XVI. LONTANI

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Such a beautiful view

XVI. LONTANI.



È il tramonto. Minho giace supino sul suo letto, ha un braccio piegato sotto la testa, l'altro, sul petto, tiene in una presa molle il libro su cui ha studiato tutto il pomeriggio. La faccia è reclinata verso la finestra, si gode il torpore che quel sole tiepido ha da offrirgli. Gli batte dritto contro uno zigomo, anzi su tutta la guancia destra. Un po' scotta ma tutto sommato è una sensazione piacevole, il calore è filtrato dalle tende e non arriva a bruciarlo seriamente. E poi lo sente, ed è quello che conta. Dopo l'altra sera dubitava seriamente di riuscire a sentire ancora qualcosa di vagamente bello, una qualunque sensazione piacevole.
Ora è sereno, o magari è solo calma apparente frutto del suo non fare nulla per giorni, vivere come uno zombie. Quasi si addormenta.
Sì, vorrebbe tanto dormire, immergersi completamente in quell'oro tenue che colora di lampi il nero celato dietro alle sue palpebre chiuse, e non pensare più a niente. Quello è un giorno difficile da superare, uno di quelli che vorresti non arrivasse mai e allo stesso tempo che arrivasse subito e passasse anche, in fretta, per non pensarci più. Per non sentire il magone allo stomaco. Per non odiarsi troppo se per sbaglio pensa a lui. E quel giorno sbaglia in continuazione.
Non esce di casa da quattro giorni...o cinque. Nel frattempo ha mangiato un sacco di cibi precotti, ramen istantanei e simili. Si è riempito la pancia con patatine, Poky di ogni gusto, bibite gassate e tutte le schifezze del caso. È riuscito a collezionare anche una bella dose di vittorie a Pes sfidando i suoi amici di università online che non sentiva da tempo.
Forse ora ha la nausea, ma solo forse.
Però è anche soddisfatto, in parte e soltanto perché è cocciuto. È così che aveva intenzione di passare la sua estate oramai finita, così l'aveva pensata. Tra studio, abbuffate di cibo spazzatura e tanta Play 4.
Prima che lui gliela stravolgesse del tutto, certo.
Prima che lui entrasse a far parte prepotentemente del suo mondo.
Niente feste e, soprattutto, niente Lee Taemin.
Ma chi è Lee Taemin?
Non lo sa più nemmeno lui. Anzi, a dire il vero non l'ha mai saputo.
È solo il nome di una persona che non esiste più adesso.
Dalle labbra gli sfugge un sospiro morbido che assomiglia tanto ad un lamento, frustrato, infastidito da se stesso, mentre si gira su un fianco rivolgendosi completamente verso la finestra. Nello spostarsi il libro scivola dalla sua pancia e cade a terra, non se ne cura, decide che può benissimo restarsene spalancato sul pavimento per un po', a piegarsi nelle forme che vuole.
Che si accartocciasse un po' anche lui...!
Guarda con occhi socchiusi il cielo infuocato di rosa e arancione abbellito da enormi nuvole leggere e multiformi, e non può fare a meno d'immaginarsi la figura esile di Taemin in piedi di fronte a quei cancelli neri e altissimi che non riesce a togliersi dalla testa. Nella sua mente rivede l'ombra di spalle che ha visto la notte del falò, ma questa volta non balla, non si muove affatto. È immobile con le spalle curve e un'aura di fragilità la circonda, eppure resta sempre bellissima. Una calamita capace di attirare ogni singola molecola del suo corpo.
Se non si è fatto male i conti deve essere in procinto di partire da un momento all'altro. Hanno scelto di viaggiare con il fresco, così gli ha detto Jinki l'ultima volta che l'ha visto, quindi hanno optato per il tramonto come momento propizio. Ma in fin dei conti non gli importa un accidenti. Che se ne andasse via pure, che restasse per sempre chiuso dietro alle sbarre di quella prigione solo come un cane, è il posto che si merita. Perlomeno lì, eviterà di ingannare le persone.
Intanto il cielo schiarisce a vista d'occhio, una tinta bluastra che inizia ad orizzonte avanza affamata ingoiando tutte le tracce di quel rosa tenue che sembra essere colato via dal sole. Portando oscurità, togliendo luce.
Le giornate si sono accorciate parecchio, prende nota una parte del suo cervello. L'altra continua ad essere impegnata.
Oppure per quel che ne sa, può essere già partito da un pezzo. Ma ancora una volta, non gli importa.
Perché allora continua a pensarci?
Non deve importargli.
Chiude gli occhi, la bellezza di quel tramonto agli sgoccioli lo ha stancato. Quei giochi di luce bellissimi portano alla memoria cose che vuole soltanto dimenticare, archiviare in un posto oscuro dove poterle rinchiudere per sempre senza correre il rischio che se ne scappino via a briglie scolte.
Quindi si mette a pensare ai suoi progressi, a quello che ha combinato da quando il tempo non fa più parte del suo piccolo microcosmo. In pratica, niente.
Dopo l'ultima notte al pub si è estraniato dal mondo, non ha più sentito né visto Jonghyun e tutti gli altri. Ha lasciato il cellulare abbandonato sulla scrivania per giorni senza preoccuparsi minimamente di metterlo in carica, si sarà spento ormai da chissà quanto. Poco importa.
Meglio il silenzio, meglio quella routine solitaria, e monotona, e noiosa al
- alla vita -
caos che scaturiscono gli amici.
Si è imposto la solitudine come cura al suo dolore, e per ora l'ozio sembra funzionare. Lo stare solo senza nessuno che gli ricordi tutto quello che è successo è la soluzione migliore, la via più rapida per riuscire a guarire e ritornare lentamente ad essere quello di un tempo.
I giorni si ripetono tutti uguali, almeno questo sembra essere tornato a posto, abituarsi di nuovo a quella che è sempre stata la sua vita non deve essere poi così difficile, tre mesi non possono cancellare improvvisamente ventidue anni di vecchie abitudini.
Il prossimo step, il più difficile, è lasciare andare definitivamente -la parola che più lo spaventa- le cose che se ne vanno, con naturalezza senza sentire troppo il distacco, senza il bisogno di impegnare la giornata in mille modi per evitare che il pensiero finisca inevitabilmente . È l'unico modo per restare in piedi e godere di quello che ha vissuto senza provare a rinnegare tutto, in primis se stesso o quello che era divenuto di lui. Le lacrime si asciugano, la ferita si rimargina anche quando ci sembra che la vita sia tutto un separarsi, un approssimarsi ad essere soli. Bisogna restare in piedi e continuare a guardare avanti.
Certi amori vanno lasciati andare e basta. Va accettato il fatto che siano finiti, e non ci sia più rimedio e che, alle volte, le cose non vadano semplicemente in pezzi, ma si polverizzano riducendosi in milioni di minuscoli granelli, impossibili da rimettere insieme.
Non ha importanza quanto si soffra all'inizio, prima o poi passa tutto, di quel dolore rimarrà solo un ricordo effimero. E in effetti, quello che lo preoccupa è un'altra cosa.
Il vero problema è quello che resterà dell'amore.

Such a beautiful view [2Min ita]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora