[Fingi che abbia trovato il coraggio di scriverci il tuo nome]

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"Stay – a loneliness story"

Eravamo due persone speciali, di quelle che nessuno vede e all'apparenza appaiono banali come miliardi e miliardi di altre. Ma noi eravamo, e questo non tutti l'hanno capito.
Mentre cammino, mentre piove sulla mia schiena, sento ancora la tua mano sulla spalla. Temo di girarmi, temo di voltarmi e, al posto del tuo viso, scorgere l'assenza che in tutti questi anni mi ha dato compagnia.
Eppure, adesso, mi sembra incredibile vederlo lì: quello stesso sorriso che non vedevo da secoli, quella testa così simile alla tua, chinata verso il basso, gli occhi grandi e lucidi che fissano dei bambini correre lontani in un vuoto che nessuno potrà mai riempire.
Te lo confesso, perché adesso so che posso confessartelo: mi inquieta, rivedere quel sorriso mi inquieta. Ha un viso dolce, tuo figlio, un viso identico al tuo. Ha un viso costellato da lentiggini che son tutte del papà ma gli stanno bene come se fossero sempre state tue.
Sta guardando lontano -tu non puoi vederlo, così te lo descrivo io-, guarda verso alcuni bambini che giocano in un parco, ma non credo li veda. Ha quella strana essenza, un po' come l'avevi tu, di far sembrare agli altri che sta osservando qualcosa all'esterno quando, forse, in realtà, è solo dentro che si sta scrutando. Chissà cosa sta trovando, chissà cosa sta cercando.

E tu? Cos'hai trovato in tutti questi anni? Esisteva ciò che cercavi?

Tuo figlio sorride all'aria, uno di quei sorrisi tristi e fuori luogo, uno di quei sorrisi che non sono "adatti" a un giorno del genere in cui tutti camminiamo e lui, tenendo la mano al vuoto, cammina insieme a noi ma guarda sempre altrove. Un po' come facevi tu, in marcia col mondo, col normale progredire delle cose, i piedi su tracciati già segnati da qualcun altro che solo per poco hai provato a sostituire con una nuova via tutta tua, la stessa che hai spazzato via.

E adesso, adesso potrai dirmi se n'è valsa la pena?

Tuo figlio cammina. Non credo senta il mio sguardo posarglisi addosso.
Anch'io, dal mio canto, cerco di non osservarlo troppo. Ti confesso anche questo: mi fa male guardarlo, ma ho paura che, anche con lui, questa sia l'ultima volta in cui i miei occhi possano permettersi di collezionare piccoli dettagli rubati fra le gocce di pioggia che si poggiano su giacche e capelli, sugli ombrelli neri, sulle orme dei passi lenti che ci lasciamo alle spalle mentre, tutti insieme, come una cosa sola, camminiamo.

Non siamo nemmeno tanti.
Te l'aspettavi un numero così esiguo di passeggeri su un treno invisibile?

Eravamo così speciali da non riuscire a reggerlo.

Tu, sopratutto, lo eri.

Lo eri per me, almeno.

Lo sei sempre stato.

Vorrei dirlo a tuo figlio, vorrei dirgli quanto bene mi hai saputo dare, quanto me ne hai saputo togliere (no, forse questo no), ma temo, anche adesso, pure ora che non potresti fermarmi, di farti un torto troppo grande per reggerlo, più grande di quello che tu hai fatto a me quando hai deciso di andartene.

Gli direi che la sua "mamma", una "mamma" come tante, aveva qualcosa in più da dire al mondo, e che ha preferito portarselo lì, ficcarselo in petto, lasciarlo scorrere fra queste strade grigie, davanti a pochi passi incerti che seguono una macchina che, a me, sembra vuota.

Sarà che non riesco a crederci.

Sarà che mi sono abituat* tanto alla tua assenza da non aver sentito nemmeno il momento in cui te ne sei andato sul serio.

Pensavo sarebbe esistito; un attimo, fatale, una pugnalata allo stomaco, improvvisa, in qualsiasi parte del mondo, una fitta dolorosa che mi squarciasse l'anima e mi facesse capire che non ci sarebbe più stato il modo di rivederti sorridere ancora una volta, quell'ultima volta che ho atteso per secoli ma che, forse troppo presto, ho smesso di cercare.

STAY - a loneliness story {LGBT+ 🌈} [OneShot]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora