Il morso

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Un fruscio. Un sussurro celato dal vento, una parola scritta nella cenere: la bionda chioma di Afrodite smuoveva a malapena le foglie sotto alla sua divina figura, spezzandone la composizione e svegliando con quella timida carezza la dea stessa.
Si alzò con la grazia tipica di una fanciulla nel fiore dei suoi anni e si stiracchiò, le membra feline che si allungavano e sfioravano qualcosa...
Afrodite sobbalzò, ritirando le mani e fissando la punta delle dita: erano fredde, sporche di nero, una polvere che si sgretolò non appena la dea ci soffiò sopra portandosi via anche le sue dita.
Sgranò gli occhi, spaventata, mentre vene inumane, oscure si espandevano per le sue braccia, veloci, ricoprendola per intero mentre un grido canoro lasciava le sue labbra ormai purpuree, senza vita:
"ARES!"
Ma l'unica cosa che le rispose fu una risata, una risata famigliare, mentre un ultimo sussurro abbandonava il suo corpo alla distruzione:
"Eris?"
"La gelosia, cara, ti consumerà.
La mela della discordia sul tuo capo cadrà."

Gli occhi di Afrodite si aprirono di scatto, il suo corpo che scattava come una corda di violino tagliata verso l'alto; si guardò intorno con l'espressione di un cerbiatto messo in trappola ma, non appena notò il colore scuro della sua pelle, si rese conto di non essere più sè stessa.
Lasciò il materasso che occupava non appena sentì il rumore di asce che venivano estratte, urla di donne e bambini soffocate subito dopo dal morso del ferro.
Uscì fuori dalla misera abitazione umana e l'odore acre di fumo la investì come un fulmine di Zeus, facendola cadere in ginocchio mentre si guardava attorno.
La sua città...
La sua città era in fiamme.
Troia era caduta, bruciava come una catasta di paglia secca esposta al sole per troppo tempo; la sua magnifica, invincibile protetta veniva saccheggiata senza pietà dai greci, ridotta a nient'altro che cenere, cenere, cenere...
Proprio come lei.
"Attenti!"
Afrodite riuscì a voltare la testa, umili lacrime umane a bagnare quel volto che non le apparteneva: un destriero roano stava galoppando nella sua direzione, furente, le narici che esalavano fumo e gli zoccoli che pestavano il terreno, indomiti, mentre le nere iridi si aggrappavano alla fragile figura della dea come fossero artigli.
"Ti prego, no!"
Fu l'urlo che lanciò questa volta Afrodite, tentando invano di richiamare i poteri divini e incantare lo stallone assassino; eppure la bestia non si placò, frenando la sua corsa di fronte a quell'essere inutile ed impennandosi con l'alterigia di un guerriero vittorioso mentre delle voci eteree riempivano la mente di Afrodite, cantando una melodia mai sentita prima mentre una sola di loro si pronunciava, severa nel decretare il suo verdetto:
"Quando la mela dalla buccia d'oro morderai
Con essa, la città di tuo figlio seppellirai
Distruggendo la patria del traditore d'amore
Offrendogli su un piatto d'argento il suo stesso cuore."
Afrodite sgranò gli occhi mentre, poco prima che gli zoccoli del destriero la liberassero da quel corpo non suo, una consapevolezza oscura si faceva largo nel suo cuore.

"BASTA!"
La maschera coriacea che nascondeva le sue vere fattezze si frantumò, il crine d'oro che si srotolava come una bandiera di pace sul campo di battaglia; la dea alzò una mano, perentoria, e un'onda come quella da cui era nata travolse il cavallo mortale, trasformandone lo scuro manto in legno ed immobilizzandolo per sempre, un colosso al cospetto della città in cui aveva tentato di uccidere una divinità; una statua possente nel centro esatto di Troia.
"Lo sai che non puoi sfuggire al destino, vero figlia di Zeus?"

La dea si voltò, rabbiosa, la passione che ne dipingeva le gote di rosso mentre ringhiava contro la Moira in questione, nonostante la sua natura guidata da un'ansia tipica dei comuni mortali di fronte alla morte imminente.
"Atropo. Cosa... Cosa vuoi da me? Che cos'è tutto questo?"
"Il tuo futuro, o amorevole grazia. Non era mia intenzione spaventarvi: sono solo una messaggera, il tramite usato dal fato per spezzare le sue stesse catene. Mi manda Cloto."
Afrodite si raddrizzò, enorme in confronto alla tessitrice del fato, le esili ma forti mani che si chiudevano a pugno per scongiurare quel terribile avvenimento, ricordandosi delle grida dei suoi protetti che riempivano le mura di Troia di morte, le foglie secche intorno a lei che rappresentavano le madri cadute, l'una dopo l'altra, per difendere invano i figli dalla schiavitù.
La veste scura della Moira si avvolse intorno alle due come un serpente nero, sinuoso, accogliendo tra le sue spire Afrodite mentre le mani pallide di Atropo si avvicinavano a lei, una vuota e una contenente un oggetto di modeste dimensioni: una mela dorata dalla fattura straordinaria, alla vista dura come l'elemento di cui era composta, ma la dea dell'amore poteva quasi sentire il suo dolce nettare bagnarle le labbra. Se le leccò, guidata ciecamente dal desiderio, ma la gelida voce della Moira la fece rinsavire, riportandola coi piedi per terra ed accarezzandole la schiena con un brivido gelido, fatale, ebbro di paura e sovrumanità.
"Scegli, Afrodite: affrontare questo destino... O sparire oggi stesso dalla vita dei mortali che tanto ammiri per la loro passione?"

La dea dell'amore indietreggiò, cauta, ma l'oscurità non le lasciò scelta; un ramo morto iniziò a crescere ai suoi piedi, calzante, mentre Afrodite chiudeva gli occhi al solo pensiero di vedere la sua amata Troia distrutta. Eppure...
La visione le giunse veloce, perentoria, spazzando via i suoi dubbi come fossero semplici scorie da buttare via: ai suoi occhi comparve Enea, ormai adulto, mentre uccideva con la sua lancia un nemico ben più possente di lui; una città che cresceva, dalle mura sempre più alte, prima in legno e poi in marmo, conquistando tutti i territori attorno alla collina su cui si ergeva senza mai arretrare.
Oh, quanto gloriosa può essere un premio per una sconfitta? Se tale era il destino di suo figlio allora la dea dell'amore avrebbe accettato qualsiasi conseguenza pur di farglielo vivere.
Riaprì gli occhi e agguantò la mela, il suo bel viso deformato dalla determinazione e dalla passione mentre mordeva la buccia dorata... Che non era proprio come si aspettava.
Quasi sputò quella polpa amara e dura, per niente commestibile, ma ingoiò comunque il suo orgoglio mentre, in lontananza, si sentivano i sospiri cauti di un animale notturno, poi quelli pieni di lussuria di una donna e infine di Afrodite stessa nel futuro, che sembrava preoccuparsi di qualcosa o di qualcuno.
Atropo digrignò i denti, la sua giovane forma distrutta all'improvviso dalla vecchiaia che le era più consona, essendo lei stessa figlia del tempo immemore e madre delle trame del destino.
Rimosse il mantello da intorno a loro e scomparve, ululando al cielo come se fosse un animale colpito da una freccia:
"Eri stata avvertita, figlia di Zeus! Ora pagherai le conseguenze della tua scelta!"
Una goccia cadde sulla divina veste di Afrodite mentre quest'ultima, incredula, chinava il capo per vedere che la mela era tornata integra ma non del tutto.
Sulla buccia temprata dalle forge di Eris stessa una frase greca era stata incisa dalle mani invisibili di Cloto, lasciando che il succo color carminio colasse da quelle ferite insanabili mentre Afrodite leggeva, sconvolta:

Η Τροία θα πέσει.
Troia cadrà.

[Brano per l'Halloween Contest delle Pantheidi e del Team_noir]

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 07, 2019 ⏰

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