rolex e vodka sotto le luci a neon

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Era stata una pessima idea, si era detto.

Traspostato lì da quell'imbecille del suo migliore amico - nome Tooru, per gli amici Puttana - si era ben presto accorto dell'errore madornale che aveva commesso; forse un po' se lo meritava, aveva dato ragione al suo stupido senso di colpa e mortificazione - che spesso ritornava a bussargli alla porta quando rifiutava quel faccino rompipalle di un certo bruno fissato con le maschere per il viso all'avocado - mentre la sua coscienza, giustamente, gli aveva assolutamente vietato di accettare l'offerta di girare fino alle 2 di mattina fra locali e discoteche a darci dentro. Ora, in quel posto sgangherato e pieno di disordine, l'unica cosa lontanamente attizzante della proposta di Tooru era il vetro che aveva di fronte da più di dieci minuti, l'odore di alcool ormai aleggiante nell'aria.
Luci a intermittenza di colori neon troppo forti, corpi stipati e sudati sulla pista da ballo, bicchieri di plastica per terra lasciati al loro proprio destino, musica sparata al massimo volume mentre le casse acustiche facevano tremare tutto il palco e la postazione del dj con dei bassi assordanti.

Sì, Tooru era una di quelle persone che il sabato sera si divertiva ad ubriacarsi e a ballare fino allo sfinimento; avete presente quei film americani scadenti in cui la parte più interessante è il limone dei due protagonisti fatto in mezzo a una folla di ragazzi fomentatissimi? Ecco, più o meno la situazione era quella, solo con meno ormoni in giro per la sala.
Makki, pur sempre essendo un tipo da festa e comunque reputato uno spirito libero, in quel momento, però, non era in vena di divertirsi: stava studiando oramai da giorni, imbucato in camera sua, ricoperto di libri e fogli di appunti volanti - che si ostinava a non mettere ordinatamente in un raccoglitore decente - con un esame maledettamente importante a breve. Insomma quando aveva incominciato l'università si era già immaginato la fatidica scena in cui a un giondo da una prova dannatamente difficile si sarebbe ritrovato a trangugiare gelato al caffè piangendo, ma almeno in quella straziante visione non aveva l'emicrania per i troppi drink e non era sul punto di vomitare. Una situazione penosa, per poi non parlare dell' improvviso tradimento da parte del suo ora ex-ragazzo - per chi gli volesse dare fuoco, a quel bastardo, il suo nome era Kenji Futakuchi, stanza del dormitorio della facoltà di scienze sociali n 567, capello costantemente laccato e carattere da mettere sotto con la macchina - che era stato beccato a farsi la sua vicina di camerata quasi una settimana prima.
Insomma una giornata di merda se così la possiamo chiamare - e sarebbe anche ben lecito e giusto dirlo - quindi a quel punto l'unica cosa che Takahiro pensò di fare, o meglio la parte più lontana del suo subconscio razionale propose, fu andarsene da quel tugurio, lontano dall'afosa pista da ballo, e rientrare a casa per buttarsi a letto a piangersi addosso...

Ma chi vogliamo prendere in giro.

Dopotutto avrebbe comunque dovuto aspettare Oikawa, rivenirlo a prendere quando lo avrebbe chiamato e il bruno gli avrebbe risposto "mamma sono diventato donna, ora sono incinta" e con tutta la fila che c'era ai camerini per riprendere un solo cazzo di giacchetto era inutile sprecare il proprio tempo a sbraitare contro i proprietari del locale per recuperare le sue cose. Quella sera, quando ancora era convintissimo nel voler uscire e rimettersi in gioco prima di crollare seriamente per le troppe delusioni della vita e il troppo stress, si era anche sforzato di truccarsi per bene - con Tooru che continuava a tirargli palette su palette per il fondotinta e che si lamentava che quelle che aveva lui erano troppo stile drag queen - si era risistemato la faccia e i capelli come meglio poteva per non parere il cencio qual'era diventato in meno di un mese e aveva deciso di andarci pesante con il vestiario, se doveva andare a spaccarsi per forza almeno ci sarebbe andato con stile. I leggings strappati e attillati che gli arrivavano sopra la vita, neri, delineavano benissimo quelle che erano le sue lunghe gambe sinuose - non andava in palestra ma aveva da sempre avuto la sculata fortuna di sembrare anoressico e non prendere peso, anche se mangiava dalla mattina alla sera - e la maglietta infilata dentro e sbusata fuori gli dava un certo non so che di carino, certamente non l'aria aggraziata che spesso e volentieri gli donavano i suoi enormi maglioni a collo alto. A questo proposito le catene che si era messo al collo, gli appuntiti piercing sulle orecchie e gli stivali al polpaccio borchiati erano al quanto intimidatori e non aiutavano per niente il quadro generale che aveva durante il giorno, ma se dobbiamo essere sinceri nel complesso facevano la loro sporca figura.
Seduto ora al bancone del bar, la superficie elegante quasi completamente tutta occupata da shottini e vetri infranti di qualche ubriaco marcio, si era rassegnato a una serata in fallimento, che sarebbe andata avanti con il solo divertimento di scrutare la folla cercando di rintracciare quel parapleugico di Oikawa - stava pregando tutti gli dei che al suo amico non venisse la brillante idea di salire sul palco del locale, dove adesso annunciavano l'inizio di una competizione di karaoke - bevendo almeno due bottiglie di gin e brandy, tanto per sbronzarsi un po' anche lui.

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