Il mio lavoro

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Era un giorno piovoso, faceva freddo, tanto freddo, i miei vestiti erano sporchi e puzzavano, mi vestivo con poco, indossavo quasi tutti i giorni una maglia molto leggera e anche un po'stracciata, ormai diventata grigia per il duro lavoro; dei pantaloncini marroni, di stoffa, anch'essi diventati un po' grigi ma si intravedeva ancora un po' del loro colore originario; ai piedi indossavo delle scarpette di cuoio un po'usurate, camminavo storto, questo perché non erano le mie e infatti facevano molto male, erano strette e mentre il mio piede tentava di abituarsi e prendere forma nella scarpa, già divenne piccola poiché il piede era già cresciuto.
Ogni giorno ero obbligato a tornare in quella brutta e sporca fabbrica, ormai vivevo lì, non avevo né una famiglia con cui stare né tantomeno una casa in cui tornare. Gli operai più "grossi" -così li chiamavo- mi usavano come fossi uno strumento di lavoro, forse perché ero piccolo e mingherlino. Con il tempo iniziai a vedere altri bambini lavorare lì e questo mi rese felice, pensavo di potermi fare degli amici per poter tenere le mie giornate più occupate e gioiose. Per mia sfortuna però ogni giorno uno di quei bambini non si vedeva più, iniziai a pensare al peggio, iniziai a pensare che fossero ormai tutti morti. Non rimasi sorpreso da quel mio pensiero visto che mettevamo le mani in posti davvero assurdi e salivamo metri e metri da terra per costruire abitazioni, senza nemmeno le giuste precauzioni, se fossero morti sarebbe stato anche normale e forse un giorno o l'altro anche io sarei morto in modo atroce, dovevo solo aspettare.
La morte non mi faceva paura, anzi, forse anche solo il pensiero mi donava una sensazione  di pace e tranquillità  avrei aspettato pazientemente quel giorno solo per dire: "Ho fatto il mio dovere, ho lavorato, ho sofferto molto ma adesso posso chiudere gli occhi e riaprirli davanti ad un'eterna luce, luce di speranza e felicità, luce di vita eterna".
Iniziai a lavorare a sei anni, ma alcuni bambini iniziarono molto prima di me, l'igiene non era un granché e il nostro salario era molto più basso di quello degli operai grossi, anche se lavoravamo intorno alle undici o anche tredici ore al giorno. Mi ricordo ancora di quella volta che mi incaricarono di aggiustare un telaio mosso da energia a vapore, non sapevo cosa stessi toccando ma ricordo che fosse qualcosa di davvero cocente, mi ustionai la mano, sanguinai, fu una sensazione terribile ma presto vennero a medicarmi, rimasi quasi sorpreso dal loro interesse nell'aiutarmi. Non mi lasciarono nemmeno riposare, ritornai subito a lavorare. Passò un anno da quel tragico incidente e subito mi diedero un nuovo incarico, dovetti salire su delle impalcature molto poco stabili per costruire un'abitazione, sinceramente non capii  perché gli operai più grossi mi fecero salire lì con loro, forse pensavano che fossi diventato abbastanza grande e forte per quel tipo di lavoro, fatto sta' che ci andai di malavoglia. All'inizio non corsi alcun pericolo, anzi era anche abbastanza divertente, vidi tante cose da quell'altezza, tante luci, le luci di tutte le abitazioni che loro avevano costruito e che anche io stavo costruendo in quel momento. Non facevo niente di che, mi limitavo solo a passare alcuni attrezzi da lavoro ma poi mi fecero portare cose sempre più pesanti, così pesanti che persi l'equilibrio, caddi ,caddi con quei grossi e pensati mattoni che mi stringevano sul petto, senza lanciare il benché minimo urlo, cadendo guardai gli uccellini volare, il cielo, quel cielo sempre grigio ma in quel momento a tratti azzurro, fu una soddisfazione vederlo anche per un'istante di quel suo bel colore . I miei occhi brillarono per un momento, mi sentii leggero, libero, non ero così da tanto tempo. Ma ben presto tutto quello finì, chiusi gli occhi, pronunciai quelle parole che qualche anno prima prima mi passarono per la mente e mi feci abbracciare dal vento.

Sono solo un bambinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora