Con il cuore in total black.

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- Voglio mascherarmi da Joker. -

- Dai, perché devi essere così scontata? Sai quanti Joker ci saranno stasera? Sii più originale. - le risposi distrattamente, facendo zig zag fra i reparti del negozio.

Da giorni avevamo deciso di andare alla serata di Carnevale, adoravo le feste in maschera, ma rimandare è sempre stato il mio sport preferito, per questo ero lì, ad un paio d'ore dall'inizio in cerca di qualcosa da mettere. "Non troverò mai nulla", lo ripetevo di continuo mentre le dita sfioravano una gonna nera ricoperta da paillettes dorate. "Oscena. Non fa per me."

- Ho anche la bomboletta per colorare i capelli, non rompere i coglioni.
Tu invece puoi fare Marilyn Monroe, adesso che sei bionda! - inevitabilmente scoppiai a ridere, attirando l'attenzione della commessa che finse di sistemare nel tentativo di nascondere il suo vero intento: osservare ogni mio movimento.
L'immagine di me versione Marilyn era davvero imbarazzante, non avevo il fisico né il portamento. Sarei stata più adatta ad interpretare la caricatura della giovane diva.
Riagganciai dopo un affettuoso "idiota".

Cris era una di quelle persone all'apparenza poco raccomandabili, la classica ragazza che tua madre dice di non frequentare. Eppure, varcata la soglia dell'apparenza, ci si ritrovava davanti ad una persona di cuore, sempre disponibile e con la quale non ci si annoiava mai.
Le cose non andavano bene con Paolo, la situazione stava sfuggendo di mano ad entrambi ed io mi sentivo sempre meno libera, l'aria stava per terminare all'interno di quella scatola fatta di gelosia e morbosità, non avrei retto un mese di più. Cristina, nonostante fosse la sua migliore amica, non perdeva tempo per farmi felice, regalarmi quell'attimo di gioia di cui avevo bisogno.

Gli occhi si posarono su un capo bianco, un vestito per essere precisi, dal corpetto stretto con scollo a cuore, e la gonna morbida, con almeno tre strati di tulle sotto a darle forma. Un angolo della bocca si sollevò in totale autonomia. "Stai a vedere che forse forse la faccio la Monroe dei poveri. Versione duemiladiciassette". Spostai lo sguardo in direzione della commessa che, nel frattempo, si era avvicinata notevolmente, forse insospettita dal mio interesse per l'abito. Avrei voluto dirle che a rubare non ero proprio capace, che una volta a sette anni nascosi nella tasca una penna colorata, ma che il giorno dopo tornai in negozio per riporla al suo posto, tanto grande fu il senso di colpa.

- Scusi, potrei provarlo? - così, e con un sorriso di circostanza, annullai definitivamente la distanza con la mia stalker che assunse l'aria della commessa modello, mi mostrò la dentatura perfetta, e annuì, già pronta a tirar fuori il vestito, come se io non ne fossi capace. Mi accompagnò fino ai camerini, e attese pazientemente che mi cambiassi oltre la tendina, per poi darmi il suo consenso, dirmi quanto bene mi stesse il bianco. "Cosa non si fa per vendere", mi specchiai in ogni posizione possibile.
Davanti a me, riflessa allo specchio, una diciassettenne triste, dagli occhi stanchi, i capelli corti e tinti di un biondo che non le apparteneva.
Una ragazza vestita di bianco, con il cuore in total black. Ironico.
Mi spogliai e lasciai l'indumento tra le mani della donna e, totalmente indifferente ai suoi tentativi di vendermi merce a tutti i costi, uscì dal negozio.
Inviai immediatamente una nota vocale a Cristina: "Sto tornando a casa, non ho comprato un cazzo. Sicuramente verrò in jeans e maglietta, molto meglio che vedere Joker in compagnia di Marilyn."

Era una splendida giornata e c'era il sole, lo ricordo bene, un sole timido, i cui raggi mi carezzavano il viso e lo scaldavano. Sembrava quasi primavera, e per godermi quel lieve tepore sulla pelle decisi di avviarmi a piedi verso casa. La strada era sempre la stessa, la ripercorrevo mentalmente ogni volta, sia andata che ritorno. Avrei presto raggiunto la rotonda peggiore di tutta la città - chiunque ne uscisse vivo poteva essere paragonato ad un reduce di guerra - e una volta superata mi sarei ritrovata a pochi metri dalla mia scuola. Avrei continuato per la via delle agenzie funebri, superato il barbiere di Paolo, e sarei andata avanti per tutto il cimitero. Quella lì era forse la strada più affollata della zona durante tutta la mattina. Vi erano i fiorai, naturalmente, e tra questi il padre di una mia vecchia compagna delle medie. Perdersi fra i petali dei girasoli, il bianco delle margherite, il profumo delle rose, e la bellezza delle orchidee era per me la cosa più vicina al paradiso.
Quel che vi era dopo, invece, poteva essere tranquillamente paragonato agli inferi. Un mercatino dell'usato abusivo lungo tutto il marciapiedi, gestito da persone confusionarie, volgari, o semplicemente da poveri disgraziati in cerca di qualche soldo. Generalmente evitavo quel tratto, ma mi era capitato di ritrovarmici in mezzo qualche volta, per ammirare libri segnati dal tempo, bambole di porcellana in abiti d'epoca, e per sentir quell'odore di vecchio, misto a solitudine e morte. Una volta ebbi come l'impressione che un giocattolo mal ridotto stesse piangendo, incapace di accettare l'abbandono. Ma sono sempre stata un po' drammatica io, con una grande immaginazione, e forse esageratamente emotiva.
Il punto è che non raggiunsi la rotonda, non passai davanti la mia scuola e non superai la strada del cimitero. Arrivai appena un isolato più avanti quando mi resi conto di aver lasciato i miei pensieri all'interno del negozio, appesi lì, insieme al vestito bianco.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 11, 2019 ⏰

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