XVII. LUCI

153 0 0
                                    

Such a beautiful view 

XVII. LUCI.



Dicembre. Inverno.


Fa la strada con le mani strette in due pugni infilate nelle tasche del suo lungo cappotto marrone. L'espressione corrucciata, le mascelle strette nella smorfia di chi patisce il freddo.
Il suo respiro si condensa diventando visibile nell'aria gelida di un giorno qualsiasi dei primi di dicembre, piccole nuvolette biancastre che escono più o meno regolarmente dalle sue labbra screpolate dissolvendosi nel giro di pochi istanti.
Aria calda contro aria fredda.
Nuvola bianca che si disperde in un mondo bianco.
Ha smesso di nevicare giusto alle prime luci dell'alba, durante la notte è venuta giù una bella nevicata abbondante durata poche ore, di quelle che lasciano manti di neve su strade ed edifici spruzzando di bianco anche alberi e cespugli.
La neve che si è depositata crea uno strato alto pochi centimetri quindi la circolazione non è impossibile, anche se bisogna stare attenti a non scivolare sopra alle strade già ripulite e cosparse di sale ma ghiacciate, ricoperte dalla lastra cristallina del ghiaccio.
Chissà perché ha deciso di farsi la strada a piedi con quel cazzo di freddo, si chiede. Forse per svuotarsi la testa, per lasciare che tutti i pensieri e i timori si congelino per bene. E per muoversi, come fa sempre quando l'agitazione ha il sopravvento.
La storia è sempre la stessa e si ripete.
Ogni volta che riceve una chiamata da Kibum con il fine di organizzare una rimpatriata non sa mai cosa aspettarsi. Chi aspettarsi.
I suoi sensi scattano inevitabilmente sull'attenti, diventa sospettoso, irrequieto. Non crede davvero che i suoi amici possano fargliela tanto sporca ma...non si sa mai, nella vita.
Il fatto è che la situazione è un po' difficile. Quella è anche la città di Taemin, il posto in cui ora vive stabilmente, e quelli che sta per incontrare sono anche i suoi amici. Il pericolo di incontrarlo è sempre in agguato e lui, con Taemin, non ci vuole avere niente a che fare. Nonostante la sua vita sia andata avanti e i pensieri che lo riguardano siano andati via, via a diminuire fino a sparire completamente, come quando si ritorna da un viaggio lasciandosi alle spalle un posto che si è amato particolarmente -ci si riempie gli occhi con quella vista bellissima per l'ultima volta, si monta in macchina, si mette in moto e si parte. Si guarda nello specchietto retrovisore finché in lontananza si scorge ancora qualcosa di minuscolo. Ma poi inevitabilmente sparisce completamente alla vista e conta solo quello che si ha davanti agli occhi-, nonostante la figura di Taemin, per lui, si sia ridotta al non essere altro che un brandello della sua estate passata, ha sempre il terrore di ritrovarselo davanti agli occhi e non sapere come comportarsi. Non sapere che reazione aspettarsi da se stesso.
Freddezza, amicizia, non sa cosa offrirgli. Di rancore non ce n'è, ormai è acqua passata che non macina più, spera semplicemente che quel giorno non arrivi mai. Le cose gli vanno bene così come sono ora, non che ci pensi spesso, a come va la sua vita, ma per ora gli sembra che fili benone. Che non lo morda. Non vuole scossoni che intacchino la sua quiete, ne salti nel vuoto finiti male, tutto qui. Crede sia un suo diritto.
Sta bene, ora.
Stringe i pugni foderati dai guanti nascosti nelle tasche del cappotto. Fa lo stesso con le mascelle.
Forse quella è una bugia, ma non gli importa. Gli basta anche solo credere di stare bene, è un'illusione buona.
Del sole quel giorno non c'è traccia, il mondo intorno a lui è una prefetta scala di grigio, fatta eccezione per le poche cose scampate dall'abbraccio sinuoso della neve, ed è proprio su quest'ultima che si concentrano i suoi occhi, i suoi pensieri. Sorride.
Non è mai stato amante del freddo, dell'inverno, ma della neve sì. Nella sua città cade di rado, ma quando inizia a fioccare, specie se succede durante il periodo Natalizio, ecco che subito ogni minimo dettaglio che lo circonda diventa magia.
Se è sempre di buon umore, in quel periodo, deve ringraziare quelle luci che gli piacciono tanto, attorcigliate ovunque, attorno ogni locale o bancarella, o albero. Non appena cala il buio prendono vita ad intermittenza e la magia s'intensifica. Peccato che ora è pieno giorno, e non può usufruire del loro incantesimo benefico. Gli sarebbero state utili.
Arriva davanti al famigliare vicolo stretto dopo un quarto d'ora di camminata, facendo una gran fatica a riemergere con i piedi fuori dallo spesso manto bianco che in quel tratto sembra essersi accumulato più in profondità risucchiandolo giù fino alle caviglie, e nota con piacere che qualcuno si è già dato da fare per ripulire la strada davanti a locale accatastando la neve lungo il marciapiedi, perciò la trova sgombra. Ne approfitta e raggiunge la porta facendo una corsetta per riscaldarsi.
Spinge in avanti una delle due enormi ante di legno ed il cigolio è assordante. Un suono così stridente e metallico che gli fa stringere i denti.
«Non la oliamo mai questa porta, mi raccomando. Scommetto che non c'è un briciolo di grasso in quei cardini.» Borbotta ripulendosi gli stivali dalla neve prima di entrare nel bar, sbattendoli per bene sull'asfalto pulito ma pregno d'umidità.
Cazzo, quel suono lo odia.
«Minho!»
Jonghyun è seduto su uno degli sgabelli di fronte al bancone imponente, si volta a guardarlo animato da sincera felicità. Con tutto il da fare degli ultimi tempi non vedeva il suo migliore amico da un pezzo. Gli è mancato sul serio. «Entra amico, non startene lì con quel freddo.» Con un braccio gli fa segno di farsi avanti. Indossa un maglione bianco tanto grande che gli copre le mani sporgendo oltre le dita, uno di quelli che sembrano avere la consistenza delle nuvole, e semplici blue jeans. I suoi capelli sono tornati ad essere più scuri rispetto ai tempi passati, un biondo caldo come quello di Minho.
Non è l'unico...sono tutti cambiati, in un modo o nell'altro. Dentro e fuori.
«Lascialo finire.» Interviene Kibum, che ha già ripulito il pavimento due volte in poche ore e l'idea di ritrovarsi altra neve sciolta, e umida sul parquet non lo entusiasma. Grazie a Dio Minho è sempre attento a queste cose, rispettoso verso chi lavora e si da da fare.
Anche lui ha cambiato look e colore di capelli, in realtà negli ultimi mesi ne ha cambiati un sacco passando dall'azzurrino al biondo platino, ma ora è stabile sul castano chiaro e sembra soddisfatto così. Per il momento. Perlomeno non ha più né treccine, né perline.
Anche Jinki, lì dietro al bancone, in piedi su un piccolo sgabelletto preso ad impilare le bottiglie sulle mensole più alte, mostra una nuca bruna, non c'è più traccia del pesca che ha fatto parte di lui per un anno e mezzo toccando tutte le sfumature del rosa mescolato all'arancio.
A guardarli così sembrerebbero quasi persone normali.
Quasi.
Minho prende posto vicino a Jonghyun, dopo aver scambiato con lui un lungo abbraccio fatto di pacche sulle spalle da veri uomini e battute comprensibili solo a loro due, lasciandosi il cappotto addosso. È congelato, non prende nemmeno in considerazione l'idea di separarsene, nonostante il locale sia riscaldato bene, decisamente più caldo e accogliente del mondo fuori, i brividi lo percorrono ancora in una sequenza senza fine.
Si guarda attorno con circospezione, a destra e a sinistra, non lasciandosi sfuggire gli angoli più bui. Poi fissa la porta di servizio che è chiusa, e non riesce a capire se dentro la luce è spenta o se magari c'è qualcuno. Magari c'è Taemin.
Lo fa sempre, tutte le sante volte che si trova in quel campo neutrale, altrimenti non riesce a stare tranquillo. Non si fida di natura, e quella situazione lo rende paranoico.
Il problema non è nemmeno Taemin di per sé, il problema è lui che non è preparato. Le improvvisate lo innervosiscono, e il nervoso non gli permette di essere se stesso e di affrontare le situazioni come dovrebbe.
Nel frattempo toglie i guanti, sfregando le mani una contro l'altra per farle tornare ad una temperatura umana. Per sfogare il suo nervosismo senza dare troppo nell'occhio.
«Non c'è.»
Gli sibila Jonghyun quasi contro al collo, facendosi avanti per aggiustargli il colletto del cappotto che, come al solito, porta tirato su da vero sex symbol anni '50. «Come tutte le altre volte. Sei un caso di diffidenza patologica tu.»
Minho annuisce, passandosi la lingua sulle labbra. La saliva brucia un po' sopra al piccolo taglietto che ha proprio all'angolo del carnoso labbro inferiore colpa della sua tendenza a mordersi le pellicine dovute alle labbra secche, condizione che con il freddo peggiora.
Solo allora la sua postura acquista un tono rilassato, le sue spalle si afflosciano verso il basso come se fossero state slegate dal filo invisibile a cui erano appese. Jonghyun ha ragione: è patologico.
«Hai le guance rossissime», gli dice Kibum con un mezzo sorriso, sprofondando il suo dito indice proprio nella sua guancia destra, quella più a portata di mano. Lo prende in giro affibbiandogli il nomignolo della renna di Babbo Natale e si diverte come un matto nel vedere la reazione che provoca. È poggiato con i gomiti sul bancone, ma dall'altro lato, quello dove passa quasi tutta la vita. Il suo abbigliamento quel giorno è insolitamente casual, ed il bancone non è mai stato più disordinato, pieno di mappe e foglietti scarabocchiati con indirizzi e numeri telefonici, sparpagliati un po' ovunque. «Ti do qualcosa da bere, che ne dici del whisky? Mh?»
«Fai sul serio? Alle nove del mattino?» Strabuzza gli occhi, arricciando in fuori le labbra.
«Così ti scaldi un po'.»
«Un giro per tutti», Jinki scende dallo sgabello con una bottiglia trasparente contenente liquido color ambra e un'etichetta enorme sul davanti. Il suo sorriso è raggiante come al solito e dedica a Minho un occhiolino come saluto. Prosegue con una battuta che provoca lo scoppio di risa da parte di tutti: «Saranno pure le nove del mattino, ma il termometro è fisso a meno tre.»
