Capitolo 3

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Capitolo 3

“Tiffany, qualcuno ti sta cercando al telefono.” La voce di Theresa mi risvegliò dai miei pensieri.

“Arrivo.” Chi poteva essere?

“Pronto?”

“Tiffany.” Mio padre.

“Papà.” La mia voce era piena di terrore e disprezzo.

“Torna immediatamente a casa.”

“Cos’è successo?”

“È successo che tu devi imparare a risolvere i problemi da sola. Ho ricevuto una lettera dal proprietario della casa, non hai pagato l’affitto.”

“Papà, non è ancora fine mese e Theresa non mi ha ancora pagata.”

“Non me ne frega, dì a quella sgualdrina di consegnarti il bonifico, immediatamente. Stasera faremo i conti.”

Chiusi la chiamata e mi accasciai a terra. Avevo paura, ero terrorizzata e disgustata. Iniziai a piangere. Dolore e solitudine mi riempivano le vene, ormai. Ero come un leone in una gabbia, intrappolata e schiava del domatore, mio padre.

“Tiffany.” La sua voce. Due mesi passarono da quella giornata in libreria, due mesi da quando io e lui diventammo amici, ma nonostante tutto, io non gli raccontai una minima parte di mio padre.

“Harry.” Mi girai, era in piedi, appoggiato allo stipite della porta con sguardo confuso.

“Cos’hai?”

“Non ho niente.” Abbassai lo sguardo. Lui si abbassò alla mia altezza.

“Guardami.” Non volevo, non volevo che lui provasse pena per me.

“Tiff, guardami.” Alzai il mio viso, facendo intrappolare i miei occhi nei suoi.

“Ti manca?” Mi prese le mani e le unì alle sue.

“Se mi manca? Mi manca come l’ossigeno, come l’acqua, come il cibo.” Stavo piangendo, di nuovo, davanti a lui.

“Vieni qui.” Mi abbracciò. Mi sentivo così protetta tra le sue braccia, così viva. Sorrisi.

“Perché non vai a casa?”

“Devo lavorare, Harry.”

“Prenderò io il tuo posto.”

“Non posso.”

“Puoi.”

“Non voglio.”

“Si che vuoi.”

“Sei stupido.”

“Mai come te.” Sorrisi, lui ricambiò.

“Adesso vai.” Mi alzai per andarmene ma mi fermai.

“Harry?”

“Si?”

“Grazie.”

“Tutto per una stupida fanciulla.” Un altro sorriso.

***

Salii in camera, facendo cadere la giacca e il mio telefonino. Mi fermai, però, ad osservare alcune mie foto da piccola, con mia madre e mio padre che mi abbracciavano. Era un arco di tempo pieno di sorrisi, risate, felicità, ma soprattutto pieno di vita.

Mi spaventai, quando una persona barcollante entrò nella mia camera, facendomi rabbrividire. Mio padre.

“Tiffany.” Sospirò. “Vieni qui.” Ma quando fui pronta per rifiutare, lui iniziò ad avvicinarsi.

“Vieni qui amore di papà.” Rideva. Quando fu abbastanza vicino, prese i miei capelli e iniziò  tirare tanto da farmi urlare dal dolore.

“Smettila di urlare, adesso.”

“Mi fai male, papà.” Esclamai addolorata, in preda alle lacrime.

“Arrangiati Tiffy.” Cercai di divincolarmi dalla sua presa, ma lui mi prese per i fianchi e mi strattonò a terra.

“Adesso, vai a dormire Tiffany. Sogni d’oro.” Iniziò a ridere mentre io piangevo come una bambina piccola.

***

Bussai e un attimo dopo lui arrivò.

“Tiffany, cosa ci fai qui a quest’ora? Sono le nove.”

“Non voglio restare sola a casa, mio padre ha il turno di notte.” Mentii. Avrei mentito altre mille volte pur di stare tra le sue braccia.

“Dai, entra.” Abbassai lo sguardo imbarazzata, poi, entrai.

“Vuoi una mia maglietta per dormire?”

“Si, grazie.” Sorrisi e lui, come sempre, ricambiò calorosamente.

Andai nella sua camera da letto e iniziai a spogliarmi, rimanendo in intimo. Osservai il mio corpo allo specchio, il mio corpo malridotto.

Qualcuno, però, interruppe i miei pensieri, facendomi voltare.

“Tiff, scusami. Non sapevo fossi qui.” Cercai qualcosa con cui coprirmi, ma la mia ricerca fu invana.

“Tiffany, cosa sono quelli?” Si riferì ai segni violacei sulla mia pelle, ne ero sicura.

Flaw-Harry StylesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora