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Before -
 

 
Spalla dritte, guardali in faccia, non fargli capire che hai paura.
Non tremare, respira, mantieni il loro sguardo.
Non fargli capire che sei debole.
Serio, non tentennare. È tuo, difendilo.

 
Sopravvivi.


 
 "Ok, puoi tenertelo. Tanto a me non piaceva."

Lu Han rimane fermo nella stessa posizione ancora per un po', prima di lasciarsi andare. Prende un gran respiro e butta tutto fuori, tremolante. Si strofina gli occhi cercando di non mettersi a piangere, in fondo ha tenuto duro fino ad ora, è stupido scoppiare proprio adesso. Il gruppetto di bambini che voleva il suo cuscino è sparito, lasciandolo solo nel dormitorio.
Si ritrova a fissare quel piccolo pezzo di stoffa imbottito, sporco e ridotto malissimo, stringendolo piano. È l'unica cosa che gli è rimasta. È suo, il suo tesoro.
Si guarda intorno e senza farsi vedere lo nasconde sotto al materasso sfondato, un po' rincuorato. Non può portarlo in giro con sé, ma non vuole rischiare che qualcun altro glielo provi a rubare. Lo sa benissimo qual è il motto in quel posto: ruba e sopravvivi. Lu Han vuole sopravvivere, per questo ha imparato a seguirlo lui stesso alla lettera. Non si sente in torto, non ha sensi di colpa quando fa piazza pulita degli oggetti dei nuovi arrivati, che molto probabilmente hanno valore esattamente come per lui lo ha il cuscino. Non può permettersi di essere caritatevole e buono. Se gli servono, sono suoi.
 
Sopravvivi.
 
Non ha amici lì dentro. Tutti sono possibili nemici, tutti pronti a piantarti un coltello in mezzo alla schiena una volta voltate le spalle. L'ha provato sulla propria pelle, l'essere tradito.
Ha appena nove anni, Lu Han, ma è come se ne avesse il doppio. Le sue piccole ed esili spalle si fanno carico del peso della vita ancora troppo acerba, ancora troppo indietro per sbocciare. Passa ogni singolo giorno nell'attesa di un cambiamento, sperando in qualcosa di migliore. Non chiede molto, solo le piccole cose. Spera di potersi alzare riposato la mattina, di andare a fare colazione e mangiare qualcosa di buono, uscire a giocare, andare a scuola, magari, e poi tornare a casa e raccontare la sua giornata a coloro che, entusiasti, lo stringono e lo riempiono di amore.
Dorme sì e no qualche ora, invece, costantemente sull’attenti. In mensa sono poche le cose commestibili e sono sempre le prime a sparire, senza contare che averle ti rende una possibile preda. Il resto della giornata è riempito da ore di lavoro dentro e fuori la struttura, da grigie pareti e volti severi, da ragazzini arrabbiati e bisognosi di sfogarsi. Non c'è nessuno che lo ascolti. Non c'è nessuno con cui parlare e Lu Han davvero non sa più come si fa e crede che la voce gli sia morta.
Forse... forse effettivamente chiede troppo. Deve essere per forza così, è l'unica ragione che riesce a trovare. E deve essere cattivo, come gli hanno ripetuto fino alla nausea le direttrici. "Sei un bambino cattivo, nessuno ti vorrà mai se fai in questo modo. Toccherà a noi tenerti fino a quando non sarai maggiorenne e potremo così buttarti fuori a calci. Non hai un minimo di riconoscenza verso chi ti ha dato un tetto sotto cui stare. Impegnati, o rimarrai senza cena."  Gliel'hanno detto così tante volte che ormai se ne è convinto. La cena però la salta volentieri.
È magro Lu Han, un vero scricciolo, perché sono più le volte in cui rigurgita quello che gli danno alla mensa che quelle in cui lo tiene in corpo. Nessuno si preoccupa di questo, però, sono troppe teste, troppi marmocchi, per accorgersi dei problemi del singolo. Oltre al fatto che, anche se sapessero, non cambierebbe nulla.
Scompaiono un sacco di ragazzi da quel posto, ogni mese. Il giorno prima ci sono e il giorno dopo negano di averli mai conosciuti. Questa cosa lo inquieta, lo devasta dentro. Il suo unico amico è sparito e l'ha lasciato solo. L'ha tradito. Gli aveva detto che sarebbero stati sempre insieme, che lo avrebbe protetto, ma lui è andato via. Lu Han pensa che sia scappato, senza di lui, lasciandolo lì a marcire. La rabbia è tanta, così come la delusione.
 
 

 
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Esce dalla camerata che condivide con altri venti bambini dando un'ultima occhiata alle proprie spalle. I letti sono un ammasso di materassi più o meno mal ridotti sparsi sul pavimento sporco e lurido. Alcuni hanno pezzi di coperte o stoffa, altri nulla. I cuscini sono un lusso che non si possono permettere e chi ce l'ha, lo ha solo per eredità o furto. Le vetrate sono lucide, nuove, così come le facciate dell'istituto sono pitturate di fresco, come a voler mostrare a chi da fuori rivolge uno sguardo all'edificio che tutto è normale lì dentro. Dentro però, il muro, un tempo bianco, è scrostato e umido, tendente al grigio scuro.
Non ci sono luci per spezzare il buio la notte, negli stanzoni. Lu Han li può sentire anche ora, se chiude gli occhi, i pianti disperati dei più piccoli. Ha compreso che il buio è suo nemico quanto è suo alleato, per questo non lo teme. Al buio nessuno può vedere le sue lacrime, nessuno può vedere quanto sia debole in realtà.
Corre nei corridoi stando attento a non farsi vedere, diretto all'entrata principale. L'ora di libertà sta finendo e tocca a lui ed ad altri bambini sistemare il giardino.
Man mano che si lascia alle spalle i dormitori avvicinandosi all'ingresso, tutto cambia. I pavimenti brillano, riflettendo la propria immagine sulle grandi piastrelle lucide, i muri sono lisci e bianchi, ricoperti per metà da carta da parati floreale, ci sono lampadari preziosi, arcate chiuse da porte di legno antico e sale curate e sfarzose. Questo lo avverte che sta arrivando nella zona buona. È lì che accolgono i rari ospiti dell'orfanotrofio, che portano i bambini quando devono essere visti, giudicati e magari scelti. È lì che li fanno sgobbare fino a consumarsi le dita per grattare, lucidare e pulire.
Smette di correre, limitandosi a camminare velocemente. I passi risuonano fra le mura, rendendolo nervoso, spingendolo a cercare di fare meno rumore possibile per non essere notato. Non deve lasciare segni del proprio passaggio, non deve toccare e sporcare nulla. Non deve nemmeno guardare, a detta loro. Con gli occhi fissi sulla propria sagoma riflessa, a testa bassa, scivola fino al portone sgusciando fuori.
L'aria si insinua sotto i vestiti, troppo leggeri per la stagione in corso, facendolo rabbrividire.
Lascia la maniglia dorata e scende le scalinate stringendosi nelle spalle, frettoloso. Spera di non essere in ritardo, non vuole essere sgridato ancora. Raggiunge la casetta degli attrezzi e, senza che nemmeno gli venga detta una parola, Miss Sunsett gli rifila rastrello e sacco dell'immondizia, spingendolo verso l'angolo a sud del giardino e guardandolo male.
Miss Sunsett è sempre presente quando si deve fare qualcosa, è come una specie di cane da guardia senza la bava e i denti a punta. È lei che li comanda a bacchetta, che dice cosa fare, come farlo e quando. È lei che li porta dalla direttrice quando devono essere puniti e sgridati. Non ha nulla di bello e rassicurante e Lu Han ha sempre l'impressione che odi tutti e che gli dia fastidio ogni singola cosa fatta da loro.
Scambia uno sguardo con un paio di ragazzi prima di arrivare alla propria zona, già intenti a lavorare, studiandoli segretamente. Sa chi sono, ma non fanno parte della propria camerata. Meglio tenersi alla larga, come sempre.
Le foglie secche scricchiolano sotto le scarpe rotte, facendogli compagnia. Il suo compito è raccoglierle tutte entro la fine del pomeriggio, quindi deve darsi una mossa. Stringe fra le mani il manico di legno scheggiato e comincia a tirare, accumulandone un po', ignorando il fatto che il grande albero continui a perderne senza sosta. Non ci vuole molto prima che le mani comincino a dolergli, sia per le schegge che per il freddo. Il vento, inoltre, non aiuta e gli solleva di tanto in tanto le foglie che con tanta fatica ha provato a raccattare, sparpagliandole sull'erba bagnata. Sente i fili verdi inumidirgli le caviglie scoperte, appiccicandosi ogni tanto alla pelle, infastidendolo. Fa prurito.
Apre il sacco e si piega per spingerci dentro il fogliame, provando ad aiutarsi con il rastrello, ma questi non fa altro che incastrarsi e incespicare nel terreno, inutile. Alla fine opta per usare le mani.
Più di una volta, durante quel pomeriggio, lascia vagare lo sguardo oltre la siepe che delimita la fine dell'orfanotrofio, dove si trova una casa in vendita. È bella, anche se un po' cadente e decisamente enorme. Lu Han immagina sempre di abitare lì. Vede se stesso, da grande, arrivare dal vialetto sterrato con la macchina e percorrere a piedi quel piccolo pezzo di prato intorno alla fontana, le scalinate e arrivare al portone sotto la veranda. Sono frammenti di immagini che gli riempiono la mente per brevi istanti, sogni ad occhi aperti, ma lo rendono un pochino più sereno.
Fa sempre più freddo. Tenere il rastrello sta cominciando ad essere difficoltoso ora che non ha più un briciolo di sensibilità nelle dita. Fa male stringerlo, ma è l'unica cosa che può fare per accertarsi che questo non gli cada. Il rumore delle lamine di acciaio che sfregano sul terreno gli riempie la mente. È riuscito a liberare buona parte dell'erba, ma gli manca ancora così tanto da deprimerlo. È sicuro che non ce la farà mai, il sole è basso e non gli rimane molto tempo.
Si sorprende quando sente delle voci provenire dal giardino della casa abbandonata. Raddrizza la schiena, tende le orecchie e sgrana gli occhi, sull'attenti. Nulla. Eppure è sicuro di aver sentito proprio qualcuno parlare. Dà una veloce occhiata intorno a sé e quando è sicuro di aver via libera si avvicina fino ad infilare il volto fra le sbarre ricoperte di edera secca. Cerca di vedere meglio, si mette sulle punte, ma è una specie di giungla e lui è troppo basso.
Ascolta il frusciare degli alberi, lo sbattere delle vecchie persiane e lo sguardo si abbassa, deluso. Torna con i piedi per terra e allenta la presa sul freddo metallo. È lì che succede.
Un pallone colpisce con violenza la recinzione davanti alla sua faccia e Lu Han urla cadendo a terra, il cuore nelle orecchie dallo spavento.
 
 "Jongin, per favore, smettila con quel pallone."
 "Sì, mamma, ok."
 "Non si preoccupi signora, come vede non c'è nulla che potrebbe rompere."
 "Lo so, ma è così fastidioso che debba sempre star lì a tirare calci a quella palla."
 "Oh, come la capisco. I bambini..."
 
Non le ha immaginate, allora. Le voci ci sono davvero. Ancora completamente paralizzato per la sorpresa e la specie di infarto provato, rimane a terra a fissare quel punto. Fissa le sbarre, il verde dietro, il cielo velato, il profilo del tetto della casa e un bambino. I suoi occhi si allargano ancora di più quando si rende conto di essere osservato con curiosità da un bambino al di là del confine.
 
 "Che fai lì?"
 
Domanda questi, messo nella sua stessa posizione di qualche attimo prima, con la faccia infilata nel buco per vedere meglio.
Lu Han non riesce a crederci. Ci sono diverse cose che lo turbano in quel momento, come ad esempio il fatto che gli stia rivolgendo la parola per sapere qualcosa da lui e non per dargli ordini o per insultarlo; che ci sia effettivamente qualcuno nella sua casa dei sogni e che, se dovessero scoprire che sta avendo contatti con persone esterne alla struttura, di sicuro gli faranno male. Si tira velocemente in piedi, indietreggiando.
 
 "No! Aspetta, non andare. Non mi hai ancora risposto."
 
La voce del bambino lo spinge a girare leggermente il volto nella sua direzione, mentre si allontana per tornare al lavoro.
 
 "Sei muto? Perché mi ignori?"
 
Sembra voler scavalcare, ma tutto quello che riesce a fare è issarsi di qualche centimetro, affondando ancora di più la faccia dalla sua parte.
 
 "Mi chiamo Jongin. Verrò ad abitare qui. Tu abiti lì? Sei mio vicino?"
 
Lu Han non smette un attimo di fissarlo, mentre torna a raccattare le foglie, spingendole in qualche modo nel sacchetto.
Il bambino ha folti capelli scuri, ondulati, che gli arrivano sotto alla mascella incorniciandogli il viso. Non è riuscito a vederlo bene in faccia, ma, quando gli ha parlato, ha notato dei denti bianchissimi.
 
 "Che cosa stai facendo? Non hai freddo?"
 
Lo riempie di domande, anche se non risponde a nessuna di queste. Gli fa compagnia per un po', almeno fino a quando la voce della donna di prima non lo richiama.
 
 "Devo andare. Lo sai che hai degli occhi enormi? Mi ricordi tanto Bambi. Visto che non mi hai detto il tuo nome, ti chiamerò così. Ciao Bambi, alla prossima."
 
Lo saluta, sparendo fra l'erba alta, non prima di aver recuperato il pallone. Lu Han smette di fare qualsiasi cosa e fissa insistentemente il tronco dell'albero.
 
 
Che cos'è Bambi?
 
 
 

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