«Dammene un sorso, ma mettilo nei bicchieri da shot, lascia stare gli old fashioned. Lo sapete che quella roba mi manda in tilt.» Si lascia convincere Minho.
«Tanto non hai lezioni oggi, no?»
«Non voglio ubriacarmi di primo mattino...» Quel pensiero è assurdo, invece di toglierglieli, i brividi, aumentano.
Kibum ride, intanto recupera quattro bicchierini dalla credenza mettendoli in fila sul bancone. Li riempie in un colpo solo tracciando con il whisky, che finisce per traboccare fuori, una linea continua come fanno solitamente i barman usando la vodka. È euforico, in vena di acrobazie.
«Et-voilà!» dice soddisfatto prendendo un bicchierino e sollevandolo a mezz'aria. Nell'altra mano tiene la bottiglia di whisky, la volta per leggere l'etichetta. «Grado alcolico quarantasei percento, alla faccia di questo freddo del cazzo!»
Gli altri lo imitano, facendo scontrare il loro bicchieri uno contro l'altro. Mandano giù tutto d'un fiato da veri maschi, lasciandosi travolgere da quel calore che sembra dipanarsi al loro interno mandandogli a fuoco la gola, incendiandogli lo stomaco. Si lasciano investire impotenti dal brivido caldo che li scuote, sconnettendoli dal mondo per un secondo.
«Questa sì che è roba buona!» Esclama Jinki stringendo gli occhi.
«Una bomba.»
Minho sente la testa girargli, e spera di non aver fatto una cazzata. Però riesce a trovare il coraggio di togliersi il cappotto ed è già qualcosa.
Whisky; uno, freddo; zero.
«Ehi, non l'avrai mica presa dallo scaffale in alto vero?» Domanda Kibum sbattendo la lingua contro il palato più volte per sentire appieno il sapore e l'aroma di quel whisky particolarmente intenso. Sul viso una smorfia di concentrazione si alterna ad una più corrucciata, dubbiosa. Quel posto è riservato ai liquori pregiati e non ha certo tutti quei soldi da sprecare lui.
«Cavoli Kibum, sì, mi sa che abbiamo aperto uno di quelli buoni...»
Jinki ride tranquillo in quel suo modo irresistibile cercando di tenerselo buono, di addolcire quel suo sguardo già pieno di minacce pronte per lui. Gli occhi spariscono dal suo viso, la bocca si spalanca. Una mano vola dietro la nuca a giocare con i capelli.
«Sei matto? Lo sai quanto cazzo mi costano quelle bottiglie?»
Gli occhi del barista invece si spalancano, alza la voce ma solo di mezzo tono. È troppo di buon umore per arrabbiarsi sul serio. Riprende la bottiglia e, con rammarico, perché quella roba è così buona che ora ha davvero voglia di finirla, la affida nelle mani di Jinki con cautela, dandogli una leggera spinta dietro alla schiena. «Forza chiudila bene e va' a rimetterla a posto. Subito. Va a finire che ci rimetto sempre con te.»
Il più grande esegue, ancora tutto sghignazzante. Quel bicchiere deve aver fatto un effetto immediato proprio a tutti.
«Per chi mi hai preso?» Gli dice, fingendosi offeso. «Per il tuo tuttofare? Guarda che io sono un meccanico!»
Minho li guarda a turno lasciandosi sfuggire un suono a metà tra una risata e un sospiro incredulo. Tiene il suo bicchierino con i polpastrelli ed esamina l'esigua gocciolina color ambra rimasta sul fondo spostarsi ad ogni suo movimento del polso.
«Allora, c'è un motivo per questa rimpatriata?» Domanda, girandosi leggermente da sinistra verso destra sullo sgabello e poi ancora, nel senso inverso. «Se c'è, spero sia qualcosa di valido perché, cazzo, Kibum, mi hai svegliato all'alba!»
Kibum incrocia le braccia e sghignazza soddisfatto. Lui ci si alza sempre all'alba, non è una grande cosa.
«Volevamo vederti. Siamo nel periodo di vacanza, è da un po' che non si sta tutti insieme. Forse anche da troppo.»
«Già.» Risponde sentendosi investire da un'onda fatta di tristezza, che prima d'infrangersi sulla riva dei sensi di colpa accumula una bella dose di nostalgia.
Gli mancano i vecchi tempi, inutile negarlo. Gli manca la leggerezza e la pienezza di quei giorni quando si stava tutti insieme con la spensieratezza nella testa e l'allegria nella pancia a fare le ore piccole in spiaggia per vedere l'alba. A bere birra e fumare sigarette di tutte le marche nella piazza davanti l'officina durante i pomeriggi più caldi. A ridere a crepapelle alle battute più stupide, sdraiati sugli scogli dopo un tuffo in piena notte. E tutte le altre stronzate che hanno condiviso come se fossero dei ragazzini ribelli.
All'epoca non c'era bisogno di organizzare i loro incontri come fanno ora. Non c'era da programmare un bel niente.
Era tutto spontaneo, leggero e bellissimo.
C'era solo da vivere fino all'ultimo secondo della giornata, e da amare.
La stretta allo stomaco che avverte è inevitabile, vorrebbe attribuirla all'alcol ma mentire a se stessi in certi casi non ha proprio senso. Non pensa quasi mai al passato, e se per caso gli capita ecco che una piccola punta di dolore torna a fargli puntualmente visita. Uno spillo sottile ma che penetra a fondo.
Si sente un codardo, un amico terribile. Accantonare gli amici per una paura personale fa di lui un'egoista. Ma è proprio questo che fa la paura; allontana.
Da quando Taemin è tornato per restare le cose si sono fatte più complicate, non poteva essere altrimenti. Vedersi tutti insieme è impossibile finché lui non cambierà idea, e forse quel giorno è giusto dietro l'angolo, ma ancora non è arrivato il momento. Quello che lo sorprende di più, che lo fa riflettere, che lo spinge a tenersi distante è il fatto di non averlo mai incontrato dentro i confini di quella loro città così piccola, nemmeno per sbaglio, nemmeno una volta. Non ha mai incrociato il suo sguardo da lontano attraversando la strada, o guardando tra gli scaffali di un supermercato qualsiasi. L'ha preso come un segno. Non è ancora tempo. Non è ancora pronto.
Nel frattempo, proprio quando i suoi pensieri prendono quella piega mistica fatta di coincidenze, e destino e fortuna, ma principalmente di assurdità, il telefono di Jinki squilla, diffondendo nell'ambiente una di quelle buffe canzoni popolari del loro paese. Tutti attaccano a cantare contemporaneamente, sguaiatamente, Minho e Jonghyun si afferrano per le spalle iniziando ad oscillare sugli sgabelli e poi scoppiano a ridere. Jinki però è ancora arrampicato sullo sgabello intento a rimettere a posto la bottiglia, ci sta mettendo più del previsto a causa di un brutto ragno che ha trovato annidato sotto all'angolo della mensola, vuole provare a scacciarlo prima che capiti sotto agli occhi del barista e si scaturisca un putiferio. Canta con loro, ride allegro con loro, poi gli demanda il compito di rispondere al posto suo, o perlomeno chiede che qualcuno gli passi il telefono lassù.
Kibum sbuffa, rotea gli occhi verso l'alto come fa sempre quando è scocciato, ma non si tira indietro. È l'unico in piedi, il più vicino. Prende il telefono posato sul bancone accanto e accetta la chiamata senza nemmeno leggere il nome sul display, ancora completamente sconcertato di aver appena sprecato quattro bicchieri di quella roba pregiatissima, e combattuto perché ne vorrebbe "sprecare" ancora.
Mette il viva-voce e alza il braccio verso Jinki poggiandosi con il sedere contro la parete. Gli occhi attenti rivolti verso l'alto a monitorare i movimenti del più grande che non sono mai stati poi così abili e aggraziati.
«P..pronto?» Risponde incerto Jinki, mentre il ragnetto continua a sfuggirgli dietro la mensola e censura in un ringhio quella che sarebbe stata un'imprecazione.
«Hyung!»
La voce arrabbiata e giusto un filo assonnata che si diffonde gracchiante dalla minuscola cassa del telefono è quella di Taemin, rimane sospesa nel locale per un tempo indefinibile.
«Mi hai lasciato senza latte e uova!» Dice con rimprovero. «Mi dici ora come cazzo faccio a fare i miei pancakes?» Sottolinea miei, perché i suoi sono davvero speciali, diversi da tutti gli altri. Ovvero, la solita poltiglia molliccia al centro e bruciata lungo i bordi. In cucina non è migliorato di una virgola.
Minho resta immobile, lo sguardo fisso e d'un tratto vitreo verso il telefono, la schiena ritta e rigida di nuovo appesa ai fili invisibili. Sembra sotto il sortilegio di qualche stregone cattivo che gli impedisce di muovere qualsiasi muscolo, eccetto il cuore. L'incantesimo evidentemente non intacca anche gli organi, oppure sono affetti da una fattura diversa, anziché immobilizzarsi, impazziscono. E fanno male.
Quella voce non la sente da....troppo tempo. Semplicemente troppo tempo.
È impossibile definirlo, dargli una quantità, ha smesso di contare i giorni da più di un anno ormai.
Ma...
È così strano sentirla di nuovo, quella voce. È così strano che sia ancora in grado di procurargli sensazioni...così forti.
È probabilmente la prima vera, emozione che avverte da un pezzo di tempo.
Si sente scosso e frastornato, come se avesse mandato giù una razione doppia di quelle bombe al whisky.
Gradazione quarantasei percento, gli torna in mente.
Be' questa deve essere almeno intorno al novantanove percento o giù di lì. Perché le fiamme, ora, lo avvolgono completamente e i sensi rallentano come sotto l'intorpidimento spesso causato dall'alcol.
Ecco, forse è quello il segnale a cui pensava poco prima. Il tempismo non lo stupisce, con Taemin è sempre stata tutta una coincidenza.
Jonghyun lo guarda preoccupato, mostrandogli una smorfia a denti stetti. Tutto irrigidito anche lui, sono praticamente in simbiosi.
Minho scuote la testa, prova a strizzare l'occhio. No problem.
«Vado a fumare una sigaretta fuori.» Dice, incurante che il telefono sia in viva voce, e come lui ha sentito la voce di Taemin, molto probabilmente Taemin ha sentito la sua.
Si appoggia il cappotto sulle spalle scivolando fuori dalla porta con la sigaretta già praticamente accesa. Quello è uno dei vizi che proprio non è riuscito a scollarsi di dosso, insieme alla passione per il caffé e la sua nuova preferenza verso il tè alla pesca, anziché al limone.
Intanto Jinki è uscito vittorioso dallo scontro con il ragno ed ha rimesso i piedi al suolo. Afferra il telefono avvicinandoselo alle labbra.
«Taem, dai...il minimarket non è lontano. Vestiti e va' a prendere quello che ti serve. Con la nevicata di ieri non sono riuscito a fare la spesa.» Attende una risposta che non arriva e intanto si pulisce le mani sui pantaloni. Avverte solo il suo respiro provenire dall'altro capo del telefono. Il resto tace.
«Taem?» Lo chiama ancora.
L'unica risposta che arriva dopo è il tu-tu incessante della linea interrotta.
Sgrana gli occhi guardando il telefono.
«Mi ha attaccato?» Dice allibito, e un filo offeso. «Cosa ho detto di male?Ma che ragazzaccio...»
Kibum si accascia letteralmente sul bancone scosso da un eccesso di risa, lo sguardo perplesso di Jinki si sposta su di lui.
«Che cretino...!» raglia, riprendendo con quella sua risata estrema, assurda. «Deve aver sentito la voce di Minho ed è andato nel panico, te lo dico io.»
«Ma...»
«Non l'ha mai superata, se è con questo che volevi obiettare. Non gli crederai sul serio, quando lo dice...»
Apre la bocca per dire qualcosa ma alla fine ci ripensa, ha ragione. È Taemin che lo sa ingannare bene, anche se il sospetto ce l'ha sempre avuto. Vive con lui da più di sei mesi ormai e se ci pensa bene, nonostante le sue continue uscite notturne e il frequentarsi con gente nuova, non gli ha mai dato l'impressione di aver superato definitivamente la storia con Minho, ha sempre delle reazioni piuttosto evidenti quando esce fuori il suo nome. Goffe, buffe. Come qualcuno che vuole mascherare un punto debole a tutti i costi, finendo invece con il sottolinearlo, metterlo in evidenza.
Taemin è tornato dal collegio cambiato, cresciuto. A farlo maturare è stata probabilmente la rottura devastante, la prima della sua vita, di cui si è attribuito tutte le colpe e che ha dovuto affrontare da solo, una volta che quei cancelli tanto detestati si sono richiusi alle sue spalle, limitando i confini della sua preziosa libertà e tenendolo lontano dalle persone amate. Ma è tornato anche con una crepa spessa, invisibile agli occhi, che lo divide a metà dalla testa ai piedi, un alone di tristezza e fragilità lo circonda abbracciandolo come un'aura. La sua luce è diversa, più fievole.
«Richiamalo dai.» Gli consiglia Jonghyun intenerito, buttando di tanto in tanto un'occhiata verso la porta massiccia. È completamente d'accordo con Kibum. «Digli che lui è fuori a fumare, e senti come sta, più che altro. Deve essere stata una bella botta. E anche per Minho...»
Così fa. Ricompone il suo numero, gli dice subito come stanno le cose. Hanno fatto una sorta di rimpatriata mattutina durante quel lunedì, che è il giorno di chiusura del bar, per rivedere Minho, sentire come gli va la vita, e più che altro, organizzarsi per le feste di fine anno, vogliono parlargli di quel viaggio che progettano da un po' e che a lui avevano già accennato.
In tutto ciò evita saggiamente di usare di nuovo il viva voce, per cautela si mette in disparte poggiandosi con i gomiti sulla famosa mensola a muro dove una volta era posizionato il vecchio stereo.
«Porca puttana», dice Taemin con una mano sul petto. Le parole fluiscono via dalle sue labbra senza nessun controllo. «Mi è arrivato il cuore in gola, giuro che poi l'ho sentito scendere per la fottuta trachea e tornare al suo posto.»
«Ora non esagerare...»
«La sua cazzo di voce...» Sospira. Buttandosi sul letto a peso morto e passandosi una mano tra i cappelli, mentre con gli occhi fissa le crepe sul soffitto ma chissà cosa vedono davvero. Quanto è passato dall'ultima volta? «Dio mio...come fa una voce ad essere così profonda?»
«La vuoi smettere con questa linguaccia?»
«Che in altre parole sarebbe datti una controllata, ma come cazzo faccio a darmi una controllata adesso
«Esci fatti una camminata al freddo. Prendi gli ingredienti che ti mancano. Preparati la colazione. La quotidianità Taemin, quello che fai sempre.»
«'Faculo i pancakes, chi ce l'ha più l'appetito. Chi ce l'ha più uno stomaco...»
«Ed io che credevo l'avessi superata..
Segue un momento morto, di silenzio assoluto. Alla fine Kibum davvero non ha torto. Taemin ci ragiona sopra poi arriva ad una conclusione.
«Io...io l'ho fatto, ok? Sono solo un attimo...»
Innamorato, vorrebbe digli Jinki che non se la beve, terminare la frase al posto suo e in modo sicuramente più sincero. Opta per un altro aggettivo.
«Sconvolto?»
«Sì. Io non me l'aspettavo, ecco. È passato così tanto tempo dall'ultima volta. Mi ha preso in contro piede.»
«È normale. Ora però datti una calmata, e magia qualcosa.»
«Lo farò.» Dice Taemin. È di nuovo in piedi, riprende il suo andirivieni per tutta la sua piccola stanza. Da quando ha iniziato a vivere con Jinki si è impadronito della mansarda sopra l'officina, e disordinato com'è deve stare attento a non inciampare nelle cianfrusaglie che ha disseminato per tutto il pavimento.
Sa benissimo di aver detto una bugia, e la fitta che lo investe è bella forte; con le bugie ha davvero smesso. Tranne con quelle seriamente inevitabili. «Quindi oggi il bar è off-limits...»
«Ti ho lasciato un biglietto in cucina dove ti avvertivo. Per oggi sì.»
«Odio questa situazione.» Odia non poterlo vedere.
«La odiamo tutti.»
Alle sue spalle il cigolio dei cardini stride nel locale vuoto.
«Adesso ho davvero bisogno di un'altra di quelle bombe al whisky perché il mio naso, e pure il mio culo, se lo volete sapere, si sono congelati di nuovo. Io quest'inverno non lo supero.» Dice Minho rientrando in fretta dalla porta. La sua voce rimbomba in tutte le direzioni tra le assi di legno. «Ma davvero ci sono pazzi che amano l'inverno? Secondo me è mitologia.»
«Hyung lo sento.» Dice Taemin, in piedi in mezzo alla sua stanza con gli occhi spalancati su qualcosa che non vedono davvero. Si agita di nuovo.
«L'ho sentito.»
«Non so...» Kibum ci pensa un attimo. «Secondo me se te ne do' un altro parti per la luna. E poi quella bottiglia non si tocca più. Aumento i riscaldamenti, se vuoi e ti preparo un caffè bollente.»
«Sì forse è meglio.»
Minho annuisce, portandosi le mani a coppa contro la bocca soffiandoci sopra un po' del suo alito caldo per ridargli calore. Gli occhi guizzano su Jinki, ancora al telefono e in disparte, poi tornano sul barista. Ha accettato la sua proposta, anche se è sicuro che è l'alcol quello che gli serve in quel momento. Un bel viaggetto sulla luna non sarebbe male. Ha bisogno di mandare giù qualcosa che vada a snodargli le viscere.
Certo, di Taemin non gliene frega proprio più un cazzo. Ovvio. Questo non ha intenzione di rinnegarlo, o metterlo in dubbio.
Risentire la sua voce a distanza di quindici lunghissimi mesi, però....Fuori, mentre fumava e tremava dal freddo, si è messo a contarli tutti -ma perché diavolo l'ha fatto?-
Dio, le frasi che finiscono con "però" sono così dannatamente pericolose.
Però, riprende il pensiero da dove l'aveva interrotto, è una stranezza lecita la sua. Fine. Argomento chiuso.
«Senti Taem, è meglio se ci sentiamo più tardi ok?»
Non c'è un motivo concreto, ma Jinki si sente a disagio. Avverte gli occhi di Minho posarsi con insistenza sopra alla sua schiena e vuole terminare quella chiamata al più presto. Si sente trafitto.
Dall'altra parte Taemin resta in silenzio. Vorrebbe dirgli di non attaccare, di mettere di nuovo il viva-voce e lasciare la chiamata in corso. Ficcarsi il telefono in una tasca qualsiasi e permettergli di ascoltare ancora e ancora quella voce che provoca brividi così piacevoli su tutta la sua pelle.
Rabbrividisce nei suoi pantaloni del pigiama e maglietta oversize e si limita a bisbigliare un «Sì.» sofferto.
«A dopo Hyung.»
Jinki conclude quella telefonata con un misto di tristezza e pesantezza nel cuore. Torna ad unirsi al gruppo ma non sorride più come prima.
«Risolto?» Gli domanda Jonghyun, scambiando con il più grande un'occhiata d'intesa.
«Più o meno», annuisce. «Adesso il signorino muove il culo e va a farsi la spesa da solo.»
Minho decide di non guardarli, e di non ascoltarli nemmeno. È una faccenda che né gli riguarda né gli interessa. Perlomeno è quello che vuole credere.
Gli dedica di nuovo attenzioni solo quando il più grande gli rivolge una domanda diretta.
«Hai programmato qualcosa per fine anno?»
«Sinceramente? Non ci ho nemmeno pensato.»
È così che va ora la sua vita. Se fuori tutta la città non fosse un tripudio di decorazioni probabilmente si sarebbe scordato anche del Natale, figuriamoci di Capodanno. Il calendario, per lui, ha smesso di avere qualsiasi funzione. Non ricorda nemmeno quale è stata l'ultima pagina che ha strappato. Non gli importa un bel niente dei giorni che se ne vanno, tanto sono tutti uguali. Irrilevanti.
«Meno male, sarebbe stato un peccato mortale se tu avessi già preso impegni perché abbiamo in mente qualcosa di pazzesco. Sensazionale
«Me lo sentivo che c'era qualcosa sotto», ridacchia portandosi alla bocca il caffè bollente che Kibum gli ha appena messo sotto al naso. «Sentiamo, cosa vi siete inventati stavolta?»
«Vogliamo fare qualcosa tutti insieme, un piccolo viaggio, goderci questa bellissima neve...fare follie come ai vecchi tempi. Prenderci una pausa dalla nostra vita frenetica che ci sfugge troppo in fretta, vogliamo riempirla bene, per una buona volta.»
Scosta la tazza dalle labbra, esita solo un attimo.
Quel discorso lo tocca nel profondo, viene punto allo stomaco da uno spillo di angoscia. Lui non sa nemmeno se quello sia un lunedì o un martedì. La sua vita si sta consumando come un foglio bianco incendiato da un fiammifero e messo contro vento. Sta sprecando la sua occasione...?
«Fantastico. Quando si parte?»
«Aspetta un momento, fammi finire..È difficile sai, con questa situazione...bisogna prima trovare un compromesso.»
«Ah. No. Io non vengo allora.» Cambia idea alla svelta, capendo d'anticipo la piega che sta per prendere il discorso. Non vuole sembrare brusco o infastidito, ma la sua voce esce dura come un'antica pietra vulcanica.
Lui, gli altri e Taemin, è quello il compromesso.
È fuori discussione. Non ha voglia di vederlo per pochi minuti, figuriamoci fare un viaggio con lui, condividere ventiquattrore al giorno con lui. Sono dei pazzi.
«Ma Minho...»
«Niente ma per l'amor del cielo... Andate voi quattro.»
«Parliamone. Non vogliamo tagliarti fuori.»
«Non c'è modo che tu, e...lui possiate...rivedervi in modo pacifico?»
Jinki ci prova. Ci proverà sempre. La speranza è l'ultima a morire.
«No.»
«Perché?»
«Vuoi davvero che ti elenchi i motivi?»
«Taemin, me l'aveva detto che non avresti mai accettato. Sapeva anche che avresti detto questa frase esatta.»
Minho lo fulmina immediatamente con lo sguardo, non gli piace l'idea che Taemin parli di lui, o che abbia ancora l'abilità di prevedere le sue mosse.
Il barista batte una mano sul bancone per richiamare l'attenzione su di sé. «Piantatela voi due», scuote la testa verso il più grande dandogli due pacche sul bicipite. La sua idea è l'unica praticabile se vogliono davvero che nel loro viaggio ci sia sia l'uno che l'altro. Bisogna non far coincidere le due presenze, tutto qui. Un viaggio diviso in due fasi.
«Ascolta me Minho», lo afferra per le guance, girandogli il viso in modo che lo guardi dritto in faccia. «Facciamo così: noi partiamo con Taemin, stiamo qualche giorno, poi quando lui va via, ci raggiungi tu. Non è una cattiva idea, no? »
Minho aggrotta la fronte, per un attimo non gli sembra affatto una cattiva idea, anzi è del tutto fattibile, ma poi...
«Cioè volete lasciarlo da solo, durante le feste? Non se ne parla.»
«E invece possiamo lasciare solo te!? Vale lo stesso ragionamento.»
Jonghyun si arrabbia, batte una mano sul bancone con rabbia facendo sparpagliare tutti i foglietti.
«No, io...io ho altri amici. Mayko. Mi posso organizzare diversamente.»
«Chi ti ha detto che Taemin non abbia qualcuno?»
«E chi?» Sbotta, come se qualcuno gli avesse dato una pacca talmente forte dietro alle spalle e gli fosse schizzato fuori dalle labbra.
Chissà perché fino a quel momento non ha mai preso nemmeno in considerazione l'idea che Taemin potesse aver cominciato a frequentarsi seriamente con qualcun altro. Forse perché i pensieri su di lui sono scemati fino al ridursi a piccoli casi isolati, più che altro sogni, quando non è del tutto conscio, o forse perché le idee che non gli piacciono tende ad ucciderle sul nascere. Scuote una mano nell'aria, blocca qualsiasi risposta stesse per arrivare. «No, non mi importa. Avete ragione, sono il solito presuntuoso. Ci penso su, ok?»
«No!» Jonghyun lo spintona. «Cazzo sono il tuo migliore amico, dovresti dire sì senza pensarci! Non facciamo qualcosa insieme da una vita!»
Minho gli restituisce il favore, spintonandolo con ancora più decisione. «Ma piantala! T'ho detto che ci penso, non insistere. Piuttosto...avete già scelto la meta?»
Kibum tira fuori una rivista da sotto il bancone, è una di quelle guide utili per organizzare viaggi perfetti dove suggeriscono le mete più gettonate, solitamente in copertina riportano paesaggi eterei e suggestivi. Località paradisiache, piccole isole in mezzo al mare o resort, o grandi metropoli, stavolta però, visto il periodo, in primo piano c'è raffigurata una montagna enorme completamente innevata, e una pista da scii perfetta per gli appassionati.
«Non troppo lontano da Jeju, restiamo nei paraggi. Non ho voglia di viaggiare per troppo tempo, poi mi viene la nausea.» Dice, sfogliando la rivista rapidamente, in cerca della pagina che l'ha conquistato.«Abbiamo scelto Hallasan, il monte Halla sai...»
«Però...», Minho fa un fischio di apprezzamento sporgendosi sulla rivista per vedere meglio il punto segnalato dall'indice di Kibum. Il paesaggio che mostra è davvero mozzafiato. «Potrei portare la camera e fare delle riprese pazzesche lassù.» Considera ad alta voce, ed il desiderio di partire s'insinua in lui come una voce suadente che gli sussurra all'orecchio spingendolo a compiere il peggiore dei peccati. È a corto di materiale, e stufo di filmare sempre i soliti posti.
«Un motivo in più per dirci di sì.» Jonghyun ora sorride, gli butta un braccio intorno al collo consapevole che alla fine la sua risposta sarà affermativa. Quel luccichio nei suoi occhi grandi ha imparato a conoscerlo e a decifrarlo bene, è segno di puro interesse. Minho è curioso, e niente e nessuno può mettere a freno la sua irrefrenabile voglia di appagare quella curiosità che brucia dentro di lui. In più c'è l'aggravante della passione per il cinema e la sua smania di filmare qualsiasi cosa bella gli capiti a tiro, quindi sono a cavallo. «E ce lo devi dire subito, non abbiamo tempo per prenotare anzi, siamo già in ritardo.»
«In più avevamo pensato di prendere uno chalet tutto per noi cinque, al posto dell'albergo. Quindi ci daresti una bella mano con la divisione delle spese.»
Minho alza gli occhi sul più grande tra loro. Cinque? È diffidente, se quei maledetti gli stanno tendendo una trappola...
«Cinque in totale, non tutti insieme, volevo dire.» Rettifica Jinki, facendo un smorfia infantile al suo indirizzo. Anche lui sembra essere diventato in grado di decifrare ogni suo sguardo.
«Questo sarebbe lo chalet.» L'unghia lucida e curata di Kibum si sposta sulla stessa pagina di prima, strisciando verso l'angolo in basso.
Minho lo segue con gli occhi e inevitabilmente, s'innamora. È più forte di lui, subisce il fascino di certi posti come gli uomini subiscono quello di certe donne avvenenti. Quelle vetrate luminose che si affacciano su un angolo di verde bellissimo e tutto quel legno scuro con cui è fabbricato lo chalet, lo conquistano immediatamente, come lo ha conquistato l'Old bar fin dal principio, quando era ancora una scatola di muffa e polvere. In quel posto potrà accumulare materiale per un anno.
L'hanno fregato. Hanno scelto un posto suggestivo e pittoresco per metterlo in trappola.
«Sapete una cosa? Va bene. Andata, ci sto. Avete vinto.»
Non ha niente da rimetterci, in fin dei conti. Spezzare la monotonia della sua vita gli farà solo che bene, spera.
Jonghyun lo strattona entusiasta, la sua presa sul suo collo si fa più decisa, se lo avvicina contro al petto e lo bacia sulla corona dei capelli con affetto.
«Lo sapevo che saresti stato dei nostri, loro non ci credevano davvero ma io sì.»
«Direi che è il caso di riprendere quel whisky...» sospira rassegnato Kibum , guardando verso la mensola e poi verso Jinki che gli sorride, di nuovo di buonumore.
«Ci penso io!»
Chi se ne frega se a fine mese i conti non tornano, i festeggiamenti sono più importanti. Gli amici sono più importanti.
Viaggiare, divertirsi, vivere la vita è più importante.
Essere finalmente felice.
_
La neve luccica sotto i lampioni accesi. Minho torna a casa che è già buio, non che sia poi così tardi, ma alle cinque e mezzo del pomeriggio, a dicembre, la luce non c'è più. Il sole, si sa, d'inverno diventa stanco e pigro.
Come si sente lui, dopo aver perso il conto di quanti bicchieri si è scolato. È riuscito a rimanere sobrio -ok, forse un po' sbronzo lo è, ma solo un po'- giusto perché è stato in grado di contenersi, dosando il whisky, bevendolo a intervalli, facendo passare almeno un'ora tra un bicchiere e l'altro.
Alla fine è stato quello che ne ha bevuto di meno, ma meglio così. Si è risparmiato una nottata assicurata con la faccia immersa nella tazza del cesso.
Quel ronzio che sente nella testa è piacevole, gli fa venire una gran voglia di buttarsi in mezzo a tutta quella neve soffice e dormire finché i primi raggi del sole non arrivino a baciargli il viso.
Forse è sempre merito dell'alcol che lo scalda da dentro, ma al contrario di quella mattinata ora non patisce più di tanto il freddo, anzi, quel vento secco sul viso accaldato è piacevole, lo rimette in sesto.
Si ferma un attimo a guardare il cielo, e invece della solita distesa nera trapunta di stelle trova un'enorme manto bianco, quasi luminoso, che avvolge l'oscurità della sera. Quella notte è prevista un'altra bella nevicata e ne è felice.
Quanto gli piace quella sensazione di quiete assoluta che avvolge il mondo quando la neve prende a cadere dal cielo e a depositarsi silenziosamente sulla strada accumulandosi a vista d'occhio. Gli sembra di stare sotto una campana di vetro, immune da tutto. Come gli è sembrato di vivere fino a quel momento.
Isolato da tutto e tutti, intoccabile. La sua percezione del mondo, in quei quindici mesi, è stata attutita dalla barriera che lui stesso ha creato.
Oggi qualcosa è cambiato, si sente diverso, irrequieto, prova un sentimento strano, in grado di stravolgerlo completamente, in grado di insinuarsi attraverso la sua corazza intrapelabile.
Interrogatori scomodi tornano ad affollargli il cervello, come se la bolla in cui si era rinchiuso fosse scoppiata all'improvviso e tutto quello che aveva lasciato fuori fosse tornato a riversarsi in lui come un torrente si riversa nel mare.
Forse sono stati tutti quei discorsi sulla vita a fargli quell'effetto, pensa. Anche se la causa principale è di fatto un'altra.
È brillo per rendersene davvero conto ma oggi, quella voce, ha frantumato la sua campana.

Such a beautiful view [2Min ita]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora