FACELESS

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Posso dedurre, dalla stazza e dalle mani grandi, che la persona davanti a me è un uomo, ma ignoro chi sia davvero. Ha il volto coperto, da una maschera raffigurante Bill Skargård, e un maglione natalizio. Lo trovo ironico.

Non ricordo come ci sia arrivata, ma sono nel bel mezzo di un'immensa pianura ricoperta di neve. Non riesco a muovermi, perché sono legata a una sedia ed essa è ben piantata a terra.

Vicino al tizio, c'è un baule rosso chiuso con un lucchetto a forma di lupo. È tutto molto strano, ma resto comunque apatica.

«Lisa», il vento da al mio nome una nota macabra.

Distolgo lo sguardo dalla faccia di lupo e lo poso su di lui. Non ho nulla da dirgli e la mia testa preferisce non sapere cosa vuole farmi.

«Sai perché sei qui?», la maschera non si muove mentre parla.

No, ma non ho intenzione di chiederlo. Non m'importa sapere perché e come morirò, non cambierà l'esito finale. Tanto vale non dargli la soddisfazione.

Aspetta qualche secondo, poi estrae dalla tasca dei pantaloni un mazzo di chiavi e si china sulla cassapanca. Ci sono almeno una decina di chiavi e, una a una, inizia a provarle.

Di tutte le possibili morti, che avevo immaginato nel corso degli anni, quella è davvero surreale. Forse, è per la scarsa credibilità del mio rapinatore che non sono terrorizzata.

Conto fino a dieci e, all'undicesimo secondo, riesce ad aprire il lucchetto.

«Sei pronta?», chiede con tono piatto.

Non sento né le gambe né le braccia, ma riesco a muovere tutte e dieci le dita, è strano.

Il finto Bill si drizza con la schiena e fa un passo avanti, divaricando le gambe. «Se non vuoi parlare, va bene. Lo farò io per entrambi.»

Serro la mascella e resto con lo sguardo fisso su di lui. Non cederò al suo sadico e distorto giochino. Ha scelto me, ma io sono più forte di lui.

Torna al baule e lo apre, rivelando l'interno nero. Dalla mia posizione non riesco a intravedere nulla al suo interno, così attendo che me lo mostri.

Fa sparire la mano al suo interno e tira fuori un foglio piegato. Se lo porta davanti e, con movimenti lenti, lo apre. «Non riesco più a vivere così, ho paura.» Alza la testa. «Riconosci queste parole?»

Mi suonano famigliari, ma non riesco a collocarle nei ricordi. In effetti, ora che rifletto, non ho molti ricordi prima di quel momento. So il mio nome, che sono una cameriera e che vivo a Quebec City. Ricordo i miei genitori, ma nessun amico o fidanzato, forse sono una tipa solitaria.

«Ok, proviamo con qualcos'altro.»

Torno con l'attenzione su di lui, ma spero di non ricordare. Il foglio è sparito e al suo posto c'è un coltello da caccia.

Alza la lama e, muovendola, riflette un raggio di sole che mi provoca fastidio agli occhi.

Abbasso la testa, ma il resto del corpo non riesco a sentirlo. Mi guardo e, solo in quel momento, noto che indosso una tuta nera da sci. Ero venuta di mia spontanea volontà in quel luogo, tuttavia, ignoro ancora il perché.

«Vorrei davvero che tu ricordassi, Lisa.» Il suo tono cambia quando pronuncia il mio nome, si addolcisce.

Fa alcuni passi avanti e mi raggiunge. Riesco a sentire il suo odore e, puzza di cane bagnato. Teneva il giubbino termico sbottonato e il cappuccio sulla testa, ma da vicino intravedevo una striscia di collo chiaro.

Alza il coltello in aria e lo conficca sulla mia coscia sinistra. Non sento niente, nemmeno un leggero fastidio. Ho il cuore che martella sul petto quasi volesse scappare, ma rimango impassibile. Se torturarmi non funziona, cosa potrà farmi se non uccidermi all'istante.

Attendo, ma lui sembra una scultura di ghiaccio. Di colpo vengo travolta dalla preoccupazione, avrebbero ritrovato mai il mio corpo? L'idea di non avere una degna sepoltura mi riempie di rammarico.

Finalmente, muove il braccio sinistro e sfila l'arma dalla mia carne. Inizia a sgorgare il sangue violaceo, macchiando la purezza della neve ai miei piedi.

Lo guardo, con tutto il disprezzo che riesco a provare, e lui mi volta le spalle. Torna al baule e lancia dentro il coltello, con stizza. Si abbassa, ma non riesco a vedere cosa stia prendendo. Si rimette dritto e chiude la cassapanca, riposizionando il lupo-lucchetto .

Quando torna a guardarmi, mi punta contro una pistola. È una Rivoltella e non ho idea di come io faccia a saperlo.

Il vento continua a soffiare e a creare dei piccoli mulinelli nevosi. Lui si avvicina e il mio fiato si fa sempre più pesante, formando delle nuvolette grigie.

Vedo la canna della pistola più grande, passo dopo passo, e mi preparo a morire.

Lui mi raggiunge e poggia l'arma sulla mia fronte. «Morirai, nello stesso modo in cui hai messo fine alla vita della mia unica figlia.»

Sbarro gli occhi e, nell'istante in cui lui toglie la maschera, io sussurro: «Papà?»

Spara.

«Lisa.»

Mi trovo a terra, in posizione fetale. Sento la morbidezza del tappeto e il calore nella stanza. È successo ancora e ho paura.

«Lisa, cos'è successo questa volta?», riconosco la voce lontana della mia psichiatra.

Apro gli occhi. «Sono morta.»

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 30, 2020 ⏰

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