Requiem

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 «Che ne dici?»

  Inginocchiata, Ladybug gli dava le spalle.

  Quando la vedeva così, girata di schiena, gli sembrava più grande di tutto. Più grande delle sue responsabilità, ancora più ingenti di quelle che gravavano sulle sue spalle – le spalle, ossia, dell'eroe che le era sempre stato accanto, fin dal primo giorno. Gli sembrava, Ladybug, più grande persino di se stessa e di lui, benché ormai Chat Noir sapesse che avevano la stessa età.

  Avanzò verso di lei, affiancandola, e le scoccò un'occhiata furtiva per studiare la sua espressione: i suoi occhi sembravano calmi, ma lui, che li conosceva bene, poté subito intercettare la nota di malinconia che li velava. Fece cadere lo sguardo in basso e quello si posò sulla lapide dove Ladybug aveva appena sistemato la corona di fiori che avevano scelto insieme. Riuscì, sforzandosi, ad accennare un sorriso. «Meglio di prima», sentenziò dopo un attimo. «Gli dà un altro aspetto.»

  Ladybug annuì debolmente. «Ci vorrebbero dei fiori.»

  Proprio in quel momento, Chat Noir volse lo sguardo altrove e adocchiò la figura di una donna di loro conoscenza. L'anziana signora, bassa ed esile, era avvolta in un pesante cappotto nero, in sintonia con il grigio spento che i nuvoloni gettavano sulla città. Avanzava lentamente lungo la stradina principale del cimitero, un mazzo di fiori stretto tra le mani e il volto chino che non le permise di notare i due eroi.

  Con un cenno del capo, Chat Noir segnalò la sua presenza a Ladybug. «Sembra che qualcuno ti abbia letto nel pensiero», sussurrò.

  Lei seguì il suo sguardo fino a incontrare la figura della donna, che riconobbe all'istante. Nel vederla così, sola e lenta nella sua camminata, si domandò cosa fosse meglio fare – se rimanere o se andarsene in silenzio, lasciandole il suo spazio.

  Ladybug scoccò un'ultima occhiata alla lapide. Quando vi lesse il nome inciso sopra, il cuore parve fermarsi, ma ora che la notizia l'aveva in parte digerita, non sarebbe stata mai devastante come la prima volta. «Credo sia meglio lasciarli soli», disse. Chat Noir mormorò qualcosa in assenso.

  Insieme, i due eroi spiccarono un lungo balzo e abbandonarono il cimitero prima che la donna li vedesse. Avevano già parlato con lei a seguito della spiacevole notizia che lei stessa aveva comunicato loro; ora, era giusto che le concedessero la meritata privacy per dire addio all'uomo che più di tutti aveva amato.

  Si fermarono su un tetto poco distante. Nessuno dei due – lo sapevano bene – voleva andarsene. Nessuno dei due voleva separarsi dall'unica persona che davvero potesse comprendere cosa provasse l'altro. Rimasero lì, a osservare il sole che pian piano si gettava pigramente oltre l'orizzonte, cullati da un silenzio che, pur immacolato, non risultava imbarazzante.

  Questa volta, toccò a Ladybug scoccare a Chat Noir un'occhiata furtiva – almeno lei pensava. Lo osservò in silenzio, senza azzardare alcunché.

  Chat Noir, che in verità se n'era accorto fin da subito, ricambiò lo sguardo. «Mancherà anche a me», commentò, come fosse in grado di leggerle nel pensiero.

  Lei sorrise appena, gli occhi che ancora riflettevano il dolore che quella giornata aveva portato nei loro cuori. «Almeno sono stati felici, no?» suggerì, e Chat Noir annuì debolmente. «Anche se la loro felicità non è durata a lungo.»

  Erano passati poco meno di due anni da quando Marinette era diventata la guardiana dei miraculous. Poco meno di due anni, ossia, da quando tutte le responsabilità di questo mondo sembravano esserle piombate addosso, come se il lutto di una persona cara che aveva dimenticato tutto – il Maestro Fu – non fosse stato abbastanza.

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