Il primo adolescente aveva diciassette anni, ma aveva già assorbito frustrazioni e dolore abbastanza per una vita intera. Nascondeva tutto dietro a dei vestiti neri e tatuaggi aggressivi, portava i capelli lunghi ed era pieno di piercing. Aveva, però, gli occhietti umidi di un passerotto spaurito, caduto fuori dal nido.
Il secondo adolescente era più pericoloso. Aveva già sofferto, ma non così tanto, posizione che lo aveva incattivito ma gli aveva lasciato addosso quel tanto di autostima da cui il primo adolescente si sentiva irrimediabilmente trascinato. Il primo adolescente cercava di tenergli testa ostentando un esagerato cinismo, ma il secondo adolescente lo smontava con la sua ironia, portandolo sempre sulla sua strada.
«Sto per iniziare a suonare in una band» annunciò il primo adolescente. Suonava la chitarra. A casa si esercitava almeno due ore al giorno con la sua Fender.
«Perché?» chiese il secondo adolescente.
«La musica svuota» rispose il primo.
«Anche la mano destra» disse il secondo.
Scoppiarono a ridere.
«Seriamente, proviamo per la prima volta questa sera» disse il primo adolescente.
Non credo, pensò il secondo. Per questa sera avevo altri progetti in mente, per te.
«Mi piacerebbe venire ad ascoltarti» disse il secondo.
«Perché no?» rispose candidamente il primo «è una bella idea. Suoniamo roba punk, ma non pesante, tipo Blink182 e cose del genere.»
«Ah» commentò asciutto il secondo adolescente «che ne dici se mangiamo prima qualcosa insieme?»
«Volentieri» rispose il primo.
«Forse, ci raggiunge una persona» aggiunse il secondo, come se fosse un dettaglio privo di importanza.
«Ok» disse il primo.
Si alzarono e uscirono dal locale. Il barista li ringraziò per la consumazione e augurò loro una buona giornata, ma nessuno dei due rispose. Salirono sulla macchina del secondo adolescente (d'ora in avanti: Secondo), una Golf tirata a lucido, che per pagarne le rate suo padre si stava spaccando la schiena a furia di straordinari. Per alcune famiglie, funzionava così: l'apparenza, innanzitutto, a qualsiasi costo, anche della propria felicità. Il primo adolescente (d'ora in avanti: Primo) si allungò sul sedile del passeggero, stiracchiandosi comodamente e respirando il profumo di imbottitura nuova dell'interno dell'abitacolo. Secondo mise in moto e la Golf partì baldanzosa e caparbia, decisa a non deludere le aspettative che il suo pilota nutriva nel suo carattere. Divorarono Viale Forlanini e si fermarono in una piazzola appena dopo l'uscita della tangenziale. Secondo accostò e aprì la portiera del sedile posteriore. Un adulto si accomodò nell'auto. Aveva uno strano aspetto. Era magro, con il volto scavato e la barba sfatta. Le labbra gli si piegavano continuamente in una specie di ghigno soffocato, che non si capiva se fosse di interiore sofferenza o di disprezzo verso il mondo intero. Tuttavia, indossava dei un completo elegante e impeccabilmente stirato, senza neppure una piega. Il suo vestito stava certamente meglio di lui, e creava un curioso contrasto con la trasandatezza del viso del suo indossatore. A Primo fece quasi l'impressione di un cadavere che qualcuno avesse voluto avvolgere in un sudario elegantissimo, in modo da onorarlo degnamente un'ultima volta prima della sepoltura.
«Viene a mangiare con noi?» chiese Primo a Secondo.
«In un certo senso» sussurrò lo sconosciuto. Parlava con una voce bassissima, pareva quasi un sibilo di serpente.
«Mi piacerebbe mangiare al Mc Donald» propose Primo.
Secondo sorrise. Il suo amico era davvero un ingenuo.
L'adulto scosse la testa: «Oggi vi inviterò a mangiare nel mio castello.»
Secondo mise in moto, e la Golf si lanciò in tangenziale sgommando. L'auto corse fino all'autostrada e prese la direzione per Bologna, senza che nessuno dicesse più nulla.
«Tornerò in tempo per le prove?» chiese preoccupato Primo.
«Dove stiamo andando è molto meglio» rispose l'adulto.
«Davvero?» chiese Primo. Nella sua inesperienza, era affascinato dai modi misteriosi di quello sconosciuto. Sembrava così carismatico. Inoltre, la Golf del suo amico era uno schianto. Si sentiva così fico. Forse, avevano ragione loro. Non aveva bisogno di quella band di ragazzini sfigati. Tra l'altro, lui suonava molto meglio di ognuno degli altri membri. Forse, sarebbe stato uno spreco, per il suo talento.
«Dove stiamo andando?» chiese Primo, con la voce carica di entusiasmo.
Sei proprio stupido, pensò Secondo, ma continuò a guidare senza dire nulla.
«Stiamo andando a visitare il mio regno» disse l'adulto «adesso vi porto a fare un giro sul castello errante.»
Primo gli rivolse un'occhiata interrogativa, al che l'adulto tirò fuori un fazzoletto dalla tasca. Lo aprì, rivelando delle pastiglie grandi quanto una moneta, dello stesso colore delle pastiglie che sua madre utilizzava quando faceva il carico sulla lavastoviglie.
«Prendete e mangiatene tutti» disse l'adulto.
Secondo allungò la mano, afferrò una pastiglia e la ingoiò. L'adulto fece altrettanto.
Primo rimase a guardarli, senza sapere che cosa fare. Fuori dal finestrino, la strada scorreva veloce.
Il castello errante.
Primo afferrò una pastiglia la ingoiò.
STAI LEGGENDO
Il castello errante
Short Story[ONESHOT] Può un'amicizia sbagliata portarti così lontano dai tuoi sogni da farti perdere la possibilità di realizzarli? Entra nel castello errante, ma attento a non perderti per sempre.