anche oggi, voglio aspettarti.

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Ormai era diventato iconico. Ogni giorno, i movimenti erano diventati meccanici, le ginocchia e le braccia avevano vita propria, l'avevano sottratta a quell'esile corpo che non era altro se non carne sfregiata dai suoi stessi arti.

La lama è un'estensione delle dita.

La penna ferisce più della spada, e così Seulgi si graffiava con la biro. Che scenario peculiare. In una prossima vita, sarebbe rinata come cane o maiale?

Sarebbe stata una schifezza, comunque. Uno di quegli esseri che meritano solo di strisciare e soffrire come topi da laboratorio. Unnie!

Meritava sicuramente di essere una farfalla. Una di quelle con le ali costruite di pregiudizi altrui. Una di quelle intrappolate in lanterne chiamate senno e che sono stanche di vivere.

Come i bambini che sono ancora tristi dopo che li abbracci. Come il sangue che rimane sangue, sul letto, dopo che le lenzuola sono state lavate.

Tremolante.

Voleva essere rinchiusa per sempre in quel bagno, lurido, bagnato, contornato da rosso doloroso. Fa così male sapere di non poter scappare da quell'infausto sentimento.
Chi era? Forse un'altra delusione.

Alzatasi intravedeva dalla finestra gli alberi grigiastri e Joohyun che ballava nel giardino curato. Le piacevano i fiori. Le ricordava i tempi in cui li infilava in mezzo ai buchi delle calze quando usciva a comprare i mochi.

Sorrise, con le lacrime agli occhi, vedendo quel viso pallido e quelle guance e naso rosa come pesche. I capelli neri, lunghi e fluenti svolazzavano al ritmo di una canzone neomelodica di un musicista per lo più sconosciuto, e teneva gli occhi chiusi, forse per sfuggire al senso di colpa che la pervadeva ogni qualvolta dovesse avere un minimo contatto visivo con la più piccola.

Perché stai così male, Unnie?

Perché la vera sè, se stessa, ora era lì.
La vera Seulgi era quella che si nascondeva nel bagno a piangere. Sempre lurida, bagnata di rugiada, voleva comunque aspettare il suo arcobaleno.
Aveva gli occhi di chi ha smesso di credervi ma continuava a sperarci.

Anche se il Paradiso non esiste, nel profondo dell'acqua,
prega per il futuro.

Raccolse da terra il coraggio e il taglierino, si sistemò la canottiera azzurra e uscendo dalla sua piccola casa infernale, tirava su col naso e ingoiava le lacrime.

Un antidoto per l'anima, un dolore meno  amaro per convincersi di poter stare meglio.

Era così eterea. Mentre la guardava ballare si visualizzava tra le sue braccia, accarezzando la candida pelle.
Dannazione se voleva morire. Voleva morire.

Il mondo le aveva dato un'occasione, a casa di sua nonna, con una corda trovata in una scatola. Il nodo lo sapeva fare. Bastava legarla al tubo di ferro dello scarico, mettere il suo cappio e saltare giù dal gabinetto.

Però faceva paura. Faceva troppa paura.
Lei che ci pensava giorno e notte, si sentiva tremare al solo pensiero.
Era così inutile. Un ammutinamento del proprio cervello.
E forse era vero che il mondo le andava contro.

Però poi guardava Joohyun e pensava che il suo dolore era nulla in confronto a quello della sua amata, e si sentiva ancora più persa.
Non poteva neanche soffrire.
Non poteva neanche andarsene come si deve e all'inferno ricevere la sua punizione.
Sì, perché ormai per lei non esisteva più speranza, né terrena, né divina.

Lei non poteva salvarsi.
Tutto quel dolore, tutto il rammarico, era predestinato ad esistere.

Poteva semplicemente piangere, e disegnare sogni sulla sua pelle.

Sono la mia ragazza felice.
Sono la tua ragazza felice.



n/a
i sogni sono inutili.
ho lo sporco nelle vene.
io sono seulgi.
Lice, 21:41, sfogo n°337.

𝖐𝖎𝖐𝖎𝖒𝖔𝖗𝖆.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora