20. L'AMORE NON ESISTE (REV)

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Acab rimase lì, buttando fumo grigio dalle narici di tanto in tanto. Poi abbassò il capo al suolo e ritornò a pensare alla discussione che aveva avuto con Judas.

Dopo quel salto nel vuoto, Ariel svenne sul suo petto e, vedendola ormai esangue, la prese tra le braccia, mentre il vestito, scomposto, mostrò gli arti inferiori.

La adagiò al suolo, piegato su un ginocchio e la osservò, a lungo, anche dopo aver richiuso la cella.

Un tonfo sordo l'aveva fatto sussultare e girare di scatto. Percorse lo stretto corridoio, guardingo e a passo lento.

Osservò un cumulo di sabbia nera posta alla fine della scalinata di ferro, e, incerto, vi si avvicinò con fronte aggrottata.

Da quel cumulo di cenere si formò una nube nera in cui apparve Judas sdraiato sul pavimento in una posizione rigida e tanto innaturale da far comparire una smorfia di ribrezzo sul volto del giovane: gli arti superiori erano come legati dietro la schiena, così come le gambe.

Quando gli occhi vitrei color rubino ritornarono di quell'azzurro tipico del loro rango, Judas urlò, facendolo rabbrividire.

Tentò di rialzarsi, prima inspirando ed espirando messo in ginocchio, poi stringendo le dita tra le fessure della parete di pietra, barcollando.

Il figlio rimase ad osservarlo per parecchi minuti prima di porgergli una domanda alquanto inopportuna: «Sono stati i tre angeli di Simon, non è vero?»

Il padre gli lanciò un'occhiata austera e, nonostante volesse mostrare autorevolezza e forza, dovette camminare a fatica con i palmi posti alla parete che conduceva alla scalinata prima di rispondere: «Gli angeli? Quelle innocue bestiole?» schernì «Affatto...»

«E allora? Chi è stato a ridurti così?» tentò di capire Acab, con occhi torvi.

Il padre gli pose una mano sulla spalla e gli confessò: «A volte, i ministri di Colui che non possiamo nominare seguono così bene il loro mandato, da avere un potere superiore...»

«Ma...» continuò, forte di quel momentaneo stato di intimità mostrata dal padre. «Com'è possibile? A noi non ci è permesso nemmeno immaginare di poter essere come uno dei capi e...»

Non fece in tempo a continuare che uno schiaffo sonoro gli fece roteare il viso dalla parte opposta.

«Cosa ti sta succedendo?» gli ringhiò Judas a denti stretti.

«Perché?» sputò in terra, asciugandosi con il dorso della mano destra prima di essere strattonato dal padre.

«Lui controlla la tua mente e tu questo lo sai bene.»

Judas lo teneva dal colletto della camicia nera, colpendolo contro la parete.

«E allora?» lo provocò Acab, con un sorriso nervoso.

«Quegli impulsi elettrici dei tuoi neuroni, collegati all'immagine del suo viso, fanno fare un semplicissimo calcolo al nostro Signore.»

Una stretta alla bocca dello stomaco lo investì, irradiando uno strano calore in tutto il corpo ricordandola al Dark Lithium bella da morire.

Morire per non aver utilizzato su di lei alcun potere.

«Ti conviene sfogare al più presto il tuo desiderio, così da non procurarti una fine lenta e dolorosa.»

«Io sono già un condannato, padre.» ringhiò con l'astio che attraversava i muscoli irrigiditi.

«Non lo sarai, se il tuo cuore rimane una lastra di ghiaccio.»

Lo lasciò, per abbracciarlo, e sussurrargli: «Senti questo gocciolare perenne?»

Il figlio annuì, rigido.

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