Erano le 2 di notte, ma avrebbe potuto essere qualsiasi altra ora, non me ne sarei comunque accorta. Era davvero come se il mondo si fosse fermato. Quando senti le parole della gente che si innamora, quando guardi tutti quei film in cui lui parlando di lei ricorda un momento esatto della sua vita, un momento che rimane fisso nella memoria che a confronto l'ultima notte prima degli esami, il primo bacio dato alla persona sbagliata, lo studio, il lavoro, tutto diventa solo un pensiero sbiadito. E invece quello no, quello resta vivido come l'avessi provato tre minuti prima, non un secondo di più, né uno di meno. Chissà che avrà sto numero tre però non lo so, per me è così, tre minuti dopo ricordo quella cosa appena successa, tre anni dopo penso a quanto tempo sia passato, trentanni dopo penserò che sarà passata un'intera vita, una generazione addirittura. Oppure il 3 era il voto più temuto a scuola, o anche non c'è due senza tre, i tre moschettieri, il terzo giorno è resuscitato, tre giorni alla maturità, tre anni alla laurea. Insomma sto tre mi perseguita. Fatto sta che quella gente, quella innamorata, quella dei film ha proprio ragione. Hanno ragione quelli che restano imbambolati quando lei, quella lei che da quel momento e per tutta la tua vita saprai che sarà sempre un po' la tua lei, quella che ti fa cadere dalla bici per quanto ti fossi fissato a guardarla o che ti fa sbattere contro un palo, incrocia il tuo sguardo da pesce lesso innamorato. Ecco. Quella notte è successo a me, anche se non sono caduta, non ho rischiato di sbattere ad alcun palo, per fortuna, e lei mi aveva già guardata altre volte. Nel mio caso è stato tutto più statico, io ero in piedi ferma, lei sul muretto che proprio l'altro giorno le ho detto essere il 'nostro muretto'. Certo, sarei potuta cadere in terra lo stesso, e avrei potuto narrare che l'amore mi colpì e caddi (rovinosamente al suolo avrei di certo potuto dire conoscendo la mia solita grazia) come corpo morto cade, un po' alla Dante Alighieri che quando il sentimento è troppo o non sa che dire, sviene. Sarebbe stato patetico, forse quasi romantico e invece no. Tutto questo, il mondo che si ferma, il respiro che si blocca, il cuore che salta un battito, il sudore freddo e la maglia attaccata alla schiena, è successo si, ma solo dentro di me e come la triste realtà vuole, alla faccia dei film smielati, lei, la mia lei, non si era accorta di nulla. Eppure io ricordo ogni singolo istante. Strano come funzioni la mente vero? Ma una cosa ancora più strana della mente è la vita, perché lei, stronza ha voluto che io stessa, anni dopo, glielo confessassi che le dicessi anche di essermi innamorata di lei in passato che lei mi dicesse tempo dopo che avrebbe voluto baciarmi che stessimo quasi per farlo ad aprile che io voglia ancora baciarla che lei scopi con uno e che io stia con una, che mio padre al mercato comprò. Insomma, tutto regolare si direbbe.
Nonostante tutto quella notte fu davvero incredibile. Faceva caldo, e lei in quel momento ne sentiva tanto nonostante indossasse quell'abito blu corto con i fiorellini bianchi piccoli, la fascia in vita e i tacchi rossi. Ai tempi, prima dell'apocalisse (per noi rappresentata da un litigio semi epocale che ha fatto sì che non parlassimo per tre anni (Ecco vedi il numero tre che torna)) uscivamo insieme, io, lei, mia sorella, ed una nostra amica. Allora, in sintesi la storia era questa: loro due che camminavano avanti quasi correndo parlando di mille cose tra pettegolezzi, trucchi e non so che altro e noi dietro a parlare non ricordo neanche più di che. Ricordo solo che ridevamo, tanto. In realtà ricordo lei che rideva, di me ricordo più che mi accecava con quella massa stupenda di capelli che teneva lunghissimi e che smuovendoli spesso con la mano, mi raggiungevano in men che non si dica, e ovviamente sempre nell'occhio. Legge di Murphy azzarderei. Ma per lei questo ed altro, e poi sta cosa la faceva ridere, quindi fa niente il dolore, andava più che bene così. Quella sera era successa la stessa cosa, lei sentiva caldo dicevo, e per colpa dei tacchi voleva sedersi sul fatidico muretto. Dato che anche a me non dispiaceva l'idea, muretto fu e lì accadde tutto. Seduta, prende l'elastico (mi si perdoni l'uso del presente ma vogliate consentirmelo per quanto vivido sia il ricordo) che teneva sempre al polso e si lega i capelli in un'acconciatura di quelle scomposte, di quelle un po' alla cazzo che però le stanno benissimo e che amo tremendamente. E quel movimento delle mani, dio non riuscivo a scollare lo sguardo da lei, dai suoi polsi e soprattutto dal suo collo, che finalmente respirava un po' e si mostrava al mondo, a me. Non so perché, sarà stata per la storia del pesce innamorato, ma ho pensato quasi di voler essere quell'alito di vento che le accarezza il collo, provocandole un brivido lungo la schiena. E poi, con i capelli accoacconciati a quel modo le si metteva in risalto la scollatura, i fianchi.. inutile dire che in quel momento appariva ai miei occhi come una specie di visione, la cosa più bella che avessi mai visto. Di quelle bellezze naturali, spontanee, mai banali. Di quelle che ti folgorano all'improvviso e tu, povero mortale, resti fermo, immobile, mezzo asmatico, a guardare lei.
Sarebbe stato giusto, o almeno quello era il mio desiderio in quell'esatto momento, farle una fotografia. Immortalare quell'attimo, tutta quell'arte che lei, in un movimento quasi banale, aveva liberato. Ed era lei stessa arte, l'artisticità la portava addosso come quel vestito, che sembrava cucitole su misura. Eppure per me era così evidente, come la fascia rossa e il mascara perennemente sbavato sotto le sue occhiaie che saltano subito all'occhio. Insomma, era così fottutamente artistica che valeva di esser fotografata. Una di quelle foto in bianco e nero, ché non si sa perché ma risultano sempre più artistiche appunto. Ci sarebbe voluta una foto così, con la sua figura nitida che si stacca da uno sfondo inutile e senza spessore. Magari avrebbe potuto essere una foto un po' angolata, con la luce del lampione che cade su di lei. O magari così sarebbe apparsa più stile Madonna, e la mia voglia di baciarla probabilmente più blasfema che altro. Però la storia era questa, lei bella da togliere il fiato e io cotta a puntino. Ed in quello momento avrei voluto muovermi da quella posa di cemento che mi bloccava, andare verso di lei, prendere il suo viso tra le mani e baciarla. Baciarla con passione, con la lingua che accarezza la sua, un po' di violenza, la mano che stringe poi i capelli sulla nuca, la mano che li tira facendole stirare il collo all'indietro ed io che lo bacio e lo mordo, e poi ci sarei stata sempre io che avrei esaudito il mio grande desiderio inespresso degli ultimi anni. Mordere quelle cazzo di labbra. Dio sono qualcosa di stupendo, penso che io in tutta la vita abbia passato intere ore a guardarle, dal vivo, in foto, nei ricordi.
Ma ormai tutto questo è solo passato o pura immaginazione anche se, credo proprio che d'estate qualcosa accadrà, magari al mare di notte, magari tra sorsi di birra e tiri di sigaretta. Credo che a desiderarlo sia più io, o forse lei non lo vuole più, non so, o forse lei lo vuole anche ma ha paura o magari andrebbe tutto a puttane e con quel possibile bacio anche la nostra amicizia.
Spero di no, spero di avere il coraggio di farlo, spero che lei lo voglia almeno la metà di me.
Ma adesso sono ad un giorno dalla maturità, dal mio orale, 23ore (il tre, anche accompagnato, ma c'è). È in 23 ore devo studiare altre tre materie, quattro se vogliamo essere precisi, cinque considerando un piccolo elemento, sei con la relazione. E qui mi fermo, ché comunque sei è un multiplo di tre.
Sono le 09.15, anche quindici è un multiplo. Ed è il momento di andare.