«Le mani di Dario continuavano a scorrere lungo la schiena dell'altro. Veloci. Fameliche. Non riusciva a rallentare. Sotto i polpastrelli poteva avvertire la pelle di Nicolas tremare, scossa dal battito irrefrenabile del suo cuore. Voleva toccarlo tutto, ogni lembo di pelle, ogni centimetro doveva essere conosciuto al suo tatto. Scese più giù, sostituendo caldi baci alle dita; poteva sentire il suo profumo...»
«Ma la vuoi piantare?» sbraitò improvvisamente una voce.
Angelica, con aria innocente, alzò lo sguardo verso la sua amica: «Cosa c'è, ti scandalizzi per così poco?»
Emilia sbuffò, levando gli occhi verdi al cielo: «Si dà il caso che io sia venuta qui per studiare».
«Un attimo di pausa non ha mai ucciso nessuno. E poi hai l'esame tra due mesi, che fretta c'è?»
«Angè, se devo stare qui solo per sentire le tue stupide storie d'amore, sdolcinate e tra l'altro con trame sterili, torno nella mia camera».
«Quanto sei noiosa...» sospirò la bionda, prima di riprendere a leggere ad altra voce: «Poteva sentire il suo profumo, quell'aroma che avrebbe riconosciuto tra mille. Sapone, muschio, pioggia. Un'inconfondibile essenza che gli procurava una morsa allo stomaco».
«Angè...»
«L'idea di averlo lì tra le braccia, in suo totale potere, lo inebriava. Non credeva che avere il controllo di una persona in quel modo potesse essere tanto soddisfacente».
«Angelica...»
«Vederlo sospirare, sentirlo fremere, era qualcosa che...»
«Ora basta!» La mora si alzò. «Piuttosto vado a mettere a posto in cucina, ma non ce la faccio più a sentire queste scemenze». Presi i libri, uscì dalla stanza con fare sbrigativo, lasciando l'amica sdraiata sul letto con il computer davanti, intenta a finire la sua lettura.
In cucina era tutto un disastro: piatti e bicchieri erano affogati nel lavandino colmo di acqua, padelle sporche ingombravano i fornelli e la tovaglia, ancora appallottolata, era stata abbandonata sul tavolo.
«Angè, possibile che lasci ogni volta questo casino?» sbuffò. «Tanto sono sempre io a dover pulire, eh?»
Non se la prendeva davvero per queste cose. Angelica era la persona più sbadata che conoscesse: sempre con la testa tra le nuvole, sempre a pensare a qualcos'altro. Era ingenua, con una mente semplice, ma mai cattiva. Nonostante quella convivenza fosse talvolta esasperante, Emilia le voleva bene come a una sorella.
Si erano prese fin da subito, dalla prima volta che si erano incontrate. Così diverse eppure così simili.
Istintività e pianificazione. Morbidezza e durezza. Fiducia e sospetto.
Si erano trovate e si erano scoperte. Ed erano rimaste, l'una per l'altra.
Con le mani immerse nell'acqua, alla ragazza venne da sorridere pensando all'ultima ossessione dell'amica. Da mesi, ormai, viveva dipendente da un gruppo di ragazzi bolognesi che creavano intrattenimento sul web, giovani, di pochi anni più grandi di loro e -anche se Emilia non lo avrebbe ammesso mai- piuttosto simpatici.
Non era tanto quello che facevano a coinvolgere le persone, quanto il modo. Sembravano gli amici che si possono incontrare al pub, quel gruppo di cui vorresti far parte perché sai che con loro staresti bene.
Erano genuini, spontanei. Di un fascino intelligente. Capaci di creare qualcosa di nuovo e diverso, ma senza troppe pretese.
Ma il troppo storpia, e vivendo con i loro video in sottofondo tutti i giorni, avendo loro come argomento di quasi tutte le conversazioni, Emilia aveva iniziato a non sopportarli più.
Ad aumentare questo senso di nausea, erano spuntate come funghi anche quelle fanfiction deliranti, piene di amori non corrisposti e trame che non avevano né capo né coda.
E alla ragazza quelle storie non piacevano. Non perché ci fosse qualcosa di male nello scriverle, ma non riusciva a spiegarsi come fosse possibile che così tante persone potessero perdere la testa a quel livello per dei ragazzi, in fondo, come tanti altri. C'era forse qualcosa in più in loro che a lei sfuggiva?
A distoglierla dai suoi pensieri fu il suono del campanello.
«Angelica, vai tu?». Dalla camera nessuna risposta, se non un insieme di voci indistinte. Stava sicuramente vedendo un loro video. «Angè, sto lavando i piatti, per favore!»
Niente.
Maledicendosi di avere una coinquilina come la sua amica, Emilia andò ad aprire alla porta, imprecando contro qualsiasi essere, umano e non. Il campanello suonò una seconda volta, più insistentemente.
«Arrivo, arrivo» urlò, nella speranza che chiunque stesse aspettando avesse la pazienza di attendere ancora qualche secondo. Guardò dallo spioncino, ma non vide nessuno.
Sbuffò, evidentemente avevano fretta. Pazienza.
Non fece in tempo a dare le spalle alla porta e a fare un altro passo che il campanello trillò nuovamente.
Guardò ancora dal piccolo foro senza, però, trovare nessuno dall'altra parte. Eppure, questa volta aveva fatto passare solo un paio di secondi.
Fece di nuovo per voltarsi, ma al terzo squillo non resistette più. Aprì la porta e strepitò: «Mi state prendendo in giro?»
Si pentì quasi subito. Nel pianerottolo di fronte al suo appartamento regnava un silenzio imponente, e la sua voce riecheggiò per la tromba delle scale.
Dell'ospite, (ormai) non gradito, nessuna traccia.
Solo mentre richiudeva la porta, si accorse di un oggetto ai suoi piedi. Era un pacco piuttosto grande, ricoperto di una carta marrone grigiastra, e chiuso da uno spago che passava su tutti i lati e si concludeva con un fiocco sul dorso. In alto a destra erano attaccati quattro o cinque adesivi che ricordavano i francobolli, anche se di dimensioni, forme e colori differenti l'uno dall'altro.
Non c'era mittente né destinatario, solo una scritta:
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Shattered space ||Space Valley||
FanfictionI suoi occhi si posarono su quello che da lontano intravedeva come un banchetto, una bancarella forse, la cui insegna riportava a caratteri cubitali: TORTELLINI. Ma a gelarle il sangue fu vedere chi fosse il venditore: un polipo dai tentacoli azzurr...