Capitolo 9

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<<Leoon! Leoooon!>>, urlava sbattendo il pugno sulla porta di casa. <<Leon ma dove sei?!>>

Sentendo chiamare, Leon si avvicinò all'ingresso. Non sapeva chi aspettarsi. <<Ecco ecco>> disse, finché non smise, una volta aperta la porta.

<<Oh, finalmente! Era più di dieci minuti che chiamavo. Ma dove eri?!>>

"Che bello", pensò subito, "Per fortuna c'è chi nonostante tutto non cambia mai".

<<Non ti avevo detto che dovevamo vederci oggi? Sono quasi tentata di andare via e non scriverti per un mese!>> disse, mettendosi in viso l'espressione più imbronciata che riusciva a fare.

<<Oh, ma dai, non mi dirai che pensavi che me lo fossi dimenticato spero>>, rispose con un sorriso, il primo vero sorriso dal suo ultimo "viaggio".

<<Beh non mi rispondevi, o eri morto o te n'eri dimenticato. Tra le due opterei per la prima se potessi scegliere ma a quanto pare era la seconda...>>

<<Su dai, muoviamoci o la tua incoscienza ci farà fare tardi>> rise, e uscì dalla porta, chiudendosela alle spalle. Lei lo seguì giù per le scale, aprì il portone e se lo ritrovò sulla sinistra. Lui la fermò, le diede un lieve colpettino sulla fronte e, correndo via sorridendo, si disse tra sé e sé "Mi sei proprio mancata, Clara!"

Erano giorni che si erano detti di uscire, ma tra una cosa e l'altra non erano riusciti a farlo. Non sapevano neanche dove andare. Volevano solo stare un po' insieme, cosa che non avveniva più tanto spesso, a quanto risultava a Leon. Passarono davanti diversi negozi di dolciumi prima di decidere dove fermarsi: Clara amava i dolci, da sempre, fin da quando il padre glieli portava a casa dopo il lavoro, come premio per essere rimasta sola a casa senza piangere. In realtà, gli confidò un giorno, lei piangeva, eccome se piangeva, ma questo non lo dava a vedere: suo padre doveva essere certo che almeno sua figlia stava bene, soprattutto quando lui non c'era, il che capitava più volte di quanto lui stesso si aspettasse una volta accettato il nuovo lavoro; l'unica cosa che lei poteva fare era accettare con gentilezza quel dolcetto preso solo per lei, e di ciò ne era felice. Il ragazzo, d'altronde, la ammirava: non aveva mai dato pensiero a suo padre, non lo aveva mai fatto preoccupare, mentre lui, al contrario suo, aveva anche troppo di cui incolparsi. Aveva perso il conto delle persone a cui doveva delle scuse; scuse che non sarebbero state mai né accettate né rifiutate: cosa c'era da scusare?

"Non è di certo colpa tua se non ho mai avuto figli maschi, ragazzo", gli disse un giorno la madre di Gianluca, uno dei ragazzi scomparsi per mano sua. Gli bastò quella singola risposta per cessare ogni tentativo di scuse. Aveva conosciuto molte persone che si scusavano per cose mai confessate, sapeva di amici della madre che, non avendolo fatto quando i genitori erano ancora in vita, erano arrivati troppo tardi. Ma quello ancora poteva avere significato. Le sue, di scuse, sincere o meno, anche se tardi, non potevano che non essere capite. Come poteva accettare la sua confessione di rammarico a qualcuno, quando quel qualcuno non sapeva neanche se trattarlo come un pazzo o un farabutto? Aveva deciso di fingere di essersi dato pace, almeno nei momenti in cui non era da solo. Decisione presa più per sopravvivenza che per semplice necessità. Con Clara era felice, con lei era più semplice mettere da parte il tutto per un po'.

Passando per negozi, si imbatterono in un cartellone pubblicitario, che annunciava l'arrivo del circo in città.

<<Leon! C'è il circo!>>, le brillavano gli occhi. <<Andiamo. Ora.>> disse all'imperativo. <<Sono anni che non ci vado, e lo spettacolo inizia tra poco. Se per colpa tua facciamo tardi ti strozzo>> disse col sorriso. Lo prese sottobraccio e si mise a correre. A Leon sembrava una scena presa da un film sdolcinato e romantico, e al solo pensiero si irrigidì.

Arrivarono in anticipo giusto di pochi minuti e si ritrovarono seduti sulle scalinate di legno posizionate ad anfiteatro in men che non si dica. Ancora con i biglietti in mano e stanchi, si abbandonarono all'immaginazione: sarebbero entrati elefanti, cammelli, giocolieri col fuoco, tigri più grandi di loro e trapezisti in grado di volare sopra le loro teste. Tutta l'infanzia di Clara era racchiusa in quel posto, pronta a tornare a galla tra i ricordi. Al contrario, per Leon era come fosse la prima volta, dato che l'unica volta che andò ad uno spettacolo al circo era troppo piccolo per ricordarselo. Si abbassarono le luci, vennero illuminati il centro del sipario e dell'arena.

Non ci volle molto per stupirli. Il primo salto mortale degli atleti che per primi entrarono dal tendone per presentarsi suscitò subito un "WOW" di stupore alla ragazza. Era proprio come lo ricordava, un posto magico ricco di meraviglie, lì di fronte a lei. Inoltre, si era fatta accompagnare da Leon. Guardarono le magie e gli atti di coraggio di quegli uomini e donne affascinati; ma Clara cominciò ad avvertire un mal di testa prima lieve, poi sempre più forte. Non voleva rovinare l'uscita, cercò di trattenersi, guardava Leon divertirsi e non voleva essergli causa di dispiacere, soprattutto considerando la sensazione che aveva da un po' di tempo a quella parte: era come se avvertisse il suo malessere; sapeva che c'era qualcosa che non andava in lui, lo vedeva soffrire dentro di sé, ignara completamente del motivo o dell'importanza di esso. Da quando avevano lasciato casa, non gli aveva tolto gli occhi di dosso quasi mai, voleva essere sicura che stesse vicino a lei, e che rimanesse sorridente ancora un po'; voleva convincersi che erano solo sue fantasie. Una voce in lei, però, diceva il contrario: non era un flusso di coscienza astratto ma... Quasi una vera e propria voce. In mezzo a tutto quel trambusto, ai giocolieri che facevano roteare oggetti in aria e gli schiamazzi del pubblico, lei riusciva a distinguere chiaramente la voce di alcune persone. Tutto ciò non aveva senso, le sembrava di sognare, e svegliarsi a quel punto e dover constatare che si trattava solo di un sogno... non voleva proprio che accadesse. Non era un sogno, però, ne era piuttosto convinta. Ma quelle voci non se le stava di certo immaginando; le sentiva sempre più forti, ma erano tutte sovrapposte le une sulle altre, e non capiva a quale di esse doveva dare retta, o come fare. Con uno sguardo verso sinistra, notò che Leon era troppo preso dalle luci e dall'atmosfera per rendersi conto di qualcosa. Sfruttò il momento propizio. Levò le mani sin fino alle orecchie, le chiuse, chiuse anche gli occhi, e tentò di dare un volto... o per lo meno un senso! a quelle voci. Il rossore quasi arancione delle palpebre chiuse illuminate dalle luci dei proiettori del circo non le permisero di ritrovarsi in un buio a sé stante, ma riuscì comunque a concentrarsi. Vide un volto: un ragazzo alto, moro, occhi castani... Diceva di chiamarsi... Federico...? In qualche modo le parole delle altre "presenze" intorno a lei si affievolirono, lasciandole la possibilità di capire con chiarezza cosa volesse dirle quel ragazzo. Si concentrò ancor di più, si isolò, e ciò che ruppe l'assoluto silenzio fu: "LEON CI HA FATTO QUESTO STAI ATTENTA AIUTACI PER L'AMOR DI DIO SALVACI È COLPA SUA NON TI FIDARE...", parole, pezzi di pensieri urlati con una forza impressionante riempirono improvvisamente quel vuoto che con tanta precisione era stato creato. A questo, si aggiunsero man mano tutte le altre voci, le scoppiava la testa, non ce la faceva più, moriva dalla volontà di scappare e allontanarsi da quel dolore, da quelle... anime... prese dalla disperazione, nelle quali non avvertiva altro che assenza, vuoto, un impercettibile segno di esistenza rubata. Si sentiva implodere. D'istinto spinse ancora più forte le mani sulle orecchie per smettere di sentire quelle grida di aiuto, ma ciò non accadeva e non si riusciva più a trattenere dall'urlare a sua volta di disperazione, la loro stessa disperazione, e quindi gridò, gridò più intensamente che poteva; mise in quell'urlo tutte le sensazioni che sentiva, che le appartenevano e non, le fece arrivare il più lontano possibile, fino a sovrastare le parole incessanti di quel Federico e di chi intorno a lui. Smise solo quando fu sicura di essere sola, nella sua testa, di essersene riappropriata completamente. Si fermò, e con lei, tutti i presenti nel tendone del circo.

Il gioco dell'inesistenzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora