Prologo

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1 ANNO DOPO
Non riuscivo ancora a credere di essere scappata da quell'inferno che,pensavo non sarebbe mai finito.
Tremavo ancora come una foglia, ripensando a tutto quello che avevo vissuto in quei giorni interminabili, ma finalmente il mio incubo era giunto al termine.
Niente più corde,
Niente più urla,
Niente più pistole,
Niente più lacrime da versare,
Niente più dolore.
Ero finalmente riuscita a scappare e a trovare un posto sicuro, dove poter ritrovare,finalmente, me stessa, anche se, ormai,non mi riconoscevo più.
Mi avevano rinchiuso in una stanza buia e questo non mi aiutava a stare tranquilla e a mio agio, soprattutto con quella luce fastidiosa che si scontrava sui miei occhi.
Davanti a me non c'era nulla, solo un tavolo in legno e un'enorme finestra che ricopriva gran parte di quella parete grigia.
Credevo che fosse uno specchio, ma la realtà continuava ad ingannarmi.
Finalmente la porta si era aperta e davanti a me, si era seduto un uomo sulla quarantina:
Capelli pettinati con un filo di gel e un cappotto lungo beige.
Mi guardava con un'aria di tenerezza nascosta nei suoi occhi color nocciola, mentre le sue mani andarono ad appoggiare un block notes nero e qualche altro documento che, per me, risultava difficile riuscire a intravedere almeno qualche parola.
Sapevo quello che voleva da me, ma non sapevo che sarebbe stato così doloroso e imbarazzante discuterne.

«È un vero piacere riuscire a parlarle dopo così tanto tempo, la ho cercata da quando mi hanno assegnato il suo caso e sono molto felice di vederla sana e salva.
Sono il detective Robert e sono molto felice di conoscerla.
Come si sente? Vuole qualcosa da mangiare o da bere?»

Come mi sentivo? Era una domanda che mi ponevo ogni giorno, ma mai rispondevo con sincerità,infondo a chi importava il mio stato d'animo?

Rimasi ferma nella mia posizione, con gli occhi che erano puntati sulla superficie di quel tavolo.

«Non ho bisogno di niente, grazie.»

Sentivo i suoi occhi osservarmi da capo a piedi, ma non dissi nulla.

«So che è molto difficile per lei iniziare una conversazione, ma cercherò di essere il più delicato possibile...
Allora, mi vuole raccontare qualcosa? Mi va bene tutto quello che vuole, non ho un tempo limitato.»

Senza che io me ne accorgessi, il mio labbro inferiore si era messo a tremare, ero in preda all'ansia totale e la paura non faceva che peggiorare le cose.
Avevo così tanta voglia di confessare tutto quello che avevo sopportato, ma sapevo di cosa fosse capace quell'uomo, quindi non sapevo se dire completamente la verità potesse aiutarmi o se avrebbe messo in pericolo qualcuno.
L'unica cosa di cui ero certa, era che lui avrebbe sofferto proprio come io stavo soffrendo in quel momento.
Alzai finalmente lo sguardo e le parole mi morivano in bocca.
Assurdo.
Per tutto quel tempo, avevo fantasticato su come offrire la mia testimonianza e, in quel momento, non sapevo nemmeno da dove cominciare.
Non vedendomi a mio agio davanti a quella domanda, il detective fece uscire un piccolo sospiro dalle sue labbra secche  e mi sorrise mortificato.

«Proviamo così... alcuni testimoni ci hanno detto che una Volkswagen blu era sempre parcheggiata di fronte al cancello di casa sua.»

Prese il suo fascicolo e dispose lentamente le fotografie di quella macchina che,vagamente, riuscivo a ricordare.

«Ti ricordi dove ti ha portato?»

Iniziai a singhiozzare, ripercorrendo quei ricordi indelebili dentro la mia testa,mentre con la voce tremolante dissi semplicemente:

«No... non mi ricordo quella macchina, lui non c'era.»

«Non c'era?» mi guardava con aria confusa e come potevo biasimarlo!

«Mi hanno...portata due uomini da lui.
Mi hanno bendata e picchiata.
Avevo perso i sensi e quando avevo aperto gli occhi, lui era lì.»

Parole confuse uscirono dalla mia bocca, mentre, istintivamente, portai le ginocchia al petto, come facevo da bambina per nascondermi da qualche mostro immaginario, che era pronto ad attaccarmi.

Il detective mi guardava con attenzione ed era come se avesse già capito e interpretato,al meglio, le mie parole.

«Riesci a descrivermi la casa in cui ti hanno portata?»

«Non lo so, era una casetta in mezzo al nulla, mi ricordo che c'erano molti alberi, pini in particolare, era tutta in legno, ma dopo due settimane, ci siamo spostati.»

«Aveva una meta precisa? Oppure aveva paura che potessimo trovarvi?»

Scossi la testa all'ultima domanda, spostando gli occhi su un punto indefinito di quella stanza che tanto mi ricordava l'orrore che dovetti sopportare per tutto quel tempo.
Dissi solamente una cosa.

«America.»

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 16, 2021 ⏰

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