Gli uomini come me appartengono ad una brutta razza

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"L'amor che move il sole e l'altre stelle"

Roma, oggi

Con gli anni, ha confezionato una storia di successo tuttada raccontare.
C'era forse dell'altro oltre i regali di Natale lasciati incustoditi sottol'albero, oltre gli abiti da cerimonia stirati e riposti nell'armadio, oltre ipranzi della domenica con parenti sempre disposti ad ascoltarlo, qualcosa dipiù vero per cui valesse la pena restare davanti ad uno specchio a chiedersichi fosse. È stata una gran bella sfida, ma ora può ritenere a buon motivo chequello specchio gli parlasse molto più sinceramente dei tanti volti chepopolavano la sua tavola a Natale.
Come tutte le storie più belle, anche la sua ha inizio d'estate.
L'estate a Roma è tutta un'altra storia, e la gente riesce a trovare il tempoper perdere tempo. Le strade sono già desolate prima ancora che i romaniprendano d'assalto la riviera costellata di ombrelloni. Presto avrebbero guardato altrove, all'Americaforse, ma era ancora presto; se c'era un'eccezione, questa si faceva portare dalsuo autista a lavoro a bordo di una Chevrolet Corvette del '54.
All'epoca in cui la sua storia prese inizio, diversi erano i regali che loattendevano per la sua buona condotta, e la conquista del rispetto di suamoglie lo entusiasmava forse tanto quanto il regalo che lasciava dormire giornoe notte in garage.
Quando tutto è cominciato, egli era il solo avvocato di Roma che si facevaportare su una Chevrolet Corvette del '54, cosa che in città nessuno avrebbepotuto capire perché nessuno guidava auto del genere. L'auto, un pezzo raro,ovviamente, se l'era fatta arrivare direttamente da oltre oceano in occasionedel suo compleanno. Il lusso, tra le altre cose, che poteva permettersi, eraquello di avere un tavolo sempre prenotato a suo nome al Carpe Diem, che è anche il locale che frequentava ogni mattinaprima di recarsi a lavoro; è proprio vero: certe persone credono proprio diessere diverse dagli altri.
La Corvette percorreva le strade del Gianicolo alle 10 di mattina. Un leggerovento minacciava di scompigliargli la capigliatura e, in apparenza, la gelatinamessa la sera prima sembrava non riuscire a reggere. Gelatina per capelli: aquarant'anni belli che suonati anch'egli cominciava a soffrire dei sintomi diun eccessivo amor proprio, un attaccamento alla propria immagine e al proprioego già verificatosi in precedenti illustri della sua famiglia. Egli avevainfatti dalla sua l'aria del bravo ragazzo e dell'uomo maturo, il vincente sulquale puntare, il cavallo bianco tra una scuderia di altri neri.
Nel frattempo, la Romanità gli scorreva accanto; bastava sporgere lo sguardo dipoco oltre il finestrino dell'auto per fare da spettatore alla più bella galleriad'arte a cielo aperto: così, dal Gianicolo le cupole della Città Eterna sisfioravano in un abbraccio che non si compiva mai, e davano il buongiorno allabellezza, ed era tutto un contorno ininterrotto di tetti e campanili, una tramainfinita di chiaroscuri che non smetteva mai di sorprendere e affascinare; aRoma la storia si era fermata, altrove era stata solo di passaggio.
Ci sono così tante cupole a Roma, e per ognuna i pellegrini hanno sempreraccontato una storia diversa. Forse c'è una ragione per cui tutte le stradeportano a Roma, forse c'è una ragione per cui tutti la invidiano, per cui tuttici invidiano.
Ed egli ne era consapevole: abitava nella città più bella al mondo, ed ognisanpietrino, ogni vicolo erano un invito a chiedersi il significato dellabellezza. Lì tutto era così surreale, così bello.
La Corvette correva sui sanpietrini e salutava la statua di Garibaldi. Alcentro del Gianicolo si ergeva solitaria e maestosa, braccio teso ad indicarel'infinito, la strada da raggiungere e perseguire sempre, nonostante tutto.
Egli rivolse un'occhiata allo specchietto retrovisore, alla ricerca del suoautista, quella mattina più silenzioso del solito. Ingessato nella discrezioneche gli era propria, guardava dritto davanti a sé, intenzionato a guidare ebasta. –Hai fatto ritardo stamattina- osservò prontamente.
L'autista si sforzava di restare concentrato sulla strada; i sanpietrinicominciavano a sembrargli più fastidiosi del solito, e una discussione conGiacomo Tropeano alle 10 di mattina era un passaggio che non aveva preventivato.L'autista chinò gli occhi, non trovando nulla ai suoi piedi a partel'acceleratore: nessuna via di fuga quando c'era da render conto del ritardorispetto la tabella di marcia di Giacomo Tropeano. Cercò così di trovare unagiustificazione al suo ritardo.
- Ho conosciuto una ragazza ieri sera, e così abbiamo fatto tardi – dichiarò,le mani ben salde sul volante.
Le fronde dei platani erano una compagnia più che valida per gli uomini che siaccingevano al Carpe Diem. Il localeera tappa obbligatoria nella giornata di Tropeano.
- Non ricordo di averti mai sentito parlare di ragazze con me – contrattaccòGiacomo. Mise ordine nel nodo alla cravatta. Il caldo non lo spaventava dalvestire elegante, e la frequentazione del CarpeDiem, un ritrovo di uomini a ridosso dei cinquantina con vista panoramicasulla Città Eterna, aggiungeva altro lustro al suo nome: Tropeano era benconsapevole del peso e della responsabilità che il suo nome portava con sé.
Si nascondevano tanta determinazione e tanti buoni propositi di rigare drittodietro la targa in oro affissa sul suo ufficio: avvocato Giacomo Tropeano, diceva tutto e niente.
– Mi sto impegnando molto ultimamente – riprese l'autista. L'auto sobbalzavasul manto stradale dissestato, e accelerò la corsa quando l'autista cambiòmarcia.
- Le donne sanno sempre come mettere a nudo le nostre debolezze, il che puòessere anche una gran bella cosa, sì, una gran bella cosa – continuava Giacomo,scandendo le sue parole con il movimento imperioso della mano, come a volerle caricaredi un significato ancora più profetico. – È quello che vi ha insegnato vostramoglie? -.
- Mia moglie riesce sempre ad insegnarmi molto, in realtà -. Il volantescivolava tra le mani dell'autista che era una meraviglia. Quella macchina erastata pensata per uomini importanti; svoltò a sinistra, poi seguì le curvedella strada al canto continuo delle cicale, confidenti sinceri nella caluraestiva della capitale.
- Io vorrei sistemarmi, voi capite cosa intendo... - continuava l'autista. – Chiè la fortunata?-.
- Si chiama Sara, e canta da Mario il giovedì,vi ricordate di Mario sì? -. L'autista si era ritirato la camicia sino a metàdelle braccia, mentre il gilet nero risaltava rispetto al colore crema dellacarrozzeria e degli interni.
- Tu lo sai quello che penso di Mario; è una bravissima persona, per carità, maha giri poco puliti – spiegò Giacomo, distendendo il collo sul sediledell'auto. Chiuse gli occhi, segno che la cosa gli piaceva. L'autista mosseenergicamente la testa in segno di disapprovazione, pronto a difendere lareputazione della sua donna. – Non è come sembra, lei studia. Frequenta il bardi Mario perché lui la fa cantare. Adora cantare, ma intanto studia dasegretaria -.
- Segretaria? -.
- Sì, per una di queste aziende... contabilità, calcolo, roba del genere. Èportata perché ha pazienza, una donna quando ha pazienza lo riconosci da cometi guarda... porta pazienza, capite? - spiegò, alzando le spalle in segno diincredulità all'idea che, nella vita, bisognava dover portare pazienza. Giacomoschioccò la lingua e rimase a ragionare su quella parola. Pazienza... entrambigli uomini che sedevano sui sedili avevano sempre sottostimato la pazienza, e pensavanoche se le cose le volevi dovevi andare a prendertele da te. La mela non cascada sola in testa a chi l'aspetta sotto l'albero, e in quella grande giungla cheè la vita devi fare la fila e prendere il numero se vuoi qualcosa, perché puòanche darsi che quel qualcosa che credi debba essere tuo in realtà lo voglionogià altri milioni di persone; sopravvivere, ancor prima di vivere.
– Nel mio mondo, ossia quando i nonni scuoiavano vivi maiali appesi ad unalbero, siamo cresciuti pensando che mai nulla è certo e che la vita deviguadagnartela da te -.
- Ci crede ancora, signore? – chiese l'autista.
Tropeano lanciò un'occhiata ai gemelli ai suoi polsi. - Ci credo ancora – annuìconvinto. - Ma ora come ora posso anche dirti che nel tuo caso una ragazza sapràfarti ragionare. È tanto bello quando hai una qualcuno che ti aiuta – concluseGiacomo, sinceramente convinto delle proprie idee. Si erano lasciati ilGianicolo alle spalle e avevano Roma ai loro piedi. L'autista proseguìsilenzioso senza chiedere informazioni su dove fossero diretti perché conoscevabenissimo la destinazione; non c'era giorno che Giacomo Tropeano non ripetessequel rituale. Per lui era come una sorta di benedizione per la giornata,l'augurio di fare ritorno a casa e magari trovare la moglie pronto adaccoglierlo più contenta del giorno prima. – E voi cosa mi dite di vostramoglie? Quand'è che vi aiuta ad essere ragionevole? -.
Per Giacomo Tropeano il momento più difficile veniva proprio quando c'era dariconoscere ed ammettere le proprie debolezze, cresciuto com'era all'idea diessere diverso. Tuttavia la Storia insegna che anche gli uomini più avvenentinascondono sempre qualche scheletro o brutta faccenda dietro le pieghe dei loroabiti neri. – Mia moglie è provvidenziale perché mi aiuta a parlare delle miepaure – rispose in tutta sincerità. Quello di mettere ordine tra il nodo dellacravatta e i gemelli era un passatempo che cominciò a stancarlo, e così silimitò a godersi il paesaggio. Al suo fianco, sul sedile in pelle, laventiquattrore.
- Non immaginavo che gli uomini come lei avessero paura, signore -.
Giacomo accennò un sorriso beffardo, colpito dal sarcasmo dell'uomo. – Gliuomini come me appartengono ad una brutta razza – osservò, assestandogli duecolpetti alle spalle. – Gli uomini come me finiranno per dimenticarsi delproprio bene se continueranno a pensare solo a quello altrui. Per questo tidicevo che ho paura; ho paura che un giorno non riesca più a volere bene a chimi sta più accanto -.
- Lei è un avvocato, signore; è il suo mestiere -.
L'auto sussultò più volte, ma la cosa sembrò non preoccupare i due uomini.Giacomo intimò di proseguire, di non preoccuparsi troppo; normali problemi dimanutenzione, ci avrebbe pensato più tardi, assicurò, e la prospettiva difermarsi al Carpe Diem nel giro dimeno di dieci minuti lo allettava più di quella di fermarsi dal prossimomeccanico. – Ricordati di far controllare l'auto appena torni a casa;dev'essere quel problema al radiatore di cui ti dicevo – s'assicurò. L'autistaannuì, discreto nel suo impeccabile contegno.
- Allora mi dica qual è la sua paura, se posso -. Insisteva perché stentava acredere che un pescecane del calibro di Tropeano avesse i suoi punti debolicosì come i comuni mortali; nel grande mare della vita Tropeano aveva semprerecitato la parte del diverso, del pescecane che sa fregare i pesci piccoli chesono già in rete; ma per ogni pescecane che si rispetti, si sa, ne esistesempre uno più grande pronto a fregarlo alle spalle e in silenzio.
- Sarò sincero con te; ho paura di perdere tutto: le ricchezze, i soldi, leproprietà, persino mia moglie -.
Perché del destino e della reputazione del padrone ne andava anche della sua,l'autista si fece più curioso e continuò a far domande. – Sua moglie, ha detto?Pensa che si sente con qualcun altro? -.
L'auto svoltò dove non cantavano le cicale e c'era più ombra; l'insegna del Carpe Diem era garanzia di riposo per ilviaggiatore in cerca di refrigerio nel deserto estivo. – Non è quello, anzi, miconsiglia sempre e... -. Fu interrotto bruscamente.
-Scopate? – domandò bruscamente. Tropeano sollevò appena le sopracciglia,riconoscendo la sorpresa della domanda. – Cristo amico, lei è un mostro aletto, lo sai, fa certe cose, che Dio la benedica... -.
- Beh, se la scopi con più frequenza -.
- Lo faccio già... il venerdì, è questo il giorno per noi due -.
- E gli altri giorni per chi sono? -.

- Intendo, nel senso che la cosa è diversa, è più intensa – spiegò. – Amico, ti scopi tua moglie e hai anche paura di perderla... insegnale che deve restare nel vostro letto e non in quello di qualcun altro – fu il consiglio dell'autista. C'era un punto, uno scorcio, dal quale poter vedere la città eterna. Il caldo la ricopriva tutta, toccandone i tetti e i comignoli, e sopravvivere in città era una gran bella sfida. Roma sperimentava le sembianze della modernità e man mano smarriva quelle dei baci lungo il Tevere, di quando ancora si parlava a voce guardandosi negli occhi; era tutto uno splendido quadro, tutto luci ed ombre che si affrettavano a perdere colore. L'Arcangelo Michele che rinfoderava la spada dal Castello dava il suo personale saluto a Tropeano: presto sarebbe giunto il momento di giudicare i vivi e i morti.
L'auto rallentò il suo corso, come se le bellezze tutt'intorno avessero bisogno di calma per essere godute appieno. – Qui hai Roma, amico; cos'altro chiedi ancora? -.
- Quella della mia razza è una brutta gente, purtroppo – concluse Giacomo, prendendo la ventiquattrore e preparandosi ad affrontare l'appuntamento con le notizie del giorno.
La Corvette si fermò davanti l'insegna del Carpe Diem, e lasciò il motore a riposare per un po'. - Ricordati di far controllare quel problema al radiatore e prendi questa -. Tropeano lasciò una mancia sul cruscotto e salutò il suo autista con l'occhiolino. Lo seguì con la coda dell'occhio finché non lasciò il viale alberato e risalì su, verso il Gianicolo.


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⏰ Last updated: Oct 19, 2019 ⏰

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doccia fredda (capitolo 3)Where stories live. Discover now