71. Certe notti

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(Dam's pov)

Agosto 2018

Eravamo in strada, in viaggio verso casa. Guidavo io la tua macchina, perché tu ti eri un po' lasciata andare tra un drink e l'altro.

Avevo una mano sul volante leopardato, l'altra sulla tua coscia nuda. In radio stavano dando "Certe Notti" di Ligabue, ed io l'avevo vista la malinconia che ti attraversava gli occhi.

La festa era finita, stava passando l'effetto dell'alcol, qualche pensiero stava tornando a tormentarti.

Guardavi il paesaggio buio che scorreva fuori dal finestrino. Non cantavi, non ballavi con i capelli mossi dal vento che penetrava dal vetro abbassato.

Qualcosa non andava, ma io ti conoscevo troppo bene e sapevo la risposta ancora prima di porti la domanda: tu, a casa, non ci volevi tornare, volevi restare in giro ancora per un po'.

Per quanto potesse essere bella quella canzone, se ascoltata in certi momenti, poteva essere davvero bastarda.

Mi aveva fatto pensare ad una birra bevuta sotto le stelle, o all'alba goduta seduto su un muretto con una sigaretta tra le dita. E a quel punto, a casa non ci volevo più tornare nemmeno io.

Quella notte non era ancora finita, potevamo ancora viverla. Potevamo ancora bere, ballare, fumare, fare l'amore.

«Mi porti a vedere le stelle?»

Non ci avevo pensato prima che me ne parlassi tu. Era la notte di San Silvestro, la notte delle stelle cadenti.

Guidai per un'altra ora intera. Ti portai in una spiaggia deserta e ti promisi che saresti riuscita a vederne almeno una.

Ti tenevo stretta a me per non farti sentire freddo. Il tuo sguardo scrutava il cielo della notte, anche se sempre più rassegnato.

Tu hai sempre creduto alla magia, e anche ai desideri espressi davanti ad una stella. Io non ho mai riposto molta fiducia in questo genere di cose, però credevo in te. Tu, Victoria, non potevi essere umana. Tu eri sicuramente una stella caduta dal cielo, perché ogni speranza, ogni sogno, ogni desiderio che ti avevo confidato, poi si era sempre avverato.

Avevi ancora la testa rivolta verso l'alto, e quel velo di tristezza che ti incorniciava gli occhi ti rendeva così fottutamente dolce.

Posai un bacio sulla tua guancia morbida e fredda, intrecciai le dita con le tue, e finalmente riuscii a distrarti dalla malinconia.

«Andiamo a fare un bagno?»

«Cosa?»

Ma tu eri già a riva e saltellavi per evitare che l'acqua fredda delle onde ti bagnasse i piedi.

Ancora non riuscivo a credere di non averti detto no, non riuscivo a credere di star assecondando di nuovo una delle tue pazze follie.

Eri già nuda quando ti raggiunsi. La luce della luna si rispecchiava sulla tua pelle un po' abbronzata. Sapevi sempre trovare il modo di lasciarmi a bocca aperta. Sapevi sempre come stupirmi, come farmi sentire più vivo che mai. Sapevi come farmi dimenticare lo scorrere del tempo, anche se ogni secondo in tua presenza era prezioso.

Sei entrata in acqua correndo, ma io ero più veloce di te e ti avevo già presa tra le braccia. I tuoi occhi sorridevano ai miei, sentivo i tuoi respiri caldi sulla pelle bagnata, mentre i peli sulle mie braccia si drizzavano per il freddo.

Le tue gambe erano strette ai miei fianchi e quel bagliore nel tuo sguardo mi stava dicendo che, probabilmente, la tua voglia di fare il bagno nudi si era tramutata in voglia di fare altro, sempre senza vestiti.

«Stai mettendo a dura prova il mio autocontrollo», ti sussurrai sulle labbra viola.

Quando poi quella fuori controllo eri tu, che approfittasti subito della situazione per mettermi la lingua in bocca.

Le tue mani accarezzavano i miei capelli bagnati, le mie ti tenevano stretta per non farti scappare via. Il tuo modo di strusciarti contro il mio corpo mi faceva venire ancora più voglia di amarti, di farti stare bene.

Tenendoti sempre più vicina a me, uscii dall'acqua e ti appoggiai sulla sabbia fresca.

Certe notti succede, succede per davvero. Si smette di pensare a tutto e si vive, mentre anche il mondo sembra scordarsi di te per un po' e ti lascia in pace, ti lascia vivere.

Basta trovare la persona giusta. Quella persona che sa prendere il peggio di te e trasformarlo in meglio. Quella persona che non sfrutta i tuoi punti deboli, ma se ne innamora. Quella persona che quando vuoi stare solo, non ti ci lascia neppure se gli urli contro tutto l'odio del mondo.

Con te, io non ho mai dovuto fingere. Senza maschere, senza timore, senza rancore. Ero semplicemente e solo me stesso.

«Che fai?»

«Disegno.»

Le tue dita solcavano la sabbia decise.

«Un otto?»

«È il simbolo dell'infinito», mi avevi corretto con la voce da saputella odiosa che mi faceva venir voglia di zittirti con un bacio.

«Infinito come la mia infinita bellezza?»

Ti eri voltata verso di me, con la faccia più buffa che tu abbia mai fatto, cercando di non ridere alla mia pessima battuta. Poi, però, mi hai sorriso.

«No, infinito come il bene che ti voglio.»

Bisogna viverla intensamente la notte, ogni notte. Perché certe notti non torneranno mai più.

Insieme Sempre || Damiano e Victoria ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora