Natale a Briony Lodge

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Quella notte un velo sottile di neve si era posato silenziosamente su Londra.
Così, quando la mattina seguente scostai le tende davanti alla finestra della mia camera, ebbi la più bella visione che una signorina della mia età avrebbe potuto avere la mattina del 24 dicembre.
Per le ultime due settimane un vento gelido che sembrava provenire direttamente dal Polo Nord aveva soffiato per le vie di Londra, ma non era caduto nemmeno un fiocco di neve. Mi ero quasi rassegnata all’idea di non vivere un bianco Natale come lo era stato quello dell’anno precedente, ma a quanto pare avevo avuto un colpo di fortuna.
Non aveva nevicato molto, sicuramente non oltre i 5 centimetri, ma l’effetto dei tetti e delle strade bianche e del sofficissimo silenzio c’erano comunque. Senti la gioia pizzicarmi le punte dei piedi: adoravo il periodo natalizio!
M

i infilai in tutta fretta la mia vestaglia color rosa antico e le mie pantofole e scesi di sotto nella sala da pranzo.
Per i corridoi si sentivano già vari profumi deliziosi, sapevo che la nostra insostituibile cuoca si era messa a lavoro presto per preparare la cena di questa sera. Mary si era offerta di rimanere anche per servire le varie portate, ma Irene aveva insistito che raggiungesse i suoi parenti entro la serata, convincendola dopo più di mezzora di colloquio che saremmo benissimo stati in grado di servirci da soli.
Nella sala da pranzo era seduta solo mia madre con il solito giornale in una mano e con una fumante tazza di the nell’altra. Al centro del tavolo c’era una scatola di latta rossa con dentro Lebkuchen(1). Sherlock li aveva ricevuti qualche giorno prima da un conoscente tedesco e aveva lasciato la scatola alla nostra merce. La cosa era molto probabilmente stata un grave errore, dato che i tondi dolcetti erano calati notevolmente di numero in soli due giorni.
“Ha nevicato!” fu la prima cosa che dissi, sentendomi un po’ una bambina. “Buongiorno Mila.” mi sorrise Irene: “Non è meraviglioso che passeremo anche quest’anno un natale innevato?” rispose. Poi mi versò in una tazza della cioccolata calda, era ormai una tradizione da quando ero piccola: ogni anno dal primo giorno di dicembre, la mia tazza di the mattutina veniva sostituita da una di cioccolata calda.
Irene mi lasciò vagare per i miei pensieri mentre mi lasciavo rapire dalla dolcezza del cioccolato e il sapore divino delle spezie del Lebkuchen.
Quando posai la tazza, lei posò il giornale. “Ho proposto a Billy di farsi accompagnare da te per andare a prendere l’albero a Covent Garden.(2)” mi disse ed io mi sentii subito avvampare. “Sai c’è sempre bisogno del buon gusto di una donna per fare certe scelte.” mi spiegò facendomi l’occhiolino, mentre io scoppiavo a ridere di gusto.
“Tu vai a Harrods a prendere il papillon per Lupin?” mi informai sui suoi piani per la giornata, mia madre annuì. Poi le chiesi di Sherlock, erano ormai tre giorni che non si muoveva quasi più dall’ala della casa che aveva occupato ed era, come ogni Natale, di pessimo umore. Aveva comunque promesso ad Irene di sforzarsi di cancellare quello sguardo assassino dalla sua faccia almeno per il giorno di Natale, ma ovviamente tutti non avevamo troppe speranze.
Andai in camera mia per cambiarmi e incontrai Holmes, il quale si stava dirigendo di sotto, che mi diede un buongiorno poco entusiasta.
Mi misi il vestito azzurro con i ricami di lana, era il più pesante e caldo che avevo e mi sentì piacevolmente avvolta dalla stoffa morbida.
Decisi di non farmi una conciatura troppo elaborata, in modo che mi miei capelli coprissero le mie orecchie, dato che non avevo alcuna intenzione di farle diventare due cubetti di ghiaccio.
Scesi di sotto allegramente e buttai un occhio nella sala da pranzo, dove vidi Sherlock che sorseggiava una tazza di cioccolata calda con una faccia che andava oltre ad una depressione ed Irene che se la rideva silenziosamente da dietro al giornale. Entrai un attimo per avvertirli che saremmo andati a Covent Garden tra poco e poi mi diressi verso la scarpiera all’ingresso di Briony Lodge.
Mi infilai i miei stivaletti invernali e il mio cappotto di pelle di camoscio, poi scesi in cucina, dato che sapevo che Billy stava aiutando Mary.
Lo trovai intento a seguire i confusionari ordini della nostra cuoca con un piccolo sorriso sulle labbra e la camicia con il colletto slacciato. Quando mi vide, il sorriso si allargò. Andò al rubinetto per lavarsi le mani, si riabbottonò completamente la camicia e poi mi seguì di sopra.
Appena mettemmo un piede fuori di casa una ventata che mi sembrò essere più che soltanto gelida, mi svegliò completamente.
Gutsby rise della mia faccia sorpresa e ci tolse la sciarpa che poi arrotolò intorno al mio collo: “Tieni, sarebbe un peccato raffreddarsi proprio a Natale.” mi disse. Io gli sorrisi e abbassai lo sguardo un po’ timidamente. La sciarpa turchese aveva odore di Natale e di Billy.
Non era solo la neve a rendere Londra più quieta, ma anche il fatto che la maggior parte delle persone fosse obbligata a muoversi a piedi o, per chi ancora ne possedeva uno, in calesse o carrozza. Il ghiaccio e la neve rendevano lo spostamento in automobile troppo pericoloso.
Così Billy fermò con un cenno della mano un carretto aperto che stava arrivando e con mia sorpresa il cocchiere non era nessun altro del già “ragguardevolmente losco” Hoskins. Scese dalla cassetta e salutò me con un cenno del capo ed un sorriso e il nostro maggiordomo con una pacca sulla spalla.
“Ohi amico, come ti avevo detto: puntualissimo!” gli disse: “Però per il ritorno dovrete arrangiarvi, ho un altro incarico. Questa neve cade proprio a fagiolo, non credi? Almeno si raccatta qualche monetina a guidare questo carretto!” sorrise e fece tintinnare gli spiccioli nella sua tasca.
Io e Gutsby salimmo dietro e Hoskins schioccò con la lingua per far partire il cavallo. Era già da tanto che non facevo un viaggio su una vettura non motorizzata, anche a Londra, la città delle carrozze per eccellenza, le macchine avevano ormai preso il sopravvento.
L’aria era ancora gelida, ma io iniziai a farci meno caso e mi godetti la vista della città innevata. Dopo un po’ notai che il nostro già “ragguardevolmente losco” cocchiere continuava a mandarci occhiate un po’ ambigue e soprattutto interrogative verso Billy.
Io ovviamente avvampai e mi chiesi come cavoli faceva sempre Irene a rimanere sempre composta e signorile. uaQuasi sobbalzai quando senti il braccio di Billy posarsi dietro alla mia schiena, non mi cinse a se, ma percepivo bene il confortante calore del suo avambraccio.
Notai, da sotto le mie ciocche bionde, come Hoskins in risposta si girò verso di noi e alzò una sopracciglia, ma vidi anche il sorriso del nostro tuttofare.
Covent Garden era completamente addobbata e lucine colorate erano appese all’entrata del mercato. Ci dirigemmo verso il punto in cui vendevano alberi natalizi e proprio in quel momento notai una bancarella di cuffie e cappelli un copricapo violetto di feltro, con una piccola rosa di stoffa al lato. Fu una di quelle cose che vedi e sai che dovranno essere tue.
Purtroppo non avevo soldi con me e così tirai Billy per una manica verso la vendita di alberi: “Sarà per una prossima volta…” gli dissi. Ma lui sorrise e mi prese per mano trascinandomi di nuovo fino alla bancarella.
Pagò il capello e poi sempre sorridente me lo mise in testa. Le sue mani scivolarono lungo i miei capelli fino a fermarsi sul mio viso. I suoi occhi mi sembrarono più azzurri che mai. “Non avevo ancora trovato un regalo per te infondo.” mi sussurrò.
Questo piccolo momento magico fu interrotto bruscamente da un omone ubriaco con il naso rosso che si mise a cantare una stonatissima canzone natalizia. Io e Gutsby ridemmo di gusto, poi lui prese la mia mano nuovamente nella sua e andammo a comprare l’albero.
La nostra scelta cadde su un alto e forse un po’ smunto abete, che però mi sembro perfetto e che designammo ufficialmente come “nostro albero”.
E così, mentre il venditore era impegnato a dare istruzioni per legare l’albero su un carretto che ci avrebbe portato a casa, io e il nostro magnifico maggiordomo ci trovammo improvvisamente così vicini. Ed io se un secondo prima mi ero detta decisa che questa volta niente ci avrebbe potuto interrompere, rimasi comunque sbalordita quando le labbra di Billy sfiorarono le mie. Fu solo un tocco, come una carezza ad un petalo di rosa, ma mi ci persi completamente comunque.
Portammo a casa il nostro albero con le nostre dita intrecciate l’una nelle altre come i nostri sorrisi e quando sentii l’accogliente calore di Briony Lodge solleticarmi la schiena, mi dissi che quel Natale non sarebbe potuto essere più magico di così.
Poco dopo rientrò anche Lupin, anche lui sorridente, che ci aiutò con le ultime decorazioni e caricò addirittura Irene sulle sue spalle per riuscire a mettere la stella sulla punta dell’abete.
La sera e il buio arrivarono ad illuminare le lucine di tutta Londra ed io, insieme alla mia strana e bellissima famiglia, salutammo la nostra cuoca e le augurammo buon Natale.
Dopo essermi messa l’abito che avevo deciso di indossare per la festa, era bordeaux con dei ricami dorati e mi sentii più natalizia della renna Rudolf nel metterlo, scesi di sotto ed aiutai Arséne e Billy ad apparecchiare la tavola.
Lupin ci insegnò come fare diventare i tovaglioli dei bellissimi fiori come se fossero degli origami e con nostro grande stupore Sherlock mantenne la sua promessa e ci raggiunse in sala da pranzo con una faccia più o meno indifferente. Suonò addirittura qualche canzone di natale sul suo Stradivari. La cosa strappò applausi a tutti noi e alcuni sbuffi infastiditi da Holmes.
Ci sedemmo a tavola e, come era ormai diventata una tradizione, Holmes fulminò Gutsby con uno sguardo gelido, il quale si affrettò a raggiungerci con un timido sorriso.
Mary si era davvero superata. Come antipasto aveva preparato una mousse di salmone e noci tostate accompagnate da formaggio e olive, segui poi una zuppa di piselli e carote speziata con curry, un tacchino ripieno, un Waldsalad e come dessert un magnifico Christmas pudding(3). Il tutto era accompagnato da champagne per Irene, Sherlock e Lupin e sidro per me e Billy.
Dopo la cena mi sentii come una mongolfiera gonfiata ed ebbi l’impressione di non essere l’unica.
Passammo qualche minuto in un rilassante silenzio. Poi tutto quel cibo mi fece venire in mente una persona. “E Mycroft?” chiesi ad Irene. Sapevo che lo aveva invitato, ma non ne avevamo più avuto notizie, perciò dedussi che doveva aver rifiutato l’invito. Mia madre scrollò infatti le spalle.
Sherlock sbuffò: “Figurati se si farebbe la pena di alzarsi dalla sua poltrona, per una cena di Natale sicuramente no.”. Irene gli mandò un pungente sguardo d’avvertimento: non tollerava i soliti battibecchi tra i due fratelli Holmes. Lupin increspò le labbra in un sorriso e vidi che anche Billy si dovette trattenere dal sorridere.
Ma come si dice, quando si parla del diavolo spuntano le corna e proprio in quel momento qualcuno suonò il campanello.
Gutsby si alzò prontamente per andare ad aprire la porta e poco dopo si presentò in sala da pranzo il segretario di Mycroft Holmes, il signor Sydenham, già nel suo abito da festa.
Si schiarì la voce: “Sir Holmes augura a tutti voi uno splendido Natale e si scusa per la sua mancata presenza qui, purtroppo deve svolgere alcuni compiti per conto del governo del Regno Unito.”.
Holmes alzò una sopracciglia: “Mio fratello in pratica è il governo e non può permettersi neanche un giorno di riposo?”.
Sydenham gli rivolse un sorriso di scuse, poi proseguì: “Mi ha detto inoltre di consegnarvi questa lettera.” aggiunse.
Mi porse una busta di carta spessa di un debole azzurrino, poi ci fece gli auguri di buon Natale e se ne andò tanto in fretta com’era venuto.
Curiosa aprii la busta e iniziai a leggerne il contenuto.

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