Ho deciso di scrivere questo breve resoconto dei fatti svoltisi nelle scorse settimane su consiglio dei medici, per provare a mettere ordine ai miei pensieri, distinguendo la realtà dai sogni indotti dalla febbre. Temo tuttavia che ciò che sarà scritto qui di seguito sarà difficilmente comprensibile a una mente razionale, o almeno sarebbe da sperarsi, giacché le mie parole rischiano di avventurarsi in abissi oscuri e dimenticati dal genere umano, e minano le fondamenta non solo della civiltà ma della nostra stessa ragione.
Tutto ebbe inizio quando il vecchio Maggi riaprì il vecchio magazzino nel suo orto.
Era un ventoso pomeriggio di autunno, il sole tentava, risoluto, di respingere con i suoi raggi il gelo invernale, accendendo di tinte infuocate il panorama e le chiome rosseggianti della vegetazione. Al mio rientro dalle lezioni, mentre percorrevo il vialetto davanti a casa mia, scorsi il vecchio che armeggiava intorno al magazzino. Vestiva la sua solita divisa da lavoro, una rovinata tuta da operaio blu, cosparsa di macchie di grasso e vernice. Era rannicchiato a terra, appoggiato con il ginocchio al suolo, e stava inchiodando delle tavole per tappare i buchi che il tempo aveva roso nella struttura. Il signor Maggi era intento e non mi notò, e io sovrappensiero entrai in casa. Nei giorni seguenti le riparazioni del capanno vennero ultimate, le cianfrusaglie erano in parte ammassate in un angolo del giardino. Il vecchio Maggi era burbero e scontroso, ed era poco incline a parlare dei suoi affari. Normalmente non avrei prestato attenzione ai suoi lavori, ma la sistemazione del capanno in quel momento dell'anno e il nuovo e massiccio catenaccio che ne chiudeva le porte mi insospettirono. Non ne parlai con nessuno, anche perché i miei timori sarebbero suonati ridicoli e quasi sconvenienti, ma la riservatezza e la scontrosità del vecchio erano ancora più marcate del solito.
Questi piccoli particolari forse si radicarono nella mia mente senza che me ne accorgessi, o forse fu solo una coincidenza, ma la notte del 18 ottobre mi destai all'improvviso dal sonno. Uno strano rumore mi ronzava nelle orecchie, forse uno scherzo della mia immaginazione provocato dalla mia mente mentre fuoriusciva dallo stato di riposo, forse un brandello di sogno. Ciononostante mi alzai dal letto assetato e indispettito da quel brusco risveglio, e mi diressi verso il bagno per un bicchiere d'acqua. La casa era immersa nelle tenebre e nel silenzio delle ore notturne, mi muovevo piano per non destare gli altri e senza accendere le luci. Il corridoio era illuminato dalla luna che rifulgeva nella notte chiara e tersa. Mentre entravo in bagno il mio occhio cadde sulla finestra e da lì vagò oltre, fino a poggiarsi sul giardino del signor Maggi e in particolare sulla finestrella del magazzino. Con mia grande sorpresa una fievole luce illuminava la notte, proveniva dalla finestra del capanno che in quel momento era socchiuso. Mentre rimanevo sbigottito e incuriosito davanti alla finestra la luce tremolò, il signor Maggi uscì rapido, reggendo una torcia elettrica tra i denti. Con mano sicura e movimenti rapidi chiuse il catenaccio con il grosso lucchetto e, infilatosi la chiave nella tasca del lungo cappotto e ripresa in mano la torcia, rientrò in casa. Rimasi a lungo immobile e tentennate, divorato dalla curiosità e da un vago senso di ansia e inquietudine, forse causata dalla mia antipatia verso l'anziano, residuo di quel timore che provavo quando ero piccolo. Alla fine scrollai le spalle e con esse i miei sospetti. Mi dissetai e tornai a letto, non senza gettare una rapida occhiata alla sveglia sul mio comodino. Segnava le 2 di notte. Il mattino dopo uscii di casa di fretta, la notte agitata dai dubbi e dall'inquietudine mi aveva fatto saltare la prima sveglia e dovetti affrettarmi per non perdere l'autobus. Con la fretta e la luce del giorno i soliti impegni scacciarono i pensieri della notte precedente in un angolo della memoria. Le lezioni e le varie occupazioni in quel periodo si erano fatte più intense e per alcuni giorni quasi mi dimenticai della vicenda del capanno. Fu un avvenimento casuale e bizzarro a farmi ritornare in mente quella notte.
Era mattina presto e mi stavo dirigendo verso la fermata dell'autobus. Era un martedì, in mano avevo il sacco nero da lasciare presso il cassonetto e proprio lì vidi la signora Costa; in mano aveva una scopa con la quale spazzava dei rifiuti dall'asfalto. Bofonchiava tra sé e non appena la salutai lei mi riconobbe e, dopo aver ricambiato, non esitò a lamentarsi dello scempio ai suoi piedi. Mi disse che era stufa di pulire la spazzatura che maledetti gatti tiravano fuori lacerando i sacchetti, e aggiunse che ben presto avrebbe tirato la scopa in testa al signor Maggi se la cosa fosse andata avanti. Quando le chiesi come mai fosse sicura che il colpevole era proprio il mio burbero vicino lei indicò un paio di sacchi squarciati a lato del cassonetto. I sacchi erano pieni di ossa di animali e il tanfo che emanavano attirava ogni randagio del quartiere. Lei mi spiegò che erano sicuramente del vecchio, il quale aveva la stramaledetta abitudine di lasciarli fuori invece che dentro il contenitore. In questo ultimo periodo in particolare continuava ad ammassare sacchi pieni di ossa che Dio solo sa da dove prendeva.
Dopo aver salutato frettolosamente mi allontanai frastornato, lasciando la signora a bofonchiare le sue maledizioni. In seguito a questa scoperta la mia mente tornò immediatamente a interrogarsi sul bizzarro capanno e al suo misterioso contenuto. Quel giorno fui particolarmente distratto, la mia mente continuava a vagare e a fantasticare, tanto che decisi di affrettarmi il più possibile per arrivare a casa prima del solito. Quando arrivai a mezzogiorno in punto davanti a casa, camminai lentamente verso l'ingresso, lanciando occhiate circospette verso il giardino del signor Maggi, verso la casa e in particolare verso il magazzino, sempre muto e chiuso a chiave. La curiosità era troppa e quando notai che l'auto del vecchio non era parcheggiata in strada, decisi di tornare sui miei passi. La casa sembrava vuota e la mancanza dell'auto indicava l'assenza del proprietario, così entrai nel suo vialetto. Aperto il cancelletto della staccionata che delimitava il giardino, mi incamminai rapido e silenzioso verso il capanno. La porta era chiusa ma decisi di appoggiare l'orecchio sul legno tenendo il volto rivolto sulla strada. Quando percepii un forte ansimare dall'interno non potei trattenermi dal trasalire. Urtai la porta e dal capanno avvertii chiaramente un rauco verso che mi fece congelare il sangue nelle vene, udii delle catene tintinnare e qualcosa che si dibatteva furiosamente. A quel punto mi lanciai a velocità folle verso casa e mi chiusi dentro ansimante. Tirai un sospiro di sollievo per la mia accortezza nel chiudere il cancelletto del giardino del vecchio nonostante la fuga precipitosa, ma non riuscii a liberarmi della paura e dell'ansia che mi attanagliavano.
Non rivolsi parola a nessuno di quanto avevo scoperto, ancora ora non so perché non provai ad avvertire qualcuno o a cercare una spiegazione logica e razionale. Credo che qualcosa in quel verso avesse risvegliato in me una paura ancestrale e indefinita. Ignoravo quale fosse l'animale o l'essere bestiale che lo aveva lanciato, ma le catene e i resti dei suoi pasti trovati nei cassonetti mi convinsero senza dubbio che fosse una belva feroce e carnivora. Quella notte non riuscii a prendere sonno, me lo ricordo bene, ma prego ogni giorno che ciò che accadde da lì in poi sia solo frutto dei miei incubi. Tuttavia la scomparsa del signor Maggi e il mio ricovero in ospedale, dopo che, a quanto mi è stato detto, fui ritrovato il mattino seguente, svenuto e febbricitante, vicino al capanno, mi gettano nello sconforto. La mia mano trema nello scrivere a parole quello che vidi.
Comunque ecco quello che vidi.
Come ho detto il sonno non arrivava e mi trovavo ad aggirarmi inquieto in camera mia, mentre tentavo vanamente di leggere qualcosa che mi stimolasse il sonno. Ad un certo punto sentii nettamente un rumore a me terribilmente noto, era il suono che avevo già avvertito in passato e che mi aveva allora già destato. Corsi in bagno freneticamente e dalla finestra vidi la luce nel capanno. Rimasi impietrito e incerto sul da farsi. Quando però notai che la catena era sciolta e la portaù era socchiusa, non riuscii a trattenermi. Mi precipitai a vestirmi e scesi le scale in fretta e furia, lanciandomi fuori dall'ingresso. Probabilmente fui più rapido e silenzioso di quanto mi ricordo, dal momento che nessuno si svegliò chiedendomi cosa stessi facendo e soprattutto dove andassi nel cuore della notte. In preda a una strana euforia mi intrufolai nel giardino del signor Maggi, mi avvicinai alla porta del capanno e la aprii quel tanto che bastava per lanciarvi una rapida occhiata. Quello che vidi mi sconvolse, La stanza era spoglia e vuota, salvo per un tavolo colmo di libri strani e volumi incartapecoriti, tra le pagine vi erano fogli svolazzanti con strani simboli blasfemi e fortunatamente oggi perduti. Il signor Maggi era in piedi al centro della stanza e mi volgeva le spalle, lo riconobbi dall'aspetto perché le parole o meglio i suoni bizzarri che emetteva, appartenenti a non so quale lingua pagana, mi facevano dubitare della sua natura umana. Ma l'orrore che stava di fronte a lui, incatenato, fu ciò che mi fece piombare a terra svenuto per il terrore. Era un essere dalle forme vagamente umanoidi, tuttavia la sola lontana e vaga somiglianza con il genere umano è la cosa più ripugnante. Le braccia erano lunghe pelose e artigliate, dalla base del torso umanoide di colore violaceo scendeva una folta peluria che lasciava intravedere zampe caprine, e il volto, mio dio, quello che chiamiamo volto era pura bestialità, un misto tra un incubo e un caprone, zanne bavose e più occhi brucianti di puro odio e ferocia. Quello che vidi e sentii infine, prima di perdere i sensi, mi indicano quello che non voglio credere riguardo la scomparsa del signor Maggi. Il mio ultimo ricordo, la sua faccia deformata dal terrore che si volta verso di me non appena avvertì la mia presenza, quel rombo e lo stridente spezzarsi delle catene unite alle chiazze di sangue rinvenute nel capanno non lasciano spazio ad interpretazioni speranzose,
Non so perché io fui risparmiato. Forse la creatura preferì la fuga e la libertà alla mia carne, o forse gli fu sufficiente fare scempio del suo padrone. Non lo saprò mai.