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Quel sabato sera Beatrice fu costretta a prendere parte a una delle solite feste che il padre William King, aveva organizzato.

Inutile dire che la noia aveva preso il sopravvento quella sera anche perchè quella cerimonia si riveló più lunga del previsto, tanto da impedirle di fare la sua solita passeggiata notturna nel cuore di Londra.

-Beatrice, cara! Ti voglio presentare Pierre Dubois, è il nipote di un prestigioso commerciante francese- la dolce voce della signora King risveglió la giovane dai suoi pensieri, che rimase piacevolmente sorpresa dal bel giovane che la madre le stava presentando.
Era abbastanza alto, vestito come un perfetto gentiluomo e dal sorriso smagliante. I capelli neri erano tenuti all'indietro e due grandi occhi celesti la fissavano incuriositi.

"Piacere madame" le fece il baciamano inchinandosi e presentandosi con quell'insolito accento francese che rendeva la sua voce profonda ancora più accattivante.

"Il piacere è tutto mio, qual buon vento vi porta a Londra" gli chiese lei ritraendo la mano dal bacio che sembrava stare durando troppo per i suoi gusti.

"Noiosi affari madame, ma guardandovi comincio a pensare che questo viaggio possa diventare abbastanza interessante"

Beatrice non lo diede a vedere ma a parer suo quel commento fu pressoché inappropriato e sperava di non dover avere più nulla a che fare che quel giovane, ma a quanto pare le sue richieste non furono accolte e il fato sembrava non essere dalla sua parte.

Solo quando il padre la convocó nel suo ufficio con il ragazzo Bea capì, e mai fino quel momento aveva desiderato di andarsene via da quella villa per sempre.

"Beh, credo abbiate inteso il perché di questa piccola riunione" cominciò il signor King.

Bea non riuscì nemmeno a rispondere per la rabbia e la frustrazione, l'unica cosa che fece fu alzarsi e uscire da quell'ufficio per poi chiudersi nella sua camera, dove il suo fratellino stava dormendo.

Chiuse a chiave la porta per poi distendersi sul letto. Non le pareva vero che i suoi genitori fossero giunti a tale decisione. Non era mai stata veramente triste e non si era mai sentita più in trappola di allora. Lacrime amare minacciavano di uscire, ma le trattenne come se ci fosse qualcuno a guardarla, come se dovesse tener conto a qualcuno; ma in realtà quello che voleva era dare dimostrazione di forza a se stessa, non accettava che una come lei stesse a piangersi addosso, ma sapeva che a quel destino non c'era scampo, eppure ci aveva sperato così tante volte, ci aveva sperato così tanto che ora non le pareva vero di dover rinunciare a tutto per uno stupido matrimonio combinato, perché stava semplicemente crescendo.

Si alzò dal letto e si avvicinò alla finestra aperta per guardare le stelle, per guardare LA stella.

Era ormai tardi, era ormai mezza notte passata quando un'insolito suono attiro l'attenzione della ragazza.
Era un flauto, ed intonava una melodia dolce e ipnotica.

Bea era sempre stata una giovane previdente, e se fosse stata in se non avrebbe mai seguito quel suono nel bel mezzo della notte, ma ahimè, quella sera quel suono le sembró una motivazione più che valida per uscire da quella villa.

Si alzò in piedi sul davanzale della finestra per poi cominciare a scalare le pareti del palazzo per arrivare al tetto.
Non aveva paura di cadere, anzi, si sentiva sicura come non mai, e quel suono, seppur dolce le dava la carica per andare ancora più veloce.

Arrivata in cima la giovane non trovò nulla, nessuna persona e soprattutto nessun flauto, che appena aveva messo piede sulla tettoia aveva smesso di suonare.

Per quell'istante credette di essere diventata pazza e che tutte quelle emozioni le avessero dato alla testa, ma da lassù Londra era uno spettacolo troppo bello per poterselo perdere e quindi colse l'occasione per sedersi e osservare il panorama mozzafiato che le si prostrava davanti.

Rimase li per ore, fino a riuscire a vedere l'alba.

Eh già, quella notte non riuscì a chiudere occhio, aveva troppi pensieri per la testa.
Quando finalmente si decise a tornare nella sua camera si sentì afferrare per un braccio. Per la paura scivolò e iniziò a precipitare.

Quando credette di schiantarsi al suolo iniziò a librarsi nell'aria fino a raggiungere la torre dell'orologio.

Qualcosa la stava attirando verso l'alto, una figura scura e semi trasparente, senza volto, solo due occhi brillanti come stelle.

Bastò uno sguardo per stordirla e farla svenire, per poi continuare a portarla sempre più in alto, alla seconda stella, sempre dritto fino al mattino.

Dei suoni sconnessi e forti rimbombavano nella testa di Beatrice costringendola a svegliarsi.

Si sentiva indolenzita e stordita come se qualcuno le avesse suonato una campana sulla testa.

Mise a fuoco ciò che la circondava ma si stupì di vedere che era praticamente sospesa nell'aria all'interno di una gabbia fatta di rami doppi e scuri.

Sotto di lei c'era una grande distesa d'erba ed era circondata da alberi alti e dal busto enorme e dalle forme strane.

Si alzò lentamente mettendosi a sedere sulle ginocchia e tenendosi alle sbarre continuando a guardarsi intorno.

Poco più davanti a lei si riusciva a vedere un grande falò che si nascondeva tra i cespugli e le foglie enormi degli alberi e un forte suono di tamburi.

"Ma dove diavolo sono finita" sospirò mettendosi a sedere e poggiando le spalle sul lato opposto della gabbia.

Sotto di lei ogni tanto passavano qualche cervo e qualche lepre che si fermavano per mangiare l'erba verde e tenera.

Beatrice aveva sempre sognato vedere quegli animali da vicino, amava molto gli animali, ma vivendo in città non era possibile vederli.

Da piccola aveva chiesto più volte ai suoi genitori di prendere un cucciolo, le sarebbe andato bene anche un topolino, ma nonostante la sua casa avesse un enorme e spazioso giardino gli unici animali che le erano permessi di vedere erano i cavalli fuori dal cancello che trainavano le carrozze.

Ad un certo punto, la piccola lepre che saltellava da quelle parti, con dei saltelli fulminei scappó impaurita da qualcosa.

Bea allarmata si affacciò alle sbarre e si alzò per quanto la gabbia glielo permetteva, ma non vide nulla.

"Vedo che la nuova arrivata si è destata dal suo sonno" una voce la fece balzare dalla sorpresa facendola cadere.

"Scusa, non volevo spaventarti Beatrice"
Un ragazzo comparve davanti alle sbarre della gabbia, aveva dei lineamenti delicati, la pelle chiara e leggermente lentigginosa, i capelli biondo grano e gli occhi verdi come la foresta che li circondava.

"Ma che... come fai a...ma tu stai.." balbettó lei confusa non capendo come potesse un ragazzo fluttuare nel nulla a gambe e braccia incrociate e soprattutto come potesse conoscere il suo nome.

"Come faccio a conoscere il tuo nome dici? Beh, io so tutto. E se vuoi sapere come faccio a volare... non lo saprai mai"

Gia gli stava antipatico, ma il fatto che la copia esatta del ragazzo che era sempre protagonista delle sue storie la destabilizzava notevolmente.
"Starò sognando, non c'è dubbio",si ripeteva nella testa continuando a guardare il ragazzo con occhi sbarrati.

"Scusa, non mi sono presentato il mio nome è Peter, Peter.."
"Pan" lo interruppe la ragazza ancora scinvolta.

"Ma brava, vedo che mi conosci già, un punto a favore per te" disse svolacchiando  intorno alla gabbia scrutando Bea dalla testa ai piedi.

"Perchè sono chiusa qui dentro e come ho fatto ad arrivare qui" continuó a chiedere Bea.

"Sei chiusa li perché non sapevo che reazione avresti avuto una volta arrivata sull'isola e perché non volevo che qualche animale feroce ti sbranasse ancora prima di averti parlato. Perché sei qui effettivamente non lo so, dovresti dirmelo tu, la mia ombra non porta persone qui senza un motivo"

"Posso uscire?" Azzardò a chiedergli.
"Hai fegato ragazzina, mi piaci" disse lui facendo uno strano ghigno, poi aprì la gabbia e la prese per le braccia portandola a terra.

NEVERLAND- Seconda stella a destraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora