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Era seduta dietro un vicolo cieco, appoggiata ad un muro lurido e scrostato. Si copriva la bocca con le mani bagnate da lacrime e sangue, con il terrore negli occhi spalancati e arrossati, mentre cercava di non fare il minimo rumore. Le ginocchia tremanti erano piene di graffietti e sangue, le mani le facevano male e bruciavano, a causa delle ferite causate da schegge di vetro e ceramica. Era piena di lesioni del genere, ma non riusciva a pensarci, ora. Respirava lentamente per cercare di fermare i singhiozzi, ma le lacrime non smettevano di cadere, bagnando ancora di più la maglietta, un tempo bianca come la neve. Era successo tutto così in fretta. Cominciò come una giornata uguale a tutte le altre, quelle orribili giornate che viveva ormai da anni, ma qualcosa era cambiato in lei. Era scattato qualcosa, era improvvisamente arrabbiata, delusa, irritata. Non faceva altro che pensare a come era costretta a vivere. E perché? Perché nessuno le aveva creduto, quando aveva provato a parlarne. Continuava a ripetersi che non era giusto, che se nessuno le avrebbe offerto aiuto, avrebbe cambiato le cose da sola, a qualsiasi costo. Bastò una parola sbagliata, un insulto di troppo, per obbedire a quel istinto. E ora non sapeva che fare. Non abbassava la guardia, nonostante la confusione e la paura riguardo a quello che era appena successo. Con la schiena dritta contro il muro, sperava che i poliziotti non fossero così svegli da guardare dietro quel muretto. Cercava di restare immobile, ma stava tremando. Tolse le mani dal suo viso per avvolgere le braccia intorno alle gambe che aveva portato vicino al petto. Aveva il cuore che batteva a mille, il respiro affannato e non riusciva a calmarsi. Continuava a ripetersi che non era successo nulla di grave, che lui era ancora vivo e che probabilmente non la stavano neanche cercando. Probabilmente non sapevano neanche chi fosse. Ma era tutto inutile, quella sensazione di pesantezza sul cuore non se ne sarebbe andata così, e nulla avrebbe potuto convincerla. Si ripeteva quelle cose, ma allo stesso tempo non si ascoltava. Era successo. Nulla avrebbe cambiato le cose, nulla l'avrebbe fatta tornare indietro nel tempo, nulla l'avrebbe fatta ritornare la ragazza di prima. Ma una parte di lei, in fondo, non se ne pentiva affatto.Sentì dei rumori provenire dalla strada, e la paura la paralizzò. Smise di respirare, sbarrò gli occhi e strinse i pugni, provocandosi dolore a causa delle ferite e dei frammenti. Rimase così per interminabili secondi, ascoltando attentamente e identificando ogni singolo suono, non riuscendo neanche a pensare. Quando sentì due macchine frenare e fermarsi nella strada vicino a lei, perse un battito. Li sentiva parlare. Sentiva uno di loro raccontare agli altri tutto ciò che era successo. Il proprietario della casa in fondo alla strada era stato ritrovato incosciente nella cucina, in una pozza di sangue e circondato da cocci di vetro e ceramica. Aveva delle ferite nel petto, a sinistra, che gli aveva frantumato un paio di costole e causato delle lesioni gravi al polmone e allo stomaco. Era ancora vivo.Ora che ne aveva la conferma, si sarebbe dovuta sentire meglio. Sarebbe tornata a casa, avrebbe nascosto ogni cosa, avrebbe aspettato il suo ritorno e poi sarebbe scesa a patti con lui. Tutto sarebbe tornato come prima, come se nulla fosse mai successo. Però non le piaceva questo scenario. Pensare di dover tornare alla normalità le faceva venire la nausea, e non poteva negare di essersi sentita sollevata dopo quel tentato omicidio. Quella stessa parte di lei che quella mattina le aveva detto di porre fine a quel inferno, ora le stava urlando che era ingiusto. Era ingiusto che lui, il vero criminale, fosse ancora vivo, che si sarebbe ripreso, che avrebbe continuato a vivere la sua vita indipendentemente da tutto ciò che lei avrebbe fatto. Però lei no. Lei non poteva. Avrebbe vissuto tutta la vita col senso di colpa, si sarebbe odiata, mentre continuava a sottostare al suo volere, senza osare lamentarsi, perché, come tutti le dicevano, doveva solo "essergli grata".Ora stavano parlando della possibile arma. Ovviamente non l'avevano trovata, perché la bottiglia di vetro rotta e insanguinata l'aveva ancora lei. Era vicino al suo piede, che toccava la sua scarpa macchiandola di rosso. Si sarebbe dovuta liberare di tutti i vestiti, probabilmente bruciandoli. Continuò a prestare attenzione agli agenti, che cercavano di capire a se fosse un tentato omicidio o suicidio, ma nessuno nominò lei, la ragazzina di tredici anni che viveva con lui. Dopo poco tempo, tornarono verso la scena del crimine, per cercare altre prove.Quando anche l'ultimo rumore si fu dissipato, prese un gran respiro. Per ora, poteva star tranquilla. Si alzò faticosamente da terra, appoggiandosi al muro per sorreggersi. Raccolse l'arma e la frantumò a terra, per poi buttare i pezzi nel tombino.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 26, 2021 ⏰

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