Era una bella mattina di sole e nell'aria si sentiva la febbrile eccitazione che l'avvicinarsi delle vacanze estive portava con sé.
Quella mattina Sara si era alzata presto piena d'energie; per la prima volta sarebbe andata a casa di una sua nuova compagna di classe.
La madre di Sara si agitava freneticamente nel controllare e ricontrollare l'interminabile lista di cose da dare alla bambina per quella giornata.
Sara sapeva che sarebbe stata una giornata speciale, non vedeva l'ora d'essere a casa della sua amica, liberata dalle infinite prediche della madre che continuava a ripeterle di: comportarsi bene, essere carina, gentile e salutare con garbo i presenti...
Il viaggio in macchina sembrava interminabile; i suoi, al solito, litigavano per la strada da prendere, mentre il fastidioso rumore di sottofondo dell'auto la faceva stare male.
I tentativi di isolarsi nel suo mondo fantastico, per sfuggire a tutto quel frastuono che le rimbombava nella mente confondendole i pensieri, erano inutili; se solo avesse avuto un i-pod, avrebbe potuto mettere tutto a tacere e riuscire così ad annullarsi nella musica, ma sapeva bene che non avrebbe mai potuto possederne uno.
Suo padre, infatti, era contrario all'utilizzo della tecnologia alla sua età: sosteneva che si trattasse solo di capricci e che vivere attaccati alle cuffiette l'avrebbe fatta diventare sorda. "Eppure" pensava Sara "basterebbe usarla in modo intelligente e, in fondo, alle volte non sentire è un vantaggio: si evita di stare male... Dopotutto quanta gente non vede le cose non perché cieca, ma perché non le vuole vedere.
Strane e complesse riflessioni senza capo né coda cominciarono a pervaderle la mente, isolandola per un po' da quanto le accadeva intorno.
Non era la prima volta che simili ragionamenti la coglievano. Tra sé e sé Sara tentava di convincersi che fossero sciocchezze di una bambina d'otto anni, utili a evitare un'ora di lezione se si riusciva a coinvolgervi la maestra, ma alle volte si sentiva schiacciata.
All'improvviso le sue riflessioni furono bruscamente interrotte, erano arrivati a destinazione.
Un imponente cancello di ferro battuto bianco era la porta d'ingresso al vasto giardino, che circondava la villa dove viveva la sua amica.
Senza pensarci su due volte Sara scese rapida dalla macchina e, salutata in fretta la madre, si unì al gruppo dei suoi compagni che aspettavano solo lei per entrare.
La sua amica era con gli altri accompagnata da una tata giovane e simpatica che li condusse attraverso il parco.
I grandi viali di ghiaia bianca erano alternati da piccoli sentieri in mezzo al verde, le aiuole erano curate e piene di fiori.
C'era persino un boschetto dove scoiattoli e uccellini giocavano a rincorrersi tra i rami, mentre l'aria frizzante di mille profumi delicati rendeva completo quello scenario d'incanto.
Sara era estasiata e, per quanto non sembrasse interessata ad altro che a rincorrersi con gli altri, non le sfuggiva nulla di quelle meraviglie che la circondavano.
Quella natura così stupenda, sebbene le avesse riempito il cuore di gioia e stupore, l'aveva anche turbata, come se ci fosse qualcosa d'inafferrabile che le dava un senso di timore.
Era una sensazione strana, simile a quella che provava quando si perdeva nei suoi pensieri, indefinibile, inquietante e inafferrabile e per questo, forse, ancora più terribile.
Non era quello il momento di lasciarsi risucchiare da quelle incomprensibili emozioni, i suoi amici la reclamavano e lei di certo non si sarebbe fatta pregare.
STAI LEGGENDO
Distopic dreams
HorrorL'incubo di una bambina che crescendo scoprirà non essere tale.