Capitolo 1

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Che palle, oggi è venerdì, l'unico giorno della settimana che odio, non per chissà quale ragione eh, ma perchè Mike, il mio migliore amico, nonché possessore di una moto, non può passarmi a prendere per andare a scuola, perchè, lavorando entrambi i suoi genitori, deve portare Gemma, la sua sorellina, a scuola, quindi mi tocca prendere il bus. Quel mezzo odioso chiamato anche "sposta poveri" che, per mia fortuna, devo prendere solo una volta alla settimana. Non so cosa farei al posto di quei poveretti che devono prenderlo tutti i giorni e perciò arrivano quasi sempre in ritardo o tirati, senza nemmeno avere il tempo di salutare gli amici che suona la campanella.
Tuttavia, il bus mi offre un occasione di riflessione, perchè devo ammettere che guardare fuori dal finestrino (lercio) ti dà la possibilità di notare particolari che in moto, andando molto più veloce, non si possono notare.
Oggi, ad esempio, penso a Mike e Sophie, i miei migliori amici, le uniche persone con cui ho legato subito quando sono venuta qui, in questo paesino chiamato ****, sulle spiagge della California, vicino a San Francisco. Sono le uniche due persone che sanno di quello che ho passato senza mia madre, perchè non l'ho mai conosciuta, dato che, da quello che mi hanno raccontato papà e i nonni, è morta dandomi alla luce; sono gli unici a sapere del mio problema a fidarmi della gente, e posso dire che sono le uniche due persone a cui tengo seriamente, al di fuori di mio padre e dei miei nonni.
Uno scossone mi riscuote dai miei pensieri, e noto che il pullman si è fermato e i ragazzi sono già scesi tutti, tranne me, ovviamente, mi alzo di scatto e mi precipito lungo il corridoio urlando all'autista di fermarsi, ma quel grassone stronzo come pochi, mi guarda e mi dice: -Tesoro, ho appena chiuso le porte, dovrai scendere alla prossima fermata.- A niente valgono le mie imlporazioni, così, rassegnata mi siedo nei primi posti e prenoto la prossima fermata.

Finalmente, 500 metri dopo, il pullman si ferma, e posso finalmente scendere da quel mezzo infernale. Sto camminando con tutta calma sul marciapiede, quando mi rendo conto che sono già le 07.50 e che ho solo 20 minuti per raggiungere la scuola, entrare, cercare il mio armadietto, prendere i libri di biologia e andare in quell'aula, dove, sicuramente, la Smith, l'arpia-professoressa che mi insegna questa materia bellissima, mi guarderà malissimo.

Finalmente, 10 minuti dopo, giungo a scuola (non so come ma senza correre nè sudare, I'm so proud of me), raggiungo l'armadietto, prendo i libri e inizio a correre per i corridoi per evitare di arrivare tardi alla lezione di biologia, ma, così facendo, vado a sbattere contro un ragazzo, mi pare si chiami Francis, del terzo anno, alto, riccio e moro, con gli occhi verdi, come il lago che vedo nel parco di fronte a casa.
Per evitare di cadere entrambi a terra, Francis mi afferra al volo per un braccio e mi tira contro di lui, facendo scontrare i nostri occhi e facendomi cadere i libri dalle mani, e così mi trovo abbracciata a lui, uno dei ragazzi più fighi di tutta la scuola, nel mezzo di un corridoio, con i libri sparpagliati intorno a noi e decisamente in ritardo.

Appena ci rendiamo conto della posizione in cui siamo, cerchiamo di sciogliere l'imbarazzo mettendoci a raccogliere i libri da terra e mi rendo conto che ho già visto quel ragazzo, oltre che per i corridoi, da qualche parte in casa di mio padre, probabilmente un una fotografia o un documento, ma non riesco a ricordare dove.

Dopo l'incontro con Francis, mi precipito nell'aula di Biologia, dove riesco ad arrivare prima della professoressa Smith, evitando così una bella nota, altrimenti sicura, dato che mi odia a morte.
Mi siedo vicino a Sophie, che, a differenza mia, sta simpatica alla prof, anzi, probabilmente è l'unica alunna che riesce a sopportare.
Sophie mi bisbiglia: - Ehi, ma dove sei stata?-
Riesco appena a bisbigliare parole sconnesse: - Venerdì...pullman...addormentata...sono scesa a quella dopo...- che la Smith entra in classe, più incazzata del solito, e borbotta un - Buongiorno ragazzi - fissandomi con molta insistenza e più odio del solito, si appoggia alla cattedra, apre il registro e dice: - Dai, dato che siamo molto avanti con il programma e sono a buon punto con le interrogazioni, prendete le vostre cose che andiamo in laboratorio.-
Tutti acconsentiamo con entusiasmo, non era mai capitato che la Smith ci portasse in laboratorio senza che la scongiurassimo per ore, ma di sua iniziativa. Così bisbiglio alla mia migliore amica: - Chi è questa e cosa ne è stato della vera Smith? -
Sophie scoppia a ridere, con quella risata spontanea che dedica solo a me e a suo fratello, Axel.
Quella risata mi riporta a quando ero alle elementari e lei era la mia unica amica e a quel dannatissimo e uggioso pomeriggio di ottobre che ha cambiato la sua vita.

Ero appena tornata a casa da scuola, avevo pranzato con Liz, la donna che mi faceva da babysitter e aiutava mio padre con la pulizia della casa, e mio padre, che era appena uscito per tornare al lavoro, quando suonò il campanello. Dal momento che Liz stava finendo di lavare i piatti e aveva le mani bagnate, mi chiese di andare ad aprire e io lo feci, tutta timorosa e tentennante come può esserlo solo una bambina di 8 anni a cui, quando faceva i capricci, raccontavano storie di bambini capricciosi che venivano rapiti alla porta da un uomo nero grande e grosso.
Tuttavia non mi rapirono nemmeno quella volta, anzi, quello che vidi era tutto il contrario di un uomo grande e grosso. Infatti vidi Sophie, piangente e tremante, che teneva per mano un bambino, poco più grande di noi, di circa 10/11 anni, e dopo un po' mi resi conto che dovesse essere Axel, il fratellino della mia migliore amica, che mi parlava di lui come del suo supereroe; entrambi avevano i capelli e i vestiti completamente inzuppati a causa della pioggia che cadeva incessantemente.
Li guardai con gli occhi spalancati, non riuscendo a dire niente, e in quel momento sopraggiunse Liz, che, dopo qualche istante di stupore, chiese loro cosa ci facessero da soli e per di più sotto alla pioggia.
Axel, guardando attentamente me e la mia babysitter come per capire se fossimo adeguate a sapere la risposta e a dargli magari una mano, rispose prima di scoppiare in un pianto dirotto: - I *sigh* nostri *sigh* genitori -
Prima che Liz riuscisse anche solo ad assimilare la risposta, mi precipitai giù dalle scale e corsi verso di loro, abbracciandoli come faceva mio padre quando avevo gli incubi, e restammo per parecchio tempo lì, stretti gli uni agli altri, incuranti della pioggia.
Alla fine, uscì da sotto al portico anche Liz e venne verso di noi dicendo: - Che ne dite se andiamo dentro e beviamo una cioccolata? - Dato che fui l'unica a rispondere, ci trascinò in casa e ci mise a sedere sulle sedie che c'erano intorno all'isola in cucina.
Davanti ad una tazza di cioccolata calda Axel si calmò e ci raccontò che, circa una mezz'oretta prima, li avevano chiamati i loro genitori, che stavano tornando a casa dal lavoro insieme (dato che al padre si era fermata la macchina e la madre era andata a prenderlo), e avevano detto loro che erano la loro vita, che avrebbero dovuto avere il ricordo di due genitori sorridenti e felici sempre vivo e "a portata di mano" e avevano detto ai bambini che sarebbero dovuti venire da mio padre, che era il loro migliore amico, che si sarebbe preso cura di loro.
Axel ci disse che poi avevano sentito solo: - Vi vogliamo bene - poi un grande colpo, seguito da delle grida, e poi più niente.
Da quel giorno Sophie e Axel vivono a casa mia e, nel corso degli anni, abbiamo stabilito un rapporto stupendo, fatto di fiducia reciproca che è superiore a qualsiasi aspettativa mi fossi mai fatta riguardo un'amicizia.

- Oddio hai sentito? - la voce di Sophie mi riscuote dai miei pensieri
- No scusa, non stavo ascoltan- non faccio in tempo a finire la frase che la mia migliore amica mi salta al collo e mi urla (stordendomi) nell'orecchio: - LA SMITH HA DETTO CHE DOMANI CI PORTA ALL'ACQUARIO -

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