81. Ho bisogno di te (parte 2)

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(Dam's pov)

Agosto 2019

Mi svegliai un paio d'ore dopo, all'alba, quando le prime deboli luci della giornata cominciavano ad entrare dalla finestra.

Allungai la mano verso Victoria, e solo in quel momento mi accorsi che l'altra metà del letto era vuota.

Mi infilai boxer e pantaloni ed uscii dalla camera. La casa era ancora immersa nel silenzio più totale, sicuramente stavano tutte ancora dormendo. Il salotto e la cucina erano vuoti, ma dalla finestra aperta capii subito che l'avrei trovata là fuori.

Era seduta su una sedia, nel giardino posteriore, con lo sguardo perso verso il mare. Era bellissima quando era immersa nei suoi pensieri, quando si ritrovava sola con sé stessa e a chissà cosa pensava, con gli occhi fissi verso l'orizzonte e i capelli spettinati dal vento e che cercava di sistemare portandone delle ciocche dietro l'orecchio.

Mi domandai da quanto tempo fosse qui. Poi, mi accorsi dei suoi occhi rossi e delle sue labbra tristi.

Riuscii a non correrle contro e baciarla, e mi sedetti sulla sedia accanto alla sua.

«Buongiorno», mi salutò, girandosi a guardarmi.

«Buongiorno», le risposi sorridendo.

Restammo per un po' in silenzio, lei con lo sguardo fisso su un punto lontano ed io che la guardavo di tanto in tanto. Sapevo che era successo qualcosa, era abbastanza evidente, ma ciò che mi tormentava di più era il voler capire il motivo per cui aveva così tanta paura a parlarne.

Pensai a che cosa avrei potuto dire per farle raccontare tutto, ma prima che potessi parlare, lei si girò di nuovo verso di me ed iniziò.

«Se ci penso adesso, non so se riderci su o mettermi a piangere. Avevo solo quindici anni e già mi stavo distruggendo per un ragazzo che credevo di amare. Quella relazione sarebbe potuta finire solo nella maniera più sbagliata, ma io non l'avevo capito subito. Io pensavo di amarlo, e pensavo che soffrire facesse parte dell'amore. Ma lui stava solo giocando con me, e si divertiva alle mie spalle. Ho sempre dato la colpa al fatto che i ragazzi sono tutti uguali, e tutti stupidi. Ma la colpa era solo mia, che continuavo a voler stare con lui senza ricevere niente in cambio, se non un passaggio in motorino in discoteca.»

«Stai parlando di Roberto?», le chiesi.

Lei, semplicemente, annuì.

«L'hai visto ieri sera?»

Fece di nuovo di sì con la testa, cercando di reprimere le lacrime.

«Però, poi, qualcosa mi ha fatto aprire gli occhi. Anzi, qualcuno...», continuò. «Quello stesso ragazzo che si offrì di riaccompagnarmi a casa e che lo fece veramente, facendosi mezza Roma a piedi. Ricordo quello che mi disse: "Ti meriti di meglio" e "Non accontentarti di lui". Probabilmente, erano le uniche cose giuste che ha detto in tutta la sua vita.»

Finalmente le scappò un sorriso.

«Quindi, mi stai dicendo che ti ho salvato la vita?», scherzai.

«In un certo senso, sì.»

Il suo dolore, inspiegabilmente, magicamente, diventava il mio. Dentro di me mi arrabbiavo, anche se invano. Avrei voluto essere lì tutte le volte che quello stronzo la faceva a pezzi, portarla via con me e curare le sue ferite. Invece, non potevo fare altro che promettere e ripromettere di proteggerla sempre e farla ridere sempre.

Tornato alla realtà, mi accorsi che Victoria stava fissando il mio petto nudo.

«Vieni qui», la incitai maliziosamente, e lei obbedì subito.

Quando le sue labbra si posarono sulle mie, ogni pensiero svanì. Affondai le mie mani sui suoi fianchi, mentre lei infilava le sue dita fra i miei capelli.

Le afferrai l'orlo della felpa, ma mi fermò.

«Togli la felpa», le ordinai.

«No.»

«Perché?»

«Sto bene così.»

«Che c'è, Victò?», la guardai male.

«Che vuoi dire?»

«Ti conosco. Mi stai nascondendo qualcosa.»

Così, mentre Victoria continuava a guardarmi, supplicando di non insistere, io mi ero già spazientito di tutto il mistero che si andava infittendo sempre di più, e mi costrinsi di sfilargliela con la forza.

«Che cazzo hai fatto?», urlai.

La sua pelle pallida era macchiata da dei brutti lividi violacei.

Mi alzai di scatto, rovesciando la sedia all'indietro.

«Che cazzo è successo?», gridai di nuovo. «Dimmi che non è stato lui o io...»

«No, Dam. Non è stato lui», singhiozzò.

«Cristo Santo. Potresti avere delle costole rotte. Dobbiamo andare al pronto soccorso.»

«No, Dam. Per favore. Sto bene, sul serio. Non voglio fare nessun dramma.»

«Dramma? È un po' tardi per non farne un dramma! Le tue amiche mi chiamano in piena notte dicendomi di raggiungervi subito, e ti ritrovo chiusa in bagno a piangere per non ho ancora idea di che cosa! E tu questo non lo chiameresti un dramma?»

«Ti prego, smettila di urlare», mi supplicò, ormai in lacrime.

Mi passai una mano tra i capelli, ancora un po' incredulo della situazione, ma estremamente preoccupato. Con l'elastico che avevo al polso feci una cipolla alla meglio, respirai profondamente e cercai, inutilmente, di calmarmi.

«Dimmi una volta per tutte che cazzo è successo ieri sera.»

«Ho incontrato Roberto. Io ho cercato di evitarlo per tutta la sera, ma lui mi stava praticamente inseguendo. All'inizio diceva di volermi solo parlare, ma poi, quando mi sono allontanata un attimo dalle altre per andare a prendere da bere, mi ha sbattuta al muro e ha provato a... toccarmi. Era ubriaco, e secondo me era anche fatto. Mi ha preso il panico, perché non è la prima volta che...»

«Che...? Cosa?»

La mia faccia era sempre più scioccata, anche se cercavo di mantenere il più possibile il controllo e di non prendere a calci tutto ciò su cui si poteva posare il mio sguardo.

«No, non con me. Ma ho sentito dire che ha fatto cose orribili ad alcune ragazze. Io ero lì, con i suoi occhi spiritati che mi guardavano ed aveva tutti i capelli sudati appiccicati alla fronte, e mi teneva stretta con un braccio sul collo. Ero completamente sotto shock, mi mancava il respiro. Avevo seriamente paura. D'istinto, gli ho dato un calcio sulle palle e sono scappata via. Ho inciampato mentre correvo giù per le scale, e me le sono fatta tutte rotolando.»

«Lo uccido. Giuro che quando lo trovo gli faccio...»

«No, Damià!», m'interruppe. «Promettimi che non andrai a cercarlo.»

«No, Victò. Questo nun te lo posso promette!»

Scoppiò a piangere di nuovo. L'abbracciai, prendendomela ancora con Dio, con il fato, il destino, con qualunque cosa o con chiunque in questo universo fosse responsabile di tutte quelle volte che lei aveva avuto bisogno di me, ed io non c'ero.

Cercai di alleviare la sua sofferenza con i miei baci, mentre mi ripromettevo che non sarebbe successo nuovamente tutto ciò, e mentre promettevo a Victoria che ci sarei sempre stato, che non avrebbe mai dovuto avere paura di parlare con me di qualsiasi cosa.

L'avrei sempre presa per mano e baciata per curare ogni ferita. Non avrei mai voluto più vedere il suo trucco sbavato dal pianto, ma solo il suo mascara colato dal sudore del nostro amore infuocato.

Insieme Sempre || Damiano e Victoria ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora