Nel quartiere sgangherato in cui Eren viveva, veniva quotidianamente sottoposto agli sguardi avvelenati degli abitanti del posto, consci dell'indole incendiaria di quel giovane. "Il rissaiolo" l'avevano denominato, ed il modo in cui l'aveva scoperto dimostrava quanto, nella realtà dei fatti, quell'attributo non gli appartenesse in alcuna maniera.
-Capito fra'? Mia nonna ha detto che la vecchia rattrappita che abita nel palazzo di Jean... aspe', come si chiamava?- aveva appena iniziato la narrazione e già si era interrotto, smarrendosi in un dedalo di pensieri come al solito. -La signora...Goul, Geil...-
-Gaillard, Connie, non è tanto difficile.- lo rimbeccò il biondo, mentre si stendeva su un asciugamano d'occasione usato per rilassarsi al parco, approfittando del cielo limpido di un caldo giorno di sole. Doveva essere della piccola Mikasa, dati gli unicorni e le figure femminili stampate sopra, con tanto di bacchette alla mano tempestate di stelle e cuori.
-Esatto!- esclamò mentre si colpiva col palmo la coscia, rivolgendo poi uno sguardo divertito ad Eren che, cannuccia azzurra alle labbra, sorseggiava indisturbato il suo frappè al cocco.
"Il rissaiolo": ecco la nuova etichetta che avevano attaccato alla schiena dell'unico che in quel quartiere - senza annoverare Jean e Connie - non fosse in grado di far male neanche ad una mosca.
Come era finito a farsi considerare così?
Ciononostante, Eren riconosceva di non essere armato neanche di una sconfinata pazienza, anzi, essa pareva essersi assottigliata col tempo, camminando di pari passo con la frustrazione che le angherie subite avevano comportato. La risposta - e questo avrebbe dovuto riconoscerlo - era stata la violenza in certe occasioni, ma il giovane Jaeger proprio non riusciva a trovare uno strumento di ugual portata in grado di infliggere dei danni che non fossero calci e pugni. Come avrebbe dovuto rispondere, quando si era ritrovato messo all'angolo senza alcuna motivazione valida?
All'inizio, quando era ancora troppo ingenuo per poter controbattere a quel modo, si era limitato a subire, iniziando a nutrire una rabbia cieca nei confronti dei suoi aguzzini e di se stesso, maledicendosi di non essere in grado di difendersi. Poi, la situazione era mutata quando un giorno uno dei suoi compagni di scuola aveva insultato sua madre senza una ragione apparente, una beffa che poi era sfociata in allusioni a sua sorella più piccola. La sola idea che qualcosa sarebbe potuta accadere a Mikasa, era stata valida per gettargli le braccia al collo ed atterrarlo, tempestandolo di pugni.
"Il rissaiolo". Forse era vero, era un violento che si lasciava accecare dalle emozioni, lasciandosi pilotare da esse; o forse, semplicemente, si trattava di spirito di conservazione, una sopravvivenza a tutti gli effetti. Indipendentemente da tutto, Eren si era ripromesso che mai avrebbe emulato ciò che gli avevano fatto patire durante il corso di studi, a meno che non si trattasse di una risposta ad un danno subito.
E solo Dio sapeva cosa avrebbe combinato ad Armin Arlert che lo insultava ogni singolo giorno, sminuendolo sotto ciascun punto di vista, inconsapevole che il ragazzo avesse ottenuto nell'arco di soli tre mesi il diploma del conservatorio e che, soprattutto, fosse lui a generare quella melodia sopraffina, ineguagliabile, quando l'istituto cadeva nel silenzio tombale.
Se solo avesse saputo, forse avrebbe guadagnato il suo rispetto; forse, invece, sarebbe rimasto il poveraccio rinchiuso lì dentro per scontare una pena. Eppure Eren sosteneva che chiunque fosse la persona in questione, ella doveva essere rispettata nei limiti dei suoi diritti in qualità di essere umano.
Evidentemente, ciò non valeva per Arlert.
-Dio, ma sei tu che puzzi da far schifo?- aveva esordito quella mattina, portandosi due dita al naso teatralmente per far intendere ai compresenti quanto fosse riprovevole il tanfo emesso dal giovane. Ovviamente nessun odore inquinava l'aria, ma, nonostante ciò, fingere che quella problematica fosse reale quasi convinceva i suoi carnefici della sua esistenza.
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The last bar
FanfictionTUTTI I DIRITTI RISERVATI Levi Ackerman, come ogni singolo giorno, si rifugia nella sua routine costituita da metro, musica e sogni intrappolati in un passato amaro. Ed è proprio una mattina che, recatosi nella stazione parigina, ode in lontananza...