Eren, non devi andare via per forza.
Così gli aveva detto, e per un singolo istante aveva addirittura soppesato quelle parole, le aveva analizzate con cura, cercando in quella frase appena bisbigliata un doppio senso, un secondo fine.
Potrei andarmene io.
Aveva continuato, chiarendo immediatamente ogni dubbio. Ovviamente, Levi non gli aveva proposto di convivere pacificamente in quella casa per qualche giorno, bensì aveva suggerito una soluzione alternativa a quella circostanza così improbabile e imbarazzante. Per un attimo ci aveva seriamente sperato. Sotto quel punto di vista non era cambiato minimamente: era ancora lo stesso, egocentrico ragazzino, bramoso di attuare la più infantile delle vendette. Quanto avrebbe voluto voltarsi e leggere in quello sguardo argentato una muta preghiera, la supplica di restare e di riprovarci, solo per poterlo schernire con la più sarcastica e sprezzante risata, umiliarlo come in passato aveva fatto con lui. Una speranza vana, ne era consapevole: purtroppo conosceva Levi meglio di chiunque altro e sapeva che mai avrebbe supplicato qualcuno. Aveva troppo orgoglio, troppo amor proprio per potersi permettere una cosa del genere.
Gli aveva detto di no, giustificando quella risposta con la scusa di non aver ancora disfatto i bagagli, camuffando magistralmente la sua vera motivazione: in realtà voleva andare via per il semplice gusto di abbandonarlo senza guardarlo in faccia, ripagarlo con la stessa moneta. In fondo se lo meritava un trattamento del genere.
Quel pensiero lo tenne sveglio fino a tardi, ore intere passate a rigirarsi tra le coperte e a sfogliare svogliatamente Madame Bovary, nella speranza di riuscire a proseguire quella maledetta lettura iniziata mesi prima. Non era l'unico libro che aveva portato con sé, l'altro in realtà era scivolato nella sua valigia discretamente, ed Eren non ci aveva nemmeno pensato. La copertina, dalle sfumature bianche e blu che s'intrecciavano armoniosamente attorno al titolo "Wounds" fino ad arrivare al retro, pareva fargli gli occhi dolci, un invito ad essere preso e letto una volta per tutte. Eppure ogni volta che il suo sguardo cadeva sul nome dell'autore, Levi Ackerman, l'odio superava la sua naturale curiosità, impedendogli finanche di leggerne il prologo. Gli venne in mente anche la malsana idea di buttarlo nel camino per godersi lo spettacolo delle pagine mangiate dal fuoco.
Alla fine, per quanto un gesto del genere gli avrebbe provocato un perverso piacere, optò per la scelta più semplice: sistemò il volume sul fondo della valigia, coprendolo con i vestiti nella speranza che il non averlo a portata d'occhio lo allontanasse anche dalla sua mente.
«Eren.» la voce di Levi lo fece sobbalzare e, quasi come se stesse commettendo un reato, nascose sotto una coperta Madame Bovary, prima di voltarsi nella sua direzione e vederlo comparire in salone. Gli lanciò un'occhiataccia truce, riuscendo a fermarlo dall'avanzare nella sua direzione; poi sospirò mestamente, affondando con il collo nel poggiatesta del divano.
«Cosa?» domandò in uno sbuffo.
«Ecco... spegni le luci prima di andare a dormire.» disse velocemente e, a quella raccomandazione così futile, Eren inarcò un sopracciglio.
«Va bene.» acconsentì subito dopo, voltandosi nuovamente verso il camino, pensando e sperando che la conversazione fosse conclusa lì.
«E assicurati che le finestre siano tutte chiuse.» continuò, la voce completamente priva di qualsivoglia emozione, asciutta e atona, ma allo stesso tempo caratterizzata da quell'enigmatica calma che Eren aveva sempre trovato seducente da morire. O forse, più che altro, a farlo impazzire era la consapevolezza di avere - o meglio di aver avuto - il potere di farla incrinare, la capacità di piegare quella facciata di algida compostezza che si ostinava a sbandierare in giro. Il castano sbuffò spazientito, più dai suoi pensieri che dalle accortezze che Levi gli aveva chiesto di avere, per poi mimare un "sì" con la testa.
«Certo che sei incredibile.» sussurrò Levi, costringendolo questa volta a girarsi completamente nella sua direzione per dedicargli il massimo dell'attenzione. La sua voce era un misto d'incredulità e disprezzo.
«Come scusa?» il corvino fece l'ennesimo passo nella sua direzione, trafiggendolo con uno sguardo gelido, accompagnato dalle labbra tese in una linea dura.
«Ti comporti come se avessi pianificato tutto io. Posso assicurarti che nemmeno per me è una situazione piacevole.» quando quelle parole scivolarono fuori dalle sue labbra, Eren dovette trattenersi dal ridergli in faccia. Si limitò invece a sospirare spazientito, facendo scivolare via dal grembo la coperta, afferrando il libro e sperando che Levi capisse che la sua voglia di fare conversazione con lui fosse pari a zero. Sfogliò le pagine, alla ricerca del punto in cui si era interrotto, rendendosi conto di non aver prestato sufficiente attenzione alla lettura e di non ricordare nemmeno uno degli eventi dell'ultimo capitolo.
Sentì Levi girare sui tacchi e allontanarsi passo dopo passo verso l'uscita.
«Non paragonarti a me, non puoi permettertelo.» borbottò, mantenendo gli occhi fissi sulle pagine, per poi maledirsi mentalmente per quel brutto vizio che aveva e che lo costringeva a parlare anche quando avrebbe dovuto tacere. Era riuscito a far allontanare Levi, eppure la sua infantile necessità di avere l'ultima parola su tutto, aveva battuto ogni sua volontà. Il corvino si era bloccato nuovamente: il sottofondo dei suoi passi
improvvisamente interrotto ne era stata la conferma.
«Ma cosa ne vuoi sapere tu di quello che posso o non posso permettermi?» Eren si girò di scatto a quella domanda, percependo una nota sofferente nella sua voce. Levi gli dava le spalle e, nonostante la posa apparentemente rilassata, intravide la mano destra stretta in un pugno ferreo. La voglia di alzarsi per andargli incontro e immergersi nei suoi occhi per capire cosa si celasse all'interno di quei pozzi di argento liquido, solitamente imperscrutabili, lo pervase. E l'avrebbe anche fatto, se Levi non avesse immediatamente ripreso a parlare.
«Davvero, cominci ad essere snervante. Smettila di essere così fottutamente egocentrico e cresci, Eren.» sospirò, il suo tono tornò ad essere quello di sempre, giusto un minimo più tagliente, e la sua mano si schiuse, rivelando i segni lasciati dalle unghie nei palmi. Sparì oltre la porta senza aggiungere altro ed Eren rimase immobile ad udire le scale scricchiolare sotto il peso dei piedi del maggiore, per poi lasciarsi inghiottire dal silenzio che invase la stanza subito dopo. Era la sua mente ad essere completamente in subbuglio.
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Snow Doesn't Give a Damn [Ereri/Riren]
FanfictionOgni individuo è fautore del proprio avvenire, o semplicemente tutto è stato prestabilito, rendendo l'essere umano un'entità passiva, costretta nello scorrere degli eventi fino alla fine dei suoi giorni? Eren proprio non riusciva a venirne a capo, m...