Fu dall'alto della rupe che li vidi, avvinghiati come molluschi nel fango, avvolti dal buio. Potei ammirare, nel mentre moriva il sole, il contorcersi dei loro arti ed il grugnire delle loro bocche. Ero disgustato da quella visione, tanto che a stento trattenni il vomito e ancora ne sono scosso, tuttavia ero ben conscio di un particolare tanto rassicurante quanto inquietante e deprimente. Sapevo che, nel mezzo dell'ittiofobica immagine che ero costretto a guardare, tra la pece, vi era quello che vidi in passato come un raggio di sole. Non potevo capire come una creatura sì bella potesse abbandonarsi a tali degenerazioni, e non comprendevo come io potessi anche solo riconoscere in lei quella magnificenza passata. E' sempre stata così? possibile che questa fosse la sua vera natura? Quando la vidi per la prima volta avvicinarsi alle tenebre non ero preoccupato. Ero più che convinto che lei avrebbe ritrovato la via, illuminata dalla luce. Eppure eccola, ormai ridotta ad una fiamma così flebile, non assomigliava nemmeno a ciò che era. Tuttavia, nonostante provassi tanto disprezzo e un così infiammante odio, perchè non riuscivo ad avventarmi su di lei? La mano, china sulla lama dell'ira, non riusciva ad estrarre dal fodero la spada, come fosse legata da una strana forza. Il richiamo di un passato gentile, di un sentimento caldo mi impediva di far giustizia. La mano si ritrasse, e la spada cadde.
E' questo ciò che vuoi, o sole?! Non solo mi condanni alla truce realtà del fallimento, rendendomi conscio dell'insulsa tragicità della mia esistenza. Ma mi costringi ad esserne partecipe, senza poter voltare pagina! Per quale motivo mi hai condannato a questa gabbia, costruita su immense barre di disfatte, un pavimento di incertezza e un tetto cavo, vittima delle intemperie. Non ti è bastata la mia sofferenza, quando la sentii per la prima volta lontana? Non ti è bastata la coscienza del non essere in grado di trovare un altro raggio da proteggere e servire? Perchè mi odi così tanto? Incito forse disprezzo nei tuoi occhi? I tuoi colpi mi debilitano, giorno dopo giorno. E dove un tempo vi era pace e passione, ora vi è fermezza e vacuità.
La sento, sotto la mia pelle. La disperazione del non essere riuscito a tener vicino ciò che amavo. Come fare a gestire un tale peso? L'agonia del vederti immersa nel mare di pece. Forse non sei conscia delle ferite che apri nel mio animo, ma quegli squarci mi dilaniano, mi rendono impuro. L'odio e l'ira non erano parte di me, come questa degenerazione non era parte di te, mi rifiuto di credere che lo fosse. Sono divenuto debole, codardo e vittima di me stesso e della mia passione, e non riesco a darmi la forza di andare avanti, distruggere questo baratro e distogliere lo sguardo. E' forse colpa tua? Allora perchè non riesco a odiarti? Cosa mi impedisce di fare ciò che già feci in passato, e cancellare con te il male che ti permea? Più il tempo passa e più ti penso, più ti osservo e più soffro. Potevi essere la più luminosa luce del creato ma ti sei lasciata corrompere dalle tenebre, dalla melma, rovinando tutto. Ed io sento che questa tua corruzione sta scatenando qualcosa in me. La sento strisciare nel mio profondo. Il sole era ormai morto, e la mia luce si fece sempre più fioca col passare degli attimi. Le gambe non mi ressero e caddi sulle ginocchia come un prigioniero sul patibolo, in attesa dell'esecuzione. E nel mentre divenivo pece buia, la mia spada abbandonò il suo fodero come fosse animata e mi trafisse in pieno petto. La sua lama, un tempo focosa ed imperitura, perforava corrotta le mie carni melmose. E di me, col tempo, rimase soltanto una flebile luce, avvolta dall'oscura massa del maligno. Faticavo a reggermi in piedi e mi alzai utilizzando un appoggio caldo. Ero ormai ben conscio di quello che ero in procinto di diventare. La cosa più inquietante, infine, fu che mi sentii meglio di prima. Abbandonai dunque il mio sostegno e mi diressi verso il centro della vallata, li dove giacevano gli incubi oscuri.