notato quanto gli somigliasse. Insomma, suo padre era un pò grassoccio e due enormi baffi gli coprivano gran parte della zona delle labbra, ma l'espressione era la sua stessa. Si sentì crescere dentro una sensazione di malessere, che collegò con il brutto rapporto che ormai aveva con quell'uomo.
Si vestì ed andò in cucina, voleva fare uno spuntino prima di uscire di casa.Là, sul frigorifero, c'era un foglietto fissato con una calamita rossa.
"Sono uscito di casa presto, abbiamo delle informazioni sul caso del serial killer. Più tardi possiamo chiacchierare, okay? Buona giornata. Papà."
Non era la prima volta che suo padre gli chiedeva di parlare tramite bigliettini, e Sean non si aspettava che sarebbe stata l'ultima.
Sorprendendosi da solo, non vide l'ora che suo padre fosse tornato, voleva scambiare due chiacchiere riguardo a quel caso che tanto insistentemente gli era entrato in testa. E poi, voleva anche cercare una riconciliazione.
Pensò che per far sì che questo accadesse, avrebbe potuto ricominciare ad andare a scuola.
Così prese lo zaino e ci infilò dei libri a casaccio, ormai era tanto che non frequentava le lezioni e non sapeva più quali corsi avrebbe avuto quel giorno.Quando si ritrovò davanti all'istituto, tutti quei ragazzi, il caos, l'affiatamento e gli odori, gli fecero venire la nausea ed un gran mal di testa. Aspettò che suonasse la prima campana e poi entrò.
Come prima cosa si diresse verso l'ufficio del preside, dove avrebbe dovuto chiedere di poter ricominciare a frequentare le lezioni.
Là, però, vide qualcuno che non si sarebbe aspettato di vedere: Faith.Cosa ci faceva lì? Pensò che forse, nonostante si fosse traferita momentaneamente, avrebbe comunque voluto andare a scuola.
Voleva avvicinarsi a salutarla, però, vedendo che la ragazza era piuttosto nervosa, lasciò perdere.
Faith stava bisbigliando, ma si capiva chiaramente che era infastidita da qualcosa. Stava parlando con un'assistente scolastica, che dopo aver alzato gli occhi al cielo prese il telefono e digitò un numero.
Allora Faith si allontanò, e mentre andava per sedersi su una delle poltrone, vide Sean.
Gli lanciò un'occhiata senza emozioni, che sostituì il normale "hey".
— Ciao. — Sean si sedette di fianco a lei.
— Va tutto bene? Sembravi nervosa.
Faith prese un respiro e poi parlò:
— Non vogliono farmi iscrivere senza la firma di mio padre.
— Ah, ho capito. E.. Come mai non è qui, lui?
— Non poteva venire.
Mentre parlava non guardava in faccia Sean, che al suo contrario non poteva fare a meno di fissare gli occhi castani della ragazza.
— E tu? — ora si girò, e lo guardò con gli occhioni spalancati.
Nonostante la freddezza di quella ragazza, si vedeva che era ancora piccola. Sí, aveva solamente due anni in meno di lui, ma in lei Sean leggeva una certa innocenza che la rendeva ancor più interessante.
— Vorrei chiedere di poter stare ancora qua. È un pò che non ci vengo.
— E perché?
— È complicato. — disse quest'ultima frase velocemente, per far capire che non avrebbe voluto parlare ulteriormente.
Faith si sistemò la gonna lunga e sospirò, comprendendo che non avrebbe dovuto più domandare niente a Sean.L'assistente scolastica con la quale stava parlando precedentemente la chiamò con un gesto della mano.
Faith si schiarì la gola e si alzò.
Sean osservò la scena e concluse che le era stata rifiutata l'iscrizione. La rossa, allora, si guardò intorno come per calmarsi, come per evitarsi di colpire la donna che aveva davanti. Senza proferire risposta, si voltò ed uscì dall'aula.
Sean non ci pensò due volte prima di seguirla. Non voleva che quella ragazzina si mettese nei guai, e poi, provava uno strano senso di protezione verso di lei.
Accortasi ragazzo che la seguiva, ormai fuori dalla a scuola Faith urlò:
— Perché mi segui? Cosa vuoi?
Sean si fermò e prese fiato. Per essere minuta, la ragazza camminava davvero velocemente.
— Io.. Non voglio che tu vada in giro da sola, tutto qua. Posso accompagnarti al bar, se vuoi.
Faith socchiuse gli occhi, come per cercare di capire il vero intento di Sean.
— Non volevi tornare a scuola? — ora il tono della sua voce era calmo.
— No. In realtà no.
La ragazza parve apprezzare la risposta, quindi si girò e prese a camminare, questa volta lentamente, per poter farsi raggiungere dall'altro.Durante il tragitto si scambiarono solo poche parole.
Quando arrivarono davanti al locale, Faith si fermò e rifletté per un attimo.
— Non voglio stare qua, Brad mi tormenterebbe di domande.
— E dove vuoi andare?
— Hai una casa?
Sean quasi rise a questa domanda, ma si trattenne.
— Certo, andiamo. È qua vicino.Una volta entrati Sean realizzò quanto fosse strana la situazione.
— Vuoi qualcosa da mangiare?
— No, grazie, solo dell'acqua.
Sean le sorrise ed entrò in cucina. Lei lo seguì, guardandosi intorno.
Mentre lui versava dell'acqua in un bicchiere, Faith scrutava attentamente i vari mobili, dal tavolo, ai vari cassetti, al lavello. Quando, però, il suo sguardo si posò sul frigorifero, sul suo volto si dipinse un velo di preoccupazione.
Vedendo che la ragazza era sbiancata, l'altro posò l'acqua e le domandò se si sentisse bene.
Poi, vide quello che lei stava fissando: il biglietto lasciato da suo padre quella mattina. Pensò che non era da tutti i giorni vedere un foglietto che parlava di un serial killer.
Superandola, lo rimosse e lo accartocció.
Lei, rendendosi conto del suo comportamento strano, tossì e si calmò.
— È che mio padre fa il poliziotto.
Lei fece cenno di aver capito con la testa, poi prese il bicchiere d'acqua e lo bevve tutto d'un sorso.
Sean la guardava confuso.
All'improvviso la sensazione di quella mattina tornò a tormentarlo.
Sean si domandò perché proprio in quel momento stava ripensando a tutto ciò.
Per distrarsi posò lo sgaurdo su Faith, che lo stava guardando.
— Stai bene? Sei silezioso.
— Sí sí, perdonami. Mi è venuto in mente che mio padre tornerà a casa tra pochi istanti quindi...
— Capisco. Comunque, volevo ringraziarti per oggi. Sei stato molto gentile.
Per la prima volta lei gli sorrise, e Sean rimase pietrificato da quel sorriso stupendamente terrificante.
Poi, la ragazza, veloce come un lampo gli diede un bacio sulla guancia.
Sean quasi non se ne rese conto, e quando lo fece arrossì.
Tutta la storia del serial killer gli era passata di mente e ora pensava soltanto alla rossa.
Pensava a quanto fosse bella e a come lo facesse sentire strano.
Quindi la baciò.
All'inizio lei sembrò stupita, ma poi ricambiò il bacio.
Sean le strise delicatamente i fianchi, Faith era ancora la stessa ragazzina bassa e minuta che aveva conosciuto solo poco tempo prima.
Mentre ancora i due ragazzi si gustavano quel momento così surreale, qualcuno aprì la porta.
Era il padre di Sean.
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Houston
General Fiction"Tutto scorreva velocemente intorno a quella scena straziante. [...] Quella fu la prima e l'ultima volta che Sean vide il padre piangere. La prima e l'ultima